• Oggi sui quotidiani: Cie di Lamezia sbarre senza salute

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    l’Unità 2.10.12


    di Flore-Murard Yovanovitch

    GABBIE GIALLE E FRESCHE DI PITTURE, MA GABBIE LO STESSO. MIGRANTI RINCHIUSI DIETRO IL FILO SPINATO E IL MURO DI SILENZIO. UN TEAM DI «MEDICI PER I DIRITTI UMANI» è entrato nel Centro di Identificazione e Espulsione (Cie) di Lamezia Terme, situato in località Pian del Duca e gestito fin dalla sua apertura nel 1998 dalla cooperativa «Malgrado Tutto», e ha scattato foto. In questo documento, si vede la serie di recinzioni alte 6 metri, il filo spinato, le stanze con i letti di metallo fissati a terra e senza lenzuola, il cortile senza pallone e le stanze di isolamento.
    Il Cie di Lamezia Terme era stato già a molte riprese definito come uno dei peggiori d’Italia poiché privo dei minimi requisiti di vivibilità. Come riassumono gli medici di Medu, «la struttura appare del tutto inadeguata a garantire la permanenza dignitosa dei migranti trattenuti. Alcune pratiche francamente sconcertanti e lesive della privacy della persona rendono la struttura priva dei requisiti minimi di vivibilità in condizioni di capienza a regime».
    Dal reportage a Lamezia, emergono, infatti, strane «invenzioni» ad hoc dell’ente gestore quando non pure e semplici pratiche di umiliazione dei detenuti. Come la gabbia (gialla) apposita per radersi la barba esposta alla vista di tutti, forze dell’ordine, altri trattenuti e staff, in violazione di ogni privacy resa già nulla dalle camere di sorveglianze accese 24ore su24. Prima dell’uscita dall’«abitacolo» devi depositare la lametta in un apposito contenitore. Perché la lametta, la potresti ingerire, succede ogni giorno nei Cie, per tentare la fuga, per attirare l’attenzione dei sanitari o semplicemente per disturbo psicologico e autolesionismo diffuso. Perché qui si impazzisce. Come ricordava già un rapporto recente del Senato.
    In un’altra foto spunta l’immagine di un detenuto che nonostante la richiesta di effettuare un controllo ortopedico, per via di una grave forma di infezione (osteomielite) del femore che ha reso necessario il posizionamento di una protesi all’anca, si è inventata una fisioterapia «fai da te» con una bottiglia di plastica riempita d’acqua a legata alla gamba. L’ente gestore ha riferito agli operatori di Medu di non aver potuto acquisire la sua cartella clinica.

     


    La violazione del diritto alla salute è una realtà denunciata da Medu in vari rapporti recenti. Queste strutture chiuse in assenza di un presidio dell’Asl garantiscono solo un’assistenza da primo livello, e per pazienti affetti da patologie più gravi che e necessitano diagnosi o cure specialistiche in strutture esterne, casi di non accesso alle cure non sono rari. Come sostiene un medico del Cie, «nostro compito è di limitare il più possibile questi trasferimenti all’esterno». Pure rispetto alle sue cosiddette «funzioni» di contrasto all’immigrazione cosiddetta irregolare il centro di Lamezia presenta le solite falle. Secondo il direttore dell’ente gestore circa il 90% dei trattenuti proviene da un istituto di pena. Persone, dunque, che avrebbero potuto e dovuto essere identificate durante il periodo di detenzione carceraria. Meno della metà (il 41% nel 2011) dei migranti trattenuti è effettivamente espulso. Il reportage di Medu esce appena dieci giorno dopo che il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muižnieks, a seguito della sua visita a Roma dal 3 al 6 luglio 2012, aveva presentato un rapporto in cui esortava «a eliminare gradualmente la pratica della detenzione amministrativa dei migranti irregolari in strutture simil-carcerarie, favorendo piuttosto misure alternative più idonee». Il Rapporto è rivolto alle autorità italiane.

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