• Le porte d’oro dell’invisibile – L’artista

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     di Gian Carlo Zanon

    L’artista

    «Bisogna abbandonare la concezione tradizionale della percezione come passibilità meccanicamente fedele del dato osservato. La percezione non coglie solo la struttura oggettive ma fa un’immediata alchimia che poi non sarebbe altro che il risultato del rapporto tra oggetto e soggetto che guarda».  Così affermava lo psicologo e storico dell’arte Rudolf Arnheim.

    Seguendo le sue parole potremmo definire l’artista come colui che riesce a varcare le porte d’oro dell’invisibile, facendo questa che Arnheim definiva “un’immediata alchimia” o se vogliamo una percezione sincretica del vissuto comprendente anche gli stati d’animo del soggetto che vanno a creare un tessuto trasparente attraverso il quale egli intravede la realtà.

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    Prima di continuare a cercare di decifrare la percezione e la riproduzione artistica ascoltiamo il noto teorico dell’espressionismo Kasimir Edschmid che, partendo da assunti religiosi, ha cercato di dipanare il mistero dell’arte: «Iddio ci ha dato al terra: un paesaggio gigantesco. Bisogna saperlo percepire in modo che ci giunga intatto e ci rendiamo conto di non coglierne la verità in quanto ci appare come realtà esterna. Dobbiamo costruirla noi la realtà. Trovare il senso dell’oggetto, non appagarci del fatto supposto, immaginato o annotato; è necessario che l’immagine del mondo venga riflessa integra e netta, e questo può verificarsi solo attraverso di noi.»(…) L’artista espressionista trasfigura  così tutto lo spazio. Egli non guarda: vede; non racconta: vive; non riproduce ricrea; non trova: cerca. Al concatenarsi dei fatti –fabbriche, case, malattie prostitute, gridi e fame – subentra il loro trasfigurarsi. I fatto acquistano importanza solo nel momento in cui la mano dell’artista , che si tende attraverso di essi, chiudendosi, fa presa su ciò che a essi sta dietro: l’artista vede l’umano nelle prostitute e il divino nelle fabbriche e riconduce i singoli fenomeni nel complesso del mondo. )…) Il mondo c’è già, non avrebbe senso farne una replica: il compito principale dell’’artista consiste nell’indagarne i moti più profondi e il significato fondamentale, e nel ricrearlo».

    Affascinante discorso questi di Edschimid… se non fosse inficiato dalla credenza religiosa che come un boomerang riporta sempre il pensiero al soprannaturale. Infatti leggendo fra le righe possiamo  scorgere nascosto, tra le belle rose rosse della ricerca sul farsi dell’opera d’arte, il serpente dell’alienazione religiosa: « ci rendiamo conto di non coglierne la verità in quanto ci appare come realtà esterna»  ??? Ma la realtà naturale ed umana dell’altro è esterna a noi. Già qui dobbiamo rifiutare il pensiero dello studioso tedesco perché potrebbe infettare tutto il suo dire che abbiamo riportato. E allora quando dice che «l’artista vede l’umano nelle prostitute» che vuole dire? Vuol dire che una donna costretta dalle vicissitudini della vita a prostituire il proprio corpo non è un essere umano?

    Certo queste sono interpretazioni, ma il problema esiste. Per il credente in fondo la realtà materiale in quanto finita non esiste. Per il credente solo ciò che è eterno, vale a dire il dio onnipotente e la ‘vita’ post mortem sono realtà vere e queste realtà divine si riflettono ed acquistano senso nell’opera artistica davanti alla quale, per Edschid c’è l’estasi estetica: «il divino nelle fabbriche».

    E torniamo al discorso dell’icona rappresentante Gesù Cristo, il dio che si è fatto uomo e quindi percepibile e riproducibile artisticamente. Il figlio di dio che indicando la salvezza dopo la morte da senso all’esistenza della realtà, umana e naturale, creata dal padre/eterno. Senso e significato che può e deve riflettersi nell’opera artistica che ha lo scopo di far intravedere le porte doro poste al confine tra la finta realtà transeunte e percepibile attraverso i cinque sensi e la vera realtà eterna ed invisibile.

    In fondo per i credenti tutta l’arte che non possiede queste facoltà apocalittiche, capaci di svelare il divino, è idolatra e i manufatti semplici ed insensati idoli.

    Naturalmente ci sentiamo più vicini a Rudolf Arnheim, che non parla di realtà/verità come qualcosa di esclusivamente fabbricato dal pensiero incastonato nel nulla, ma di percezione artistica come «un’immediata alchimia » tra essere e realtà esterna.

    Frida Kalo autoritratto

    Certo è che la percezione intesa come percezione fantasia  (vedi l’articolo Le origine organiche della poesia) non è una registrazione meccanica dell’oggetto; e tanto più sarà presente la percezione fantasia nel momento della visione dell’oggetto tanto meno un’immagine artistica potrà essere una mera copia dell’oggetto. Walter Binjamin chiamava questa soggettivazione della realtà Aura.

    Per ‘l’artista’ che imita meccanicamente l’esistente visibile o l’immagine cosciente, la visione della realtà e il ricordo cosciente sono identici e si specchiano nelle sue opere e sono il fine ultimo da raggiungere; per l’artista che rappresenta la realtà invisibile, interna, l’oggetto materiale, quindi percepibile, è il mezzo che utilizza per esprimere le sue immagini inconsce non oniriche. In questo modo l’artista trasfigura la realtà, la carica di senso. La rappresentazione è più vera della verità vera perché mostra il contenuto di quella verità-realtà.

    Lo stesso accade nella poesia quando la parola/suono  diviene la chiave per aprire le porte d’oro dell’invisibile, del non conosciuto perché non ancora divenuto pensiero verbale e poi linguaggio articolato.

    Possiamo anche dire che nell’oggetto che noi guardiamo si ‘manifesta’ sempre qualcosa che appartiene allo sguardo del soggetto.

    A questo punto riportiamo una frase ascoltata in una lezione del Prof. Fagioli tenutasi a Chieti nel maggio 2003: «La sensazione è legata all’immagine interna» . Quindi la sensazione legandosi sincreticamente alla percezione sensibile diviene uno strumento di conoscenza: ciò che percepiamo/sentiamo nel rapporto con la realtà, non è il reale tout court perché la sensazione è fusa all’immagine interna: ciò che percepiamo è il rapporto tra la nostra immagine interna che permea il reale e la realtà visibile che penetra nel nostro campo percettivo. Un ‘cortocircuito’ continuo tra il nostro essere e la realtà con cui entra in relazione. La realtà non può, non deve essere percepita in modo positivistico e materialista, perché vi sarebbe reificazione del reale che porterebbe ad una perdita di senso dell’esistenza umana; sarebbe patologia.“…l’oggetto percepito inalterato nasconde un male, un’intenzionalità nascosta…”  Massimo Fagioli; Bambino donna e trasformazione dell’uomo;  Pag. 53 della prefazione : Se avessi disegnato una donna.

     

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