• Memorie di un viaggio (11) Nostoi, ritorni

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     di Adriano Meis

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    L’aereo che mi doveva portare a Roma è partito senza di me. Non ce l’ho fatta a salire su quell’aereo. Non so cosa mi sta succedendo … ma non ce l’ho fatta a prendere quell’aereo. Oggi è andata così, domani non so … non –  lo –  so!

     

    Ho telefonato a Emo – il direttor Bertrandino – ho cercato di metter su una scusa, poi gli ho detto chiaramente che non m’andava di tornare per ora, e che gli avrei fatto sapere al più presto, e che per il momento avrei continuato a mandargli materiale dal Perù … mi è sembrato dal tono della voce che fosse un po’ sconcertato … “come vuole Meis … mi faccia sapere al più presto, al più presto” … “al più presto” … cos’è “presto” che significa? Che senso ha la fretta, o la prisa, come la chiamano qui? Il tempo, il mio tempo, il mio tempo interno è cambiato, ha preso nuove …  ‘abitudini’.

     

    Non sono salito su quell’aereo perché … perché avevo lo stomaco chiuso dall’angoscia … punto.

    Ho sentito dire … forse l’ho letto da qualche parte, che quando si vive nei grandi spazi per un certo tempo, l’Io si dilata come potesse e dovesse  adeguarsi al nuovo spazio. Poi è difficile riportarlo alle dimensioni precedenti, ci vuole un po’ di tempo … senza fretta, senza “presto”.

     

    Ho nella mente la terribile scena dei carcerati attori, del film Cesare deve morire dei Taviani, che dopo la propria realizzazione identitaria vengono di nuovo costretti nelle loro celle. Uno di loro dice “Solo adesso questa cella è diventata una prigione”. Ecco forse non voglio tornare in una città che, ora, ‘sento’ come una prigione.

     

    È che in questo “spazio” che si è venuto a creare non entrano più le cose di prima … quindi non è una questione di quantità, di misura …  è una questione di qualità. Le cose, i pensieri di prima, i rapporti di prima, ciò che era  ‘prima’ non riesce a dimorare in questo nuovo spazio interiore. È come un utero che per ragioni chimiche non permette all’ovulo fecondato di attaccarsi alle pareti, e lo espelle, lasciandolo scivolare … giù.

     

    Ora che l’ho scritta mi sembra che la metafora dell’utero non funzioni poi tanto per spiegare le mie sensazioni e le conseguenti manifestazioni … in realtà è come se la mia mente avesse assunto dei tempi di movimento a cui non era abituata … ha iniziato un viaggio … un viaggio verso una … cerco parole che non trovo o che forse non ci sono. Dovrei fare come Eraclito che piuttosto di  scrivere un parola che non corrispondeva esattamente al suo pensiero lasciava lacune nei testi. Ma io non sono Eraclito e sono passati 2600 anni. E questo è un problema.

     

    Analizziamo la mia situazione: sono single, forse (non si sa che fine abbia fatto Lei); problemi economici non ne ho: potrei vivere in Italia o qui indifferentemente (non certo a Lima che ha un clima da schifo e una urbanizzazione assurda); inoltre potrei continuare a fare il mio lavoro da qui dove ho trovato stimoli nuovi.

     

    Ma tutto questo non dice il movente del mio rifiutare il ritorno … ecco potrei scrivere una storia sui nostoi , cioè un ciclo epico incentrato sul tema letterario del ritorno in patria. Potrei … se questo non fosse già stato scritto da qualche migliaia di scrittori, drammaturghi e cineasti a partire da Omero: ad esempio Paris-Texas di Wim Wenders è uno di questi,  ma anche La vita che ti diedi di Pirandello. Ecco si … forse è quel pensiero ben espresso da Pirandello in quel dramma che ostacola il ritorno: come verrò percepito al mio ritorno da amici, colleghi … da Lei. Continueranno a vedere l’immagine che si erano fatti di me alla mia partenza o vedranno il movimento che ha trasformato la mia mente? Domande inutili … già prima mi vedevano a modo loro … tra l’altro sicuramente ognuno di loro aveva di me una sua propria immagine ben confezionata. Figuriamoci se ora torno e gli dico “Ciao ragazzi questo mese e mezzo in Perù mi ha cambiato radicalmente!”. Immagino le risposte: “Si in effetti sei un po’ dimagrito, ma stai meglio così, sai!” oppure “Si, vabbè, ma adesso parliamo di cose serie: ti sei fatto qualche peruviana!”, o peggio “Ma quanto mate di coca te sei fatto?”.

     

    Solo Lei qualcosa capirebbe … ma è inutile pensarci; Lei, per il momento, è più sparita di me.

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    In realtà ci sono delle immagini che si ergono come muri invalicabili a impedirmi il ritorno. Una sera sono andato ad aiutare degli amici che raccoglievano le firme per i referendum  sull’acqua , sul nucleare ecc.. Era una piazza di Trastevere, era sabato sera … ricordo i nugoli di persone che vocianti riempivano vicoli e piazze snaturando quel luogo stupendo. Ricordo migliaia di volti svuotati di senso, i loro occhi … ricordo che quelle facce mi inorridivano … quei movimenti sgraziati dal nulla mi facevano dubitare dell’uguaglianza primaria degli esseri umani … quando mi sono riavuto dallo shock mi sono chiesto dove, quando e perché avessero perduta questa loro identità umana … domande inutili: erano come tanti “uomini della folla” che volevano solo stare nella moltitudine rumorosa che poteva calmare per qualche ora l’angoscia del vuoto scolpita nei loro volti e ben mascherata da oggetti e atteggiamenti alla moda.

    Nella serie di articoli che ho scritto in questo ultimo mese e mezzo peruviano ho cercato di parlare di alienazione religiosa. Non sono né un filosofo né uno psichiatra ma mi sembra di aver capito che è proprio questo difetto di pensiero a rendere le masse adoranti e piene di ammirazione per qualcuno che in qualche modo conferma la loro assenza psichica dai rapporti umani profondi. Ed è difficile avere una dialettica con un individuo che adora Totti o Berlusconi, o Storace et similia.

    Penso anche che sia l’alienazione religiosa a svuotare di umano tanti, troppi individui che vivono nelle società del nord esistenziale senza farsi domande sulla loro realtà umana e soprattutto sulla scissione tra essere e apparire. E non è una questione di quantità sapienziale, o di non accesso alla cultura è qualcosa di più profondo, una crisi radicale che non riesce a trovare una via d’uscita da questo gorgo del non essere dove milioni di persone, già lese psichicamente nei primi mesi ed anni della loro vita,  vengono spinte dalle innumerevoli manifestazioni mediatiche gestite dai nuovi Joseph Paul Göbbels: il maestro della propaganda nazista che consentì a Hitler l’ascesa al potere nel 1933.

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    Non so se Emo – il direttor Bertrandino – pubblicherà questi miei pensieri raffazzonati … non so se rimarrò qui, né quanto rimarrò ancora, né se tornerò. Non lo so. Sto solo cercando un senso da dare al mio ritorno.

    Lima – 2 settembre 2012

     

    Continua … forse

     

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