• Memorie di viaggio (6) Le scale di Pisac

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     Adriano Meis

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    Cuzco → Pisac →Cuzco 

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    Ieri sera ho cercato di telefonarle … niente irraggiungibile! Meglio mettere questa storia in standby  fino a che non torno a casa.

    Questa notte l’ho anche sognata ma mi ricordo poco, ricordo solo che si intrometteva in qualcosa di mio … magari è una negazione; magari è un’intuizione, ma non posso certo interpretarmeli da solo i sogni.

    Il claxon del taxi mi cancella di colpo i pensieri tinti di Lei: oggi si va a Pisac. L’atra sera ho trattato con il taxista, 20 dollari andata e ritorno, partenza domenica mattina alle 7,30 e ritorno alle 17,30. La guida Lonely planet dice che per visitare la città incaica, che sta arrampicata al di sopra della città nuova, ci vogliono circa due ore a salire e una a scendere, poi c’è il famoso mercato (solo alla domenica) … ce la dovrei fare comodamente. Mi sono messo le scarpe da trekking non si sa mai. Le sue le ha dimenticate nella stanza … gliele dovrò portare, bene!

    Alle 8 sto già al mercato di Pisac, non c’è ancora nessuno e il sole è ancora nascosto dietro l’alta vetta che sovrasta la cittadina … fa freddino e io mi ci devo arrampicare su quella vetta, cazzo… meglio chiedere informazioni.

     

     

    Meno male che ho chiesto informazioni, con due dollari e cinquanta una macchina mi porta a tre quarti del cammino proprio all’inizio del sentiero inca. E meno male che mi sono messo ‘ste scarpe se no ero rovinato. Il sentiero che si snoda per tre chilometri circa è a picco sulla valle e in diversi punti è anche un po’ pericoloso nonostante le corde tese ai bordi dei dirupi … se ci fosse stata Lei mi avrebbe maledetto dall’inizio alla fine … se ricordo bene soffre un po’ … un bel po’ di vertigini.

     

     

    Arrivato in cima sano e salvo posso osservare El Valle Sagrado  (la Valle sacra) dove scorrono i fiumi Vilcanota e Urubamba. Stando qui arroccati gli inca potevano controllare tutta la valle fino a perdita d’occhio.

    Il sito archeologico è relativamente povero se confrontato a quello di Machu Picchu e di Ollantaytambo: molto interessanti sono le torri di vedetta costruite a strapiombo sulla valle disseminate per tutto il sentiero.

    Sono le 12, il sole è alto, e nonostante qui sia ‘febbraio’, c’è molto caldo e, a queste altezze, ci si può anche ustionare.

     

     

    La discesa è stata traumatica, aveva ragione l’autista che mi ha portato quasi sulla cima e che aveva proposto di venirmi a riprendere : solo «cinco dolares ida y vuelta; buen precio, muy barato» e io no, no, non è questione de dinero , torno a piedi.  E infatti sono tornato a piedi … a piedi insanguinati e ginocchia a pezzi nonostante le scarpe da trekking. Che coglione. Ma chi se li sarebbe mai aspettati diecimila gradini di pietra irregolare altissimi e ripidi.

    Ormai è fatta, sono a valle. Al centro del mercato c’è un bar all’aperto con annessa cucina dove al centro c’è una brace e sopra di essa una decina di cuy infilzati agli spiedi … visti così quei poveri porcellini d’india fanno un po’ impressione anche a me … mi siedo ad un tavolo … oggi tortilla di patate, cerveza,  un pastel  e mate de coca.

    Un uomo di mezza età, forse un mendicante, con i sandali rotti da dove spuntano due piedi scorticati dall’uso – avrà fatto anche lui un paio di volte la scalinata, penso  – si avvicina a me e si ferma ad osservarmi. Quando gli allungo qualche moneta fa un calmo gesto di rifiuto senza mai smettere di sorridere con gli occhi. C’è una sedia libera, gli faccio cenno di sedersi. Sembra non accettare l’invito ma poi si siede. Cerco di fargli qualche domanda tipo che fa nella vita e come si chiama e dove vive … lui tace. Mi guarda e tace. Comincio a pensare che sia sordomuto ma come leggendomi nel pensiero sussurra con una strana pronuncia «Yo soy  un hombre quechua, soy hechicero y quiero cerveza ».  Poi beve in silenzio la sua birra senza mai smettere di osservarmi. Finita la birra mi dice che ho gli occhi tristi, e che è meglio se torno a casa «a lado de tu mujer» dalla mia donna. Poi si allontana velocemente annegando tra i turisti che affollano le strade del mercato. Rimango per qualche minuto come incollato alla sedia pensando a Lei che ieri sera non mi ha risposto neppure al telefono … quando torno le telefono e affanculo il fuso orario.

     

    Me lo aveva detto il gestore dell’hotel di Cuzco che nel Valle Sagrado sciamani e heciceros (letteralmente fattucchieri) erano ben inseriti nella cultura locale. Naturalmente sono tutti nativi di lingua quechua  e sono il tramite tra gli esseri umani e l’Hanan Pacha e  l’Uku Pacha cioè il “mondo di sopra”, zona degli spiriti buoni, positivi, e il “mondo di sotto” dove dimorano gli spiriti maligni.

     

    hechiceros quechua durante rito funebre

    Strana storia questa degli sciamani di cultura animistiche. Secondo alcuni antropologi molti di questi individui – non avendo risolto positivamente una grave crisi psicotica –  aderiscono tout court  al proprio delirio che li porterebbe, secondo loro, a contatto con il mondo degli spiriti. È in questo modo che vengono reintegrati nella società tribale divenendo sciamani.

    Anche la maggior parte dei preti cattolici “vengono chiamati”, dopo una crisi che molto spesso si manifesta alla pubertà, al sacramento del sacerdozio ‘direttamente da Dio’. E, forse, si potrebbe fare un nesso tra “vocazione” cioè “chiamata di dio” e un fenomeno di “allucinazione uditiva”. Si potrebbe anche pensare che, come gli sciamani, solo aderendo alla psicosi, credendo cioè che la voce divina udita è reale, si possa guarire… diventando preti.

    Si “supera” la crisi con la “chiamata a dio” codificando il fenomeno allucinatorio  come realtà. Realtà resa congrua dalla cultura religiosa  condivisa. Se un povero cristo dice di sentire le voci dei marziani gli viene giustamente diagnosticata una malattia mentale … ma se un uomo dice di sentire la chiamata di dio, anche se evidentemente è ammalato come il primo, rientra in una normalità legittimata dalla cultura e dalla religione di Stato.

     

     

    Sul taxi che mi riporta a Cuzco mi assalgono i dubbi: devo tornare a casa da Lei come mi ha suggerito lo stregone o devo continuare il viaggio come programmato. Tra l’altro c’è il problema deegli articoli che ho promesso al direttore in cambio di un congruo finanziamento. Se torno devo restituire el dinero che non ho più. Che fare?

    La nebbia che mi accoglie nella piazza centrale di Cuzco e la cerveza cuzqueña  portata al tavolo da una ragazza criolla di notevole bellezza, non aiutano a definire il mio paesaggio interiore.

    Nemmeno il telefono dall’altra parte del mondo che squilla a vuoto.

     

    Domani è un altro giorno … si vedrà …

    14 agosto 2012

    Continua …

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