• Loretta Emiri – La guerra di Natalino – racconto

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    Natalino *

    Loretta Emiri **

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    La notizia che da Udine sarebbe arrivato Bepi con la moglie mise la famigliola in fibrillazione. Che bell’uomo fosse ce lo rivela una fotografia in cui appare in primo piano, con baffetti e divisa; sul retro ha scritto: “A Natale in segno alla nostra profonda amicizia, solidizzata e consacrata dai disagi e dai pericoli della guerra, e che né il tempo né la lontananza potranno mai renderla meno stretta e cara. Tripoli, 24 febbraio 1941”. Scarpetta sentiva che il fratellino era il prediletto di suo padre; Bepi non aveva figli e nemmeno in seguito ne avrebbe avuti: dalle rispettive carenze prese forma una relazione importante. Una coperta era stesa sul pavimento della terrazza. Sdraiato sul dorso, con i piedi Natalino sollevava e abbassava il figlio; Bepi prese a fare la stessa cosa con Scarpetta. Il gioco si protrasse a lungo regalando ai bambini i brividi del volo, cui si alternavano vampate di piacere provocate dal contatto fisico. Poi qualcuno suggerì di sdraiarsi tutti e restare un po’ in silenzio a guardare il cielo. Il tempo si è fermato su corpi stesi sopra una coperta d’amicizia, su ricordi che rimbombano come colpi di mortaio, su adulti e bimbi che scrutano il futuro tenendosi per mano.

    Ancor oggi il ricordo le causa disagio: impertinente e adolescente, più volte Scarpetta aveva provato a farsi raccontare dal padre episodi di guerra, intimamente sperando di scoprire se avesse o no ammazzato qualcuno. Con determinazione e tatto, Natalino sempre eluse le domande della figlia. La vecchiaia è l’epoca in cui “si fa di tutta l’erba un fascio”; i sopraggiunti vuoti di memoria inducono ad emettere giudizi approssimativi, generalizzanti; le disillusioni accumulate tingono di grigio sia passato che futuro. A Scarpetta la terza età stava suggerendo che la vita è l’insulso prodotto finale di un’incontrollabile serie di casualità. Era morto da trentacinque anni quando decise di far luce sugli anni neri del padre. A motivarla fu il desiderio di rendergli la vita meno effimera, prendersi cura di lui, rivelargli l’attaccamento che probabilmente non gli aveva dimostrato quand’era vivo. Soprattutto desiderava trarre dalle tribolazioni paterne spunti per una riflessione con cui dare spessore alla propria esistenza, renderla meno effimera, arginare l’influenza delle pulsioni senili. Trasformare una massa d’argilla in scultura. Creare. Scrivere per sottrarre forme al caos.

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    Procedette mettendo subito in salvo i ricordi della madre; poi realizzando ricerche su Internet e libri di storia; quindi studiando fotografie impreziosite da dediche, date e nomi di luoghi. Giovani e forti, persino attraenti, il padre e i suoi commilitoni l’hanno fissata a lungo negli occhi con sguardo ossessivo, impertinente, intenso, fino a riuscire a suggerirle cosa non doveva tralasciare di scrivere. Desiderando ricostruire gli spostamenti paterni, Scarpetta ha corso il rischio di perdersi nel deserto. A soccorrerla è stata una foto: spedita come fosse una cartolina postale, era stata indirizzata all’artigliere Natale – 2º Regg. Contraerei – Reparto M. e V. – XIº Concentramento – P.M.T. Intuì che, facendosi aiutare e attraverso una ricerca più mirata, l’informazione le avrebbe permesso di tratteggiare la via crucis africana del padre; ma decise di farlo in un altro momento perché nel frattempo aveva capito che, se lo è per lei personalmente, nell’ambito della novella che stava scrivendo la ricostruzione non era importante. Invece non poteva tralasciare di descrivere percorsi interiori. Sia che riguardassero la sofferenza, l’amicizia o l’amore, dal momento che lo scenario di fondo era la guerra i sentimenti avevano tutti lo stesso drammatico spessore.

    Nel tratteggiarli Scarpetta non ha dovuto inventarsi parole; ha solo copiato dediche e annotazioni che appaiono sul retro di alcune foto. Ad esempio, in data 6 febbraio 1941, il fratello di Zara registra: “Fatto prigioniero al 54º km. prima di Agedabia. Nel dopo pranzo in marcia nel deserto. Senza mangiare e senza acqua”. Da Buri, in data 14 maggio 1943, Bassetti Alfonso scrive: “Dono al mio amico Natale per non dimenticare la nostra più stretta amicizia avvenuta in prigionia”. Struggenti nella loro semplicità le dediche di Natalino alla fidanzata; ne basta una per sottrarre il loro amore al giogo della guerra: “A Zara del mio cuore in pegno del mio grande affetto. Tripoli, 1-3-1941”.

