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di Gian Carlo Zanon
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«Sono cresciuto sul mare e la povertà mi è stata fastosa, poi ho perduto il mare, tutti i lussi mi sono sembrati grigi, la miseria insopportabile. Da allora aspetto. Aspetto le navi del ritorno, la casa delle acque, il giorno limpido»
Albert Camus –Il mare da più vicino – ultimo capitolo de L’estate.
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La nostalgia ha attraversato tutta la letteratura occidentale da Omero a Camus, da Saffo a Leopardi, da Catullo ad Alejo Carpentier il vero creatore del «real maravilloso» a cui attinsero, ognuno a proprio modo, i grandi romanzieri latinoamericani, da García Márquez a Julio Cortázar.
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Nonostante l’esistenza di questo “sentimento d’esilio” fosse ben presente anche nel pensiero antico, la parola che lo definisce apparve per la prima volta nel 1668 nella Dissertazione medica sulla nostalgia presentata all’Università di Basilea da un giovane studente di medicina: Johannes Hofer.
«Ritenuta per lungo tempo una malattia mortale – ne erano colpiti in particolare i soldati svizzeri in servizio presso guarnigioni straniere – soltanto nella seconda metà dell’Ottocento la nostalgia si svincola dal recinto clinico ed entra nel lessico dei sentimenti, delle passioni. Nell’Europa di esuli, emigranti, stranieri diventa una condizione diffusa. La letteratura dell’esilio e la poesia ne documentano il percorso, le sfumature di senso, le forme della rappresentazione.» Questo è quanto trovo scritto sulla quarta di copertina del libro Nostalgia – Storia di un sentimento curato da Antonio Prete. (Raffaello Cortina editore – 1992).
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La parola, composta dalle parole greche νόστος (nóstos) ritorno e άλγος (àlgos) dolore, rappresenta verbalmente un sentimento di rimpianto per qualcosa che si è perduto e che si vorrebbe riavere: un rapporto profondo, un luogo caro che si vorrebbe rivedere, un evento intenso o un tempo trascorso che si vorrebbero “rivivere”.
Il nóstos di Odisseo, che cerca ossessivamente di tornare a Itaca, è un topos della letteratura occidentale, anche se, come intuì il poeta Costantino Kavafis, l’importante per “l’uomo dal multiforme ingegno” non è il raggiungimento della meta ma il viaggio per raggiungerla. «Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo/ sulla strada: cos’altro ti aspetti?»
Il “disagio esistenziale” di Odisseo non è il solo e neppure il più antico. Nella millenaria fabula milesia Eros e Psiké, la protagonista, che cerca il suo amante colpevolmente perduto rischiando più volte la vita, vive la “nostalgia”: la giovane donna, trascinata dal dolore per la perdita dell’amato, vuole tornare a rivivere ciò che ha vissuto.
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Tremila anni dopo, 1953, Alejo Carpentier racconterà la nostalgia nel libro che lo ha reso famoso, Los pasos perdidos, e un anno dopo, Albert Camus la evocherà nell’ultimo capitolo del suo saggio poetico L’estate intitolato Il mare da più vicino: «Coloro che si amano e sono separati possono vivere nel dolore, ma non è disperazione: – scrive Camus – essi sanno che l’amore esiste. Ecco perché io soffro dell’esilio con gli occhi asciutti. Aspetto ancora. Verrà il giorno finalmente …»
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Con questa chiusura Camus rende esplicito il senso della nostalgia, che non è solo un voler tornare in un luogo agognato come quei soldati svizzeri che lontano dai loro luoghi natii soffrivano il mal du pays fino a morire di melanconia, ma molto di più. Camus parla di amore, di separazione, di speranza dell’incontro che disarma la disperazione. La nostalgia di Camus è un sentimento complesso, un esilio che egli affronta con «con gli occhi asciutti.» perché «coloro che si amano e sono separati (…) sanno che l’amore esiste.»
