• Loretta Emiri – I ricordi tradotti nella lingua delle madri

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    1 Zarella e Scarpetta

    ZARELLA E SCARPETTA *


    Loretta Emiri **

    Zarella

    Per poter acquistare un appartamento, Zara e il marito entrarono a far parte di una cooperativa. La rata del mutuo era dodici volte superiore alla quota dell’affitto che stavano pagando. Per far fronte alla nuova situazione economica, la vita della sartina divenne ancor più laboriosa; tanto che, non di rado, passava le notti in bianco lavorando. Le piace ripetere che, se avesse guadagnato una lira ad ogni punto messo, oggi sarebbe ricca. Per il poco tempo che aveva a disposizione, e perché al marito piaceva farlo, il più delle volte era lui a cucinare. Scarpetta ricorda che ai fornelli il padre si divertiva proprio, si sbizzarriva con risultati decisamente succulenti. Per il pranzo di Natale, l’usanza del luogo prescriveva cappelletti in brodo; invece, lavorando insieme, Zara e il marito portavano in tavola agnulòt al ragù, aroma e sapore dei quali potrebbero essere definiti afrodisiaci. Anni di duro lavoro, ma non duri perché ammorbiditi dal gran bene che i due si volevano. Prima a bordo di una Lambretta, poi di un’hollywoodiana Fiat 500, in occasione dell’anniversario di matrimonio che coincideva con il compleanno di Zara, gli sposini piantavano tutto e si regalavano una giornata insieme lontano dalla routine. La Kodak ha fermato il loro amore sulle sponde del lago di Piediluco, a Cascia, Norcia, Orvieto, alla Cascata delle Marmore. L’annuale viaggio di nozze era un vero e proprio rito, e come tale venne celebrato fino alla diagnosi di tumore ai polmoni per Natalino.

    “Lingua internazionale del dottore che spera”, così il medico polacco Ludovico Lazzaro Zamenhof definisce l’Esperanto, nato per sua iniziativa nel 1887. Ispirato da ideali di uguaglianza, pace e comprensione tra gli uomini, vuole essere un agevole strumento di comunicazione internazionale. Scaturisce dalla comparazione tra le lingue più diffuse: non discriminandone e imponendone alcuna, rigetta l’idea di un mondo colonizzato, rifiuta il predominio culturale ed economico di una nazione sull’altra. Si pone al di sopra di differenze etniche, politiche, religiose; con ciò evidenziando che la diversità delle culture è un valore, che pari dignità è insita in tutte le lingue.

    Nel paragrafo 2º dell’articolo 210 della Costituzione della Repubblica Federativa del Brasile, promulgata il 5-10-1988, si legge: “L’insegnamento primario regolare sarà impartito in lingua portoghese, assicurata alle comunità indigene anche l’utilizzazione delle lingue materne e dei propri processi di apprendimento”. L’introduzione nella Costituzione di tale dispositivo è uno dei più importanti traguardi raggiunti dal movimento indigeno e indigenista brasiliano, e rappresenta il marchio del cambiamento nell’abbordaggio della questione indigena da parte dello Stato.

    L’utilizzo nella scuola delle lingue materne non solo cessa di essere proibito e punito, ma viene incoraggiato al fine di salvaguardare il patrimonio culturale delle società indigene; infatti la lingua racchiude in sé tutta la cultura, ne è la rappresentazione. Fino a quel momento l’imposizione della lingua portoghese era stato uno dei mezzi usati per assimilare gli indigeni alla cosiddetta “comunione nazionale”, ipocrita locuzione dietro cui si celava la volontà di trasformare i membri delle varie etnie in individui sfruttati e marginalizzati all’interno della società dominante. La Costituzione del 1988 garantisce agli indios il diritto di essere sé stessi; di venire rispettati nella loro diversità, che non deve significare disuguaglianza.

