• Memorie di viaggio … Il deserto abitato dalla poesia

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    Gentile direttore
    Emo Bertrandino

    Ho letto con grande interesse i reportage di viaggio, o presunti tali, di un certo Adriano Meis (non so se suo collaboratore o che altro) e questo mi ha dato il coraggio di proporle alcune mie fatiche, in verità un po’ datate, perché ultimamente viaggiare è per me un lusso della sola immaginazione.

    Del resto che vuole, io i viaggi più che farli ho sempre amato raccontarli, inventando anche molto.
    I resoconti mi fanno specie.

    La spinta principale a scriverle me l’ha data il suo redattore Meis quando parla dell’angoscia che c’è nel ritorno e se avrà la bontà di sobbarcarsi la fatica di leggere questo lungo epilogo di viaggio si renderà conto che è qualcosa che ci unisce.

    La ringrazio dell’attenzione che in futuro vorrà rivolgermi

    Sua Beatrice Chatwin.

    PS. Spero che voglia trovare lei stesso un titolo più adatto in quanto io sono a corto di immaginazione ed il mio non mi soddisfa un granché.

    *  *  *  *  *

    Gentile Beatrice, non ho le parole adatte per ringraziarla per questo suo regalo dato al giornale e ai suoi lettori. Lei mi chiede di cambiare titolo. Per un momento ho pensato di intitolarlo “Il deserto abitato” per sottolineare come il suo sguardo poetico ha saputo riempire di una originale umanità quei luoghi che si possono amare soprattutto attraverso la memoria creata da quel sincretismo di sensazioni e percezioni che solo le persone come Lei sanno fondere in una alchimia di  suoni ed immagini. M Come le dicevo ho provato a cambiare il titolo … ma, mi è difficile osare e spostare anche solo una virgola di questo prezioso gioiello letterario … lasciamolo così come è nato …Che cosa è un Montecchi?/Non è la mano, non è il piede, non è il braccio, /non è il volto né qualsiasi altra parte d’un corpo umano./Cosa c’è in un nome? Quella che noi chiamiamo una rosa /non perderebbe il suo profumo se avesse un altro nome.”

     

    Emo Bertrandino

     

    CELESTE NOSTALGIA

        “Ricorda che ti ho parlato esprimendo

    I miei pensieri più intimi: tienilo

    Costantemente davanti agli occhi”

    Dai consigli a Mery Karè XVIII dinastia – Papiro di Mosca

     Ecco…ora il nostro viaggio è finito.

    C’è sempre un po’ di melanconia, forse rimpianto,

    quando qualcosa finisce.

     E l’aereo questo lo sa e se ne va a zonzo, senza meta

    per l’aeroporto, vuole darci l’agio

    di sfuggire ai saluti frettolosi,

    già distaccati, dell’ultimo minuto.

     E ora?

    Ora bisognerà raccontarlo. Saperlo raccontare,

    modulando, di volta in volta, l’affetto nelle immagini,

    per la distanza che ci separa dall’ interlocutore.

     Un viaggio bello,

    vissuto come la realizzazione di uno di quei sogni,

    conservati nel sottofondo di un cassetto, per anni,

    dimenticato, quasi, affiorato di rado alla coscienza,

    per un attimo di distrazione

    e ti trovi, con la mano ferma, a mezz’aria,

    a scacciare una mosca, che non c’è. È  solo un pensiero:

    -Andare in Egitto. No, non è per me!-

    Poi, ti ci ritrovi e non ci hai mai pensato,

    non ti sei creata nessuna aspettativa,

    per non restare neanche un po’ delusa.

    I posti, prima di scoprirli, te li sei coccolati in testa,

    per mesi, e quando arrivi, già li conosci.

    Ti ci ritrovi, all’improvviso,

    ora devi solo percorrere il tuo cammino fino in fondo.

    Per fortuna arrivi che è già buio,

    l’aria fresca della sera ti fa pensare :

    – Si sta bene, come da noi-

    tutto uguale. Il già noto ti rassicura.

    Ma basta un’alba a svelare l’ inganno.

