• I rapporti non lasciano “illesi” – Ritmi interiori ed “affetti collaterali”

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    In questo mio tempo segnato da allontanamenti, vicinanze e nebbia crescente, i dadi della mia identità rotolano senza trovare l’attimo opportuno per arrestarsi scoprendo così la provvisoria cifra  del mio essere.

    Il movimento mentale che genera le decisioni esistenziali – lo so, l’ho appreso da tempo – come bufera improvvisa scompiglia le tessere di mosaici cristallizzati dalle abitudini e dai tanti “io non posso” inconsapevolmente sussurrati di fronte al perturbante… il divenire continuo di una singola realtà umana travolge destini che sembravano marcati a fuoco in modo indelebile.

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    E così edifici identitari e improbabili equilibri traballano … alcuni torneranno quasi identici a prima, in altri si apriranno gli squarci del possibile da giocarsi alla prima occasione. Altri ancora inizieranno a percorrere “la strada dei dadi rotolanti”.

    Tutto ciò crea ritmi interiori ed “affetti collaterali” con cui confrontarsi, da cui guardarsi.

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    Ero partito da questa poesia incontrata nella bacheca F.B. intitolata alla poetessa argentina Alejandra Pizarnik: «L’universo non ha un centro,/ma per abbracciarsi si fa così:/ci si avvicina lentamente/eppure senza un motivo apparente,/poi allargando le braccia,/si mostra il disarmo delle ali,/e infine si svanisce,/insieme,/nello spazio di carità/tra te e l’altro.» perché questi versi mi avevano causato due reazioni contrastanti: condivisione ed allarme.

    La condividevo per il modo in cui rappresentava verbalmente l’incontro tra due identità che svanivano per creare una nuova realtà fatta si “della stessa sostanza dei sogni” ma allo stesso tempo ancor più reale della realtà materiale.

    Mi allarmava perché le parole “spazio di carità” potevano significare uno svanire inteso come mero annullamento di due entità identitarie che nell’abbraccio si dissolvevano … creando il nulla.

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    È un discorso complicato, me ne rendo conto ma non so dirlo in altro modo.

    Sto facendo i conti con me stesso e per nuotare in questi marosi non posso che usare il mio vocabolario privato … che alcuni non riusciranno a decifrare … fa niente.

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    Oggi mi sono venute in soccorso le parole di un poeta “malinconico” incontrate tra le pieghe di quella rete telematica ingiustamente incolpata di distruggere le giovani menti: «Ricomincio da qui,/da quello che ho imparato/fino ad oggi.//Da quello che non so/e che non voglio.//Dalle pietre di fiume, intime/con l’acqua dolce che trascorre,/ dal loro consumarsi lentamente.//Ricomincio dall’oro,/ che non ho mai cercato,/dal fango secco che, come me,/ aspetta calmo di sciogliersi/di nuovo.//Ricomincio dalle tempeste/delle mie passioni vecchie e nuove/messe in fila, ma vive, vive…/oggi più di sempre.//Dai miei cambi di umore/che lascio correre liberi e sinceri,/dalle direzioni in cui guardare/prima di intraprendere un amore.//Ricomincio dal provvisorio,/che è la mia sostanza preferita,/e dall’affetto, che è il sentimento/più completo che conosco.» (Abner Rossi)

    Questa composizione poetica si intitola Le pietre del fiume e – oltre a decifrare una realtà umana che leviga i sassi della storia con le acque del proprio divenire – non può che farmi tornare col pensiero al “tutto scorre” di Eraclito e agli affetti che mutano il pensiero degli esseri umani in ogni istante dando vita a quelle cangianti “entità interumane” in movimento continuo che lasciano segni indelebili nel tempo delle donne e degli uomini.

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    Gian Carlo Zanon: dalla pagina del Diario Polifonico del 13 dicembre 2016

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