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Ma a guardar bene quasi la totalità della letteratura occidentale, e forse mondiale, nasce da un sentimento di perdita e quasi tutti gli eroi letterari sono alla ricerca, inconsapevole, di “qualcosa” vissuto e smarrito. Persino i testi di tango, da Mi Buenos Aires querido cantato da “Carlito” Gardel a Vuelvo al Sur di Solanas/Piazzolla, parlano sempre di qualcosa di perduto, attingendo, anche, al nostalgico repertorio di canzoni napoletane celeberrime come Torna a Surriento e Lacreme napulitane, scritte nei primi decenni del Ventesimo secolo: l’appellativo “Tano”, che definisce gli italiani d’Argentina, è la contrazione della parola “napole-tano” e il sentimento dello sradicamento degli emigranti si inserisce perfettamente nel tema della nostalgia.
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Echi della nostalgia entrano nel mito, nell’epica e nella lirica greca. Epica e lirica, che daranno vita ad ogni forma di letteratura, nascono quindi dalla nostalgia: cosa vuole Achille? Riavere Briseide per continuare una storia di passione interrotta a causa della ybris di Agamennone. Perché scoppia la guerra di Troia? Perché Menelao rivuole Elena. Cosa vuole il nostalgico Don Chisciotte? Far rivivere l’epoca cavalleresca con la sua etica eroica e la delicatezza del rapporto con la donna, che egli aliena nel rapporto fantasticato con Dulcinea del Toboso. E cosa vuole l’emulo del “cavaliere dalla triste figura”, il principe Myškin? “La bellezza che salverà il mondo”, una bellezza di cui egli conosce l’esistenza perché senza dubbio la deve aver già vissuta e di cui ha un vago “ricordo”.
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Tutto ciò che di “irragionevole” fanno gli eroi letterari, sfidando pericoli e morte, lo fanno per ritornare ad un non ben definito stato psico-fisico inciso nella memoria come particolarmente felice. Lo fanno per ripristinare un equilibrio e una unità interiore precedentemente esistiti. Lo fanno spinti dal dolore per la “ferita intima” che leniscono solo incamminandosi a ritroso verso ciò che avvertono come perduto ma allo stesso tempo recuperabile. Un vissuto esistenziale che non è, come ventilato dal cosiddetto scopritore dell’inconscio, una reinfetazione o una regressione psicotica, ma ricreazione di una sensazione che si deve realizzare su nuove basi di realtà materiale: «… l’uomo innamorato ricrea ciò che ha vissuto nel primo anno di vita.»(1)
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Il discorso si complica e si approfondisce ulteriormente di fronte a romanzi come Madame Bovary, L’amante di Lady Chatterley ecc.. Cosa vogliono le eroine dei romanzi? E se volessero ricreare, in modo diverso dato la maturità sessuale, quelle sensazioni vissute nei primi mesi di vita, forse perdute o forse solo messe tra parentesi aspettando il momento di realizzare pienamente ciò di cui hanno solo una vaga memoria che riaffiora nei sogni?
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Se fosse così la nostalgia, intesa come tensione verso un vissuto che permane nella memoria -trasformato dalla fantasia interiore nella certezza di un possibile rapporto con l’altro da sé – sarebbe il mezzo per accedere a sensazioni dimenticate, se non perdute, lasciandosi andare tra le braccia dell’amante con la certezza di poter riemergere da quel tuffo con i tesori perduti e recuperati.
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Ho sempre avvertito la perdita di qualcosa -/la primissima sensazione che ricordo/è una privazione – di cosa non sapevo –//Troppo giovane perché chiunque sospettasse//una dolente fra i bambini/ciò nondimeno mi aggiravo/come chi rimpianga un regno/essendo il solo principe cacciato –//Più vecchia, oggi, un’epoca più saggia/e più debole anche, com’è della saggezza -/mi scopro ancora a cercare piano/i miei palazzi trafugati –//e un sospetto, come un dito/mi sfiora la fronte di tanto in tanto/che sto guardando all’opposto /del luogo del regno dei cieli –
Emily Dickinson fr. 959
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(1) Massimo Fagioli – La forza del cuore non è mai violenza – Left n. 34 2016
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21 agosto 2016