    Per salire a bordo della nave che lo avrebbe portato in Scozia, suo padre dovette essere sostenuto da due commilitoni perché la broncopolmonite in corso non lo faceva reggere in piedi. Sapendo che sarebbe stato trasmesso un documentario sulle vicissitudini degli italiani fatti prigionieri durante la Seconda Guerra Mondiale, Scarpetta chiese a un amico di registrarglielo. Lo guardò appena potette, sentendosi male alla vista di un prigioniero che veniva sorretto per salire a bordo di una nave. Non saprebbe dire quante volte abbia rivisto la scena, bloccata l’immagine. Quando si convinse che non era suo padre, la distinzione non aveva più nessuna importanza: la vista di quello straccio d’uomo non la faceva soffrire meno del pensiero del padre ridotto allo stesso modo. Della prigionia scozzese sono rimaste due fotografie, un portaritratti, un quadro ad olio. Le foto riproducono un estroso altare con tabernacolo; è stato realizzato dall’ateo Natalino riciclando lattine e scatolame per alimenti. Per il portaritratti ha usato modesto alluminio ma forma e incisioni rendono prezioso l’oggetto, che ha anche firmato proprio come avrebbe fatto un artista. Eseguito dal cappellano militare Zorzi, il quadro riflette un angolo di paesaggio adiacente il campo dei prigionieri; prigionieri ai quali il sant’uomo forniva sigarette in cambio d’oro. Regalandogli il dipinto, forse ha voluto sdebitarsi del lavoro commissionato a Natalino: fondere gli oggetti d’oro per forgiare chiodi da inserire in un cofanetto che non possiamo certo definire in stile “arte povera”.

    Le prime foto Scarpetta le ha eseguite con la strepitosa Kodak a soffietto di Natalino. Quanto amava quell’oggetto! Lo usò fino a che divenne complicato trovare i rullini, ma nel frattempo l’apparecchio le aveva trasmesso la stessa passione di suo padre per la fotografia. La prima missione aerea di guerra della storia avvenne nel pomeriggio del 23 ottobre 1911 a Tripoli in Libia, nella guerra dell’Italia contro l’Impero Ottomano, con il capitano Piazza ai comandi; il primo bombardamento aereo è datato 1º novembre 1911: il tenente Giulio Gavotti lanciò una bomba a mano ad Ain Zara e tre sull’oasi di Tagiura. Arrivandoci ventisei anni dopo per il servizio di leva, Natalino sarà stato a conoscenza dei sinistri antecedenti di quei luoghi? La morte del padre le lasciò dentro una voragine, ma più devastante per Scarpetta fu assistere al decorso della malattia: vederlo soffrire come un cane per quasi un anno, a labbra strette perché non voleva che moglie e figli udissero i suoi lamenti; doverlo trasportare dall’appartamento all’auto seduto su una sedia quando il tumore ai polmoni non lo faceva più reggere in piedi; assistere alla trasformazione di un corpo in scheletro con pelle; proferire bugie o ascoltare le sue, determinate in entrambi i casi dal desiderio di imbellettare le evidenze. Quando morì, Natalino aveva cinquantatre anni. Una bambina che guardi un uomo di quest’età penserà di vedere un vecchio; una donna che ci faccia l’amore saprà quanta vitalità può celarsi in un corpo maturo. Durante la stesura della novella, Scarpetta ha avuto spesso sotto gli occhi la micragnosa croce di bronzo insignita a Natalino per “merito di guerra”; ogni volta l’oggetto le ha riproposto il ricordo della “Croce bianca”, nome dell’albergo in cui crebbe la mamma di suo padre. Merito di guerra per Natalino; merito della guerra avergli minato i polmoni, l’averlo condannato a morte prematura e feroce.

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    * Il brano “Natalino” è tratto dal romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne, Loretta Emiri, CPI/RR, Fermo, 2011.

     

    ** Loretta Emiri è nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si è stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios Yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il Dicionário Yãnomamè-Português, il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver, la raccolta poetica Mulher entre três culturas, i volumi di racconti Amazzonia portatile e Amazzone in tempo reale, il romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne. È anche autrice dell’inedito A passo di tartaruga, mentre del libro Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più, anch’esso inedito, è la curatrice.

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