    La democrazia razziale non si costruisce attraverso l’assimilazione forzata dei gruppi indigeni nel tessuto nazionale e la disintegrazione delle loro specificità culturali; essa si realizza quando il valore intrinseco di tali specificità viene riconosciuto e salvaguardato. Da qui in poi, l’uso delle lingue materne nel contesto scolastico formale si trasformerà, per i popoli indigeni, in strumento di riconquista e affermazione delle proprie identità. Visceralmente coinvolta nel movimento indigenista brasiliano, a Scarpetta veniva spesso in mente quello che sua madre era stata: una bambina costretta a interrompere gli studi alla Quinta Elementare, un’adolescente obbligata suo malgrado ad apprendere il mestiere di sarta, una ragazza sempre vissuta in angusto ambito famigliare e territoriale, una giovane donna aperta e curiosa che aveva voluto imparare l’Esperanto.

    Scarpetta

    Un pescatore abbastanza attento e paziente mai torna a casa a mani vuote. Per catturare ricordi deve saper aspettare: se lancerà l’amo un numero infinito di volte, si sorprenderà non poco nel veder abboccare anche specie ritenute estinte. Alcuni dei ricordi affiorati per questa novella sono stati rigettati nel lago torbido e profondo della memoria; i più forti, prima o poi verranno ripescati: “ogni cosa a suo tempo” dice il proverbio.

    Nelle culture cosiddette primitive, la trasmissione delle conoscenze avviene attraverso processi orali; di essi la ripetizione fa parte in quanto aiuta a memorizzare. Chi scrive torna su argomenti che gli stanno molto a cuore: modificando o aggiungendo sfumature, gradualmente, ne aumenta lo spessore. Allo stesso tempo, la ripetizione è un buon strumento per scavare nell’animo di chi legge: nei solchi della propria coscienza il lettore seminerà poi ciò che vuole.

    Libri antichi e nuovi mostrano che nel corso dei secoli le idee cambiano, si evolvono: ciò può avvenire anche solo nell’arco della vita di un uomo. La comparazione di testi che un autore ha elaborato in epoche differenti sullo stesso argomento o personaggio, può mettere in luce contraddizioni, modi diversi di sentire. Se i fatti da descrivere sono molto vicini nel tempo, se ne può avere una visione parziale; allontanandosene troppo, si corre il rischio di ascriverli al mito. Ogni cosa a suo tempo, ma è tutt’altro che facile determinare quale sia il tempo propizio per ogni argomento. Ciò che conta, probabilmente, è la serietà con cui lo scrittore adempie al proprio ufficio: non si vergognerà né ripudierà alcun testo se in ognuno avrà fatto confluire il meglio di sé stesso, la verità del momento; le contraddizioni, eventualmente, indicheranno quale percorso interiore abbia dovuto seguire.

    Raggiunta l’età in cui mediamente una donna diventa nonna, Scarpetta non è ancora ciò che vorrebbe essere, ma non è nemmeno ciò che gli altri avrebbero voluto che fosse. La constatazione le ha suggerito di celebrare, attraverso la scrittura, l’influenza che le personalità delle nonne hanno esercitato nella formazione della sua stessa identità. Sottoposta alle tante, necessarie riletture, ogni volta la novella le ha suggerito la stessa dolceamara conclusione: la guerra ha sbarrato la strada a sua madre e, per ben due volte, alle nonne; ma solo a lei, vissuta in tempo di pace, il destino ha negato l’incontro con un uomo che l’amasse.

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    * Il brano “Zarella e Scarpetta” è tratto dal romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne, Loretta Emiri, CPI/RR, Fermo, 2011.

    ** Loretta Emiri è nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si è stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios Yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il Dicionário Yãnomamè-Português, il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver, la raccolta poetica Mulher entre três culturas, i volumi di racconti Amazzonia portatile e Amazzone in tempo reale (Premio Speciale della Giuria per la Saggistica del Premio Franz Kafka Italia 2013), il romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne. È anche autrice dell’inedito A passo di tartaruga, mentre del libro Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più, anch’esso inedito, è la curatrice.

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