    Tutto è assolutamente diverso,

    i colori, gli odori, i rumori; tutto di più,

    più acri, più violenti, più primitivi.

     E tu, con la tua mentalità, da occidentale

    colto, evoluto, civile,

    sali immediatamente di qualche gradino,

    guardi le cose dall’alto e distribuisci, qua e là, qualche giudizio gratuito.

    “Brutta città, traffico orrendo, rumori veramente insopportabili!”

    e l’elenco potrebbe non finire mai.

    Il canto del gallo, il muezzin, il fischio del treno,

    ti svegliano all’alba, ma da domani li precederai,

    aspettando in silenzio, a occhi aperti già prima del sole,

    per distinguerli tra i mille rumori del traffico.

     Sei contenta, per aver deciso tu a che ora svegliarti.

    Cominci, un po’ alla volta, a calarti nella parte,

    a recitare la tua pantomima di brava turista,

    mettendo da parte le tue quotidiane

    pigrizie, le tue pretese comodità,

    le tue solitudini.

     Ora visiterai musei, carichi di tesori inestimabili,

    accatastati come merce di infima qualità nei suck

    magari non ci capisci nulla, non ti danno una sola emozione,

    ma la faccia estasiata ti pare obbligatoria,

    in fondo sei un po’ ospite, hai dei doveri,

    che diamine!

     Lo devi sapere. Nulla ti verrà risparmiato,

    moschee, chiese copte e conventi

    e poi tombe e templi, tanti templi, splendidi,

    bellissimi templi, ma sempre con lo stesso schema rigido,

    sempre con le stesse perfette immagini

    raffrenate da regole immutabili nei millenni

    quasi a imprigionare il tempo.

     La storia egiziana non è un cerchio, nemmeno

    una linea, è un punto, fissato una volta

    e poi sempre ripetuto.

    La ricerca dell’eternità, infinita riproposizione dell’attimo.

     E le piramidi? Non indicano forse il superamento

    di un mondo astorico, ancora sconosciuto e

    annichilito da tanta improvvisa potenza costruttiva?

     Che delusione le piramidi!

    Nemmeno una piccola vibrazione, nessuna emozione.

    Al tentativo di entrare, l’odore acre di sterco di cammello,

    l’umido trasudante una folta umanità,

    ti colgono come d’improvviso alla gola e

    ti costringe alla fuga una sensazione nuova,

    mai conosciuta. La chiamano angoscia.

    Vieni costretta a ripensare le parole tante volte lette

    -Le piramidi racchiudono il nulla, il vuoto.-

     L’angoscia di fronte al vuoto.

    Pensavi di esserne immune, ora devi farci i conti…

     Saper raccontare.

    Ma tu cosa stai raccontando?

    Le tue emozioni a chi importa saperle, ascoltarle?

    L’amico ritrovato, le persone che ami,

    al ritorno ti tengono sveglia fino all’alba,

    incuranti della tua stanchezza.

    E ti fanno domande, tante domande, semplici, usuali,

    vogliono sapere tutto.

    -Cosa hai visto? Come sei stata? É andato tutto bene?-

    E tu rispondi, fai la cronaca,

    e intanto traduci le parole, in altre,

    non pronunciate, quelle nascoste che chiedono

    -Sei sempre la stessa? Resterai sempre con noi?

    Ti basta una vacanza per rinunciare,

    guarda almeno per il momento,

    al desiderio segreto di partire ogni volta?

    Sei ora un po’ più felice per dimenticare

    La strana pretesa di una vita più bella?-

    Domande inespresse, cercano una risposta

    in un sorriso mancato, un silenzio improvviso,

    una nota stonata nella voce, solo una piccola sfumatura

    rivelatrice.

     E tu parli, racconti,

    attenta controlli il tono della tua voce. Non vuoi tradimenti.

