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Il tentato suicido della ragazza di Pordenone e il movimento “MA BASTA” dei ragazzi di Lecce, che hanno deciso di scendere in campo contro il bullismo scolastico, mettono in primo piano uno scenario di infami soprusi il più delle volte occultato, anche dalle stesse vittime. Ma c’è anche un “bullismo sociale” attuato per escludere individui che, nella mente dei persecutori, non devono “esistere”.
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di Gian Carlo Zanon
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«Compagno di classe. Ripetente. Il capetto di un gruppo di altri tre piccoli bulli e loro, i gregari, se la ridevano. Uno che alla ragazza di Pordenone le stava addosso come una zanzara. E la pungeva un giorno sì e l’altro pure con queste parole: “Ti devi uccidere… Dovrei ucciderti io, ma poi passo i guai. Quindi è meglio se ti ammazzi tu!”. E lei ha tentato il suicidio gettandosi dalla finestra.»
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Ho copiato questo paragrafo da un giornale per raccontare la storia dell’oppressione che colpisce non solo gli studenti delle elementari, delle medie e delle superiori ma anche molti adulti “gratificati” dall’attenzione di uno o più persone che li vogliono sopprimere psichicamente e socialmente.
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«Quando abbiamo parlato in classe del caso della ragazza di Pordenone ci è venuta l’idea» dicono i ragazzi di dell’Istituto tecnico-economico Galilei-Costa di Lecce, guidata dal professore di informatica Daniele Manni che l’anno scorso fu selezionato tra i 50 candidati del cosiddetto Nobel dell’insegnamento. E l’idea è stata quella di dire MA BASTA al bullismo scolastico che devasta le ore scolastiche di tutti coloro che non fanno parte dei “bulli”. I bulli sono già devastati da figure genitoriali e dai maître à penser del mainstream culturale che li spingono a – direbbe Heidegger il nazista – realizzare la propria “autenticità dell’essere” che poi sarebbe “l’essere per la morte dell’altro”. A pensare di creare il primo movimento dal basso contro il bullismo sono stati ragazzi e ragazze che si sono miracolosamente salvati dalla peste del bullismo. (leggi qui e qui della loro iniziativa)
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Coloro che si scandalizzano di fronte a questi atti vigliacchi che minano la salute psichica di migliaia di adolescenti, dovrebbero però saper vedere gli atti di “bullismo” che accadono all’interno di gruppi sociali più o meno ampi e che si rivolgono contro adulti di tutte le età. Nel condominio, nei luoghi di lavoro, in palestra, persino sui social network, ci sono i “bulli” che sentendosi forti della loro vigliaccheria attaccano il malcapitato di turno chiedendo a colleghi, amici e condòmini di “farlo fuori” escludendolo socialmente dal luogo di cui si ritengono padroni legittimi. Perché lo fanno? I motivi esibiti sono moltissimi e ben descritti dal persecutore che addita l’ignaro perseguitato incolpandolo di ogni ignominia. Ma in fondo in fondo le ragioni sono sempre da ricercare nella realtà umana della vittima che per sorte non assomiglia mai a quella del “bullo”. Di solito perseguitato e persecutore si trovano ai due poli opposti dell’umano ed è questa differenza che scatena l’odio: il persecutore è un servo travestito da re e l’altro è un ribelle vestito di sé . Resosi conto di questa differenza il persecutore come un ragno tesse la sua tela delirante ammantando l’immagine sociale della vittima. La forma delle calunnie è multiforme ma ha una caratteristica principale: ciò che insinua il carnefice è sempre non ciò che è, e nemmeno ciò egli crede che sia, ma ciò che egli vuole che sia.
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Passo dopo passo, lentamente per non dare nell’occhio, si avvicina sempre più alla sua vittima e nel suo pensiero c’è “quel tutti sapranno” che è la sua ossessione e la sua cifra umana. Quella donna o quell’uomo, trasformatosi mostruosamente nell’Ayatollah Ali Khamenei emette una “fatwa sociale” dicendo velatamente e con garbo anche alle persone vicine alla vittima che se continueranno a frequentarla ne subiranno “le conseguenze” . La fatwa dell’Ayatollah gridata dai gregari del suo entourage chiama all’esclusione e alla morte civile del ribelle.
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Colleghi, amici e condomini più inclini a rinunciare alla propria autonomia di giudizio e a percorrere comode strade in discesa, la vittima li ritrova nei corridoi dell’ufficio o in altri incontri sociali e quando si avvicina per salutarli cordialmente … improvvisamente si sente addosso qualcosa di strano, un malessere che non è immediatamente ascrivibile al comportamento della persona che ha di fronte ma che suona come “ma ancora non hai capito che tu non esisti”. Nei casi più fortunati il perseguitato si trova di fronte a persone che gli si rivoltano contro inopinatamente con malcelata furia: se chiede “hai visto che bel sole c’è oggi” gli rispondono con occhi iniettati d’odio e la bava alla bocca, “si ma stamattina era nuvoloso, non hai visto?”.
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Ricordo di aver letto tempo fa che nelle nascenti polis della Grecia arcaica il malcapitato che infrangeva un tabù sociale veniva privato non solo dal saluto ma anche dalla sguardo dei suoi concittadini. Privato della sua essenza umana dall’annullamento degli altri, o se ne andava dalla comunità, divenendo un apolide disprezzato da tutti, o moriva d’inedia in un angolo della via. E non c’era nessuno a dire MA BASTA!
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La ragazza di Pordenone si è gettata dalla finestra travolta dall’odio di un gruppo di persone che alienando in lei la propria pochezza umana speravano di attraversare la vita indenni. E forse sono ancora convinti di aver ragione …
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10 marzo 2014
(l’articolo era già stato pubblicato nel marzo 2016, ma alla luce degli accadimenti di bullismo scolastico e del suo rifiuto col Gruppo MA BASTA è stato riveduto e corretto)