    -I luoghi che ho visto erano splendidi,

    affascinanti; il gruppo, tutti simpatici, si stava bene,

    vorrei…, mi piacerebbe…ripartire-

    Hai abboccato, è inutile rettificare:

    -I luoghi della mia vita sono questi,

    le persone che amo siete voi

    al più farò una vacanza, un’altra, l’anno prossimo-

     E così ti affanni a parlare, racconti tante cose,

    anche quelle non propriamente belle,

    gli scazzi per le camere, le attese noiose della scorta,

    gli attentati,… parli…parli,

    parli, racconti per rassicurare.

     Ma loro ti conoscono da sempre,

    ora sanno che sei cambiata, ti osservano,

    ti scrutano per alcuni giorni,

    poi verbalizzano – Lo sappiamo che vorresti

    andare via, che questa vita ti sta stretta,

    l’accetti solo per noi,

    Ma pazienta ancora qualche anno,

    poi le cose cambieranno. –

     Ti fanno una concessione,

    è la benevolenza che ti ammansisce,

    tanto la quotidianità, il tempo,

    loro alleati, ti ridurranno alla ragione.

    E tu cerchi di resistere,

    non cedi alla banalità oscena del quotidiano,

     vuoi conservare il desiderio ritrovato

    di -una vita più bella-

    Raccontare è un’arte

    E le parole sono povere.

     Raccontare … Saper ritrovare

    la poesia delle cose nelle emozioni vissute,

    nelle immagini trafugate.

    Trovare le parole morbide sotto le dita

    Per svelare le immagini, quelle che sei riuscita a rubare,

    qua e là,…di nascosto.

    La cronaca? Uno stupro.

    Come raccontare i sogni al botteghino del lotto

    Per farsi dare i numeri da giocare.

     Ma li racconti i fatti, gli incontri,

    le bellezze ammirate, le pene sofferte

    li racconti per calmare

    l’ansia inconfessata per un abbandono temporaneo,

    che potrebbe nascondere una separazione definitiva,

    inaccettabile.

     Raccontare le immagini.

    Ma le immagini non sono rassicuranti,

    e per raccontarle non basta l’arte della memoria

    e le parole sono povere:

    -Una coppa rovesciata sopra di me.

    Un fascio centrale di stelle sconosciute, la luna.

    L’orizzonte: un cerchio perfetto-

    Il deserto attraversato in una notte insonne, febbricitante.

    Le parole intristiscono

    L’immagine di perfezione assoluta

    Dell’infinito:

    -Il cielo stellato sopra di me.-

    Si può raccontare una passeggiata in un orto botanico,

    non la quiete profonda,

    ininterrotta

    poco loquace

    di una passeggiata all’orto botanico.

    Non la fantasia

    Da paradiso terrestre.

    Forse l’immagine sparisce all’appressarsi del suono che le parole

    producono, anche le più belle, quelle scelte con tutta l’accuratezza

    che credi di possedere.

    Immagini sconvolgenti, di un paese

    dalle contraddizioni insuperabili,

    non lasciano margini a sentimenti crepuscolari,

    malinconici.

    Un paese senza mezze misure:

    è una linea netta

    quella che separa il deserto

    dalla rigogliosa vegetazione della valle del Nilo.

    Un paese dai contrasti così forti

    Non ti lascia indifferente. Lo ami o lo odi.

     E l’amore sornione ti esplode dentro improvviso,

    dopo che hai odiato il Cairo:

    una ferita contro l’umanità. Ti recava dolore la povertà,

    la sporcizia, la faccia da falso mendicante

    del bambino che ti chiedeva un dono.

    Lì sentivi la nausea delle mani insistenti,

    della millanteria dei venditori, al mercato,

    che ti costringevano alla recita della contrattazione;

    sceneggiata mai scritta, mille volte ripetuta,

    sullo stesso canovaccio,

    ma tu dovevi improvvisare.

    Gioco sleale, che ti vedeva sempre sconfitta,

    ti sei portata dietro tutto quello che non avresti mai pensato

    e di cui non conoscerai mai l’uso.

    Ma sei felice,

    hai tirato sul prezzo,

    hai risparmiato,

    ma chissà perché ti sembrava di essere

    l’indigeno a cui Colombo dava specchietti in cambio di oro.

     L’amore ti sorprende

    dopo che ti sei inoltrato

    per chilometri, in un arido deserto pietroso,

    squallido,

    polveroso per non so quali cave.

    Un paesaggio inclemente, un deserto senza dune,

    ti toglie ogni riserva. I contrasti diventano tuoi.

     La falesia, muraglia di pietra infuocata,

    corre sulla riva destra del Nilo, e tu ti ci arrampichi

    per guardare dall’alto il nuovo mondo.

    Le tombe di Akenaton: una rivelazione.

    La storia racconta la prima ribellione alla religione

    dei padri, in nome di un altro dio. Battaglia persa

    in partenza, combattuta in nome di un dio più astratto,

    bisogna credere di più nel mondo e negli uomini,

    per essere più disposti a battersi e riuscire a cambiare.

    Dopo…l’arte che conquista e affascina perché si anima,

    acquistando movimento e bellezza, quella che ti fa

    pensare Nuct, da millenni sul soffitto

    del tempio di Dendera:

    un corpo che si assottiglia

    a toccare i quattro cardini del mondo,

    a ricongiungere due amanti separati:

    il cielo stellato e illuminato con

    la verde terra.

    L’emozione di una scoperta.

    Sapevano già la scissione degli affetti,

    relegati nel buio della notte,

    dal pensiero luminoso del giorno.

    Impossibile ricomposizione, tentata

    In un corpo di donna.

     Raccontare ancora? Oltre le cose,

    le immagini e gli affetti?

    Il gruppo. Questo non mi è possibile tentare,

    lo lascio fare ad altri, più bravi,

    io cadrei nella retorica degli aggettivi.

    Avrei bisogno di uno di quei foglietti magici,

    con qualche verso sparso che qualche compagno di viaggio

    ci regalava, la sera a cena,

    per parlare di noi come si conviene.

    Io non sono poeta,

    cercherò la parola modesta della prosa semplice,

    magari qualche frase da una maglietta

    :parlante, – Una notte d’amore è un libro letto

    in meno!- un invito a fare i falò.

    Dirò che il gruppo era bello,

    si stava bene insieme perché abbiamo saputo

    conservare la nostra identità.

    Diversità assoluta nelle nostre idee

    sull’uomo, la donna, la scorta, le mance,

    il chador e le donne islamiche.

     Oh! Le donne islamiche,

    sempre in cima ai nostri pensieri, ai nostri discorsi.

    Immagini nere, respingenti.

    Quante domande, al di là della condanna immediata,

    epidermica, di una vita immaginata

    insopportabile, dietro ai paramenti neri.

    Una domanda ancora mi intriga:

    -il velo copre solo una perturbante nudità femminile

    o ha la funzione più sottile di distruggere

    annullare, impedire la formazione di un’immagine

    femminile, bella per la libertà stessa

    dell’immagine?-

    Non ho risposte. Noi donne “emancipate”,

    realizzate, esibiamo il corpo senza veli,

    ma erigiamo muri spessi e ben più invalicabili,

    invisibili, come l’idea, la paura che al di là del muro

    non ci sarà mai una risposta.

    O forse ci sfiora l’ala nera di un terrore più remoto

    che fa tremar le gambe, la certezza che ci sia?

    L’avevo detto di non saper raccontare il gruppo,

    so solo narrare me stessa.

    Impenitente!

    Raccontare? Perché?

    Ma una storia esiste se non la si racconta?

    Beatrice Chatwin

    Lontano 1997

    • caro Bertrandino,
      ha fatto bene a non spostare “una solo una virgola di questo prezioso gioiello letterario”!
      vorrà porgere lei il mio grazie alla signora Chatwin, dovuto, per la scossa di stupore della bellezza venuta a smuovere la piattitudine del quieto vivere e smascherarla.

    • Intenso, molto bello.
      I versi sulle piramidi mi hanno ricordato quando ho visto la torre Eiffel.
      Una sensazione di tanti anni fa, più di tredici…pensavo di essere sola.

      • “I luoghi comuni sono letteralmente quei luoghi dove un pensiero del mondo conferma un pensiero del mondo”. Édouard Glissan, poeta caraibico

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