• Le “nuove” frontiere del romanzo “erotico” riaprono il vaso di Pandora: onanismo, droga, femminicidio.

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    di Jeanne Pucelli


    _Questa notte ho finito di leggere “Io, però…” .  Il romanzo, definito nelle prime pagine “eros/poetico”, è stato scritto da Rosa Santoro, e pubblicato da Arduino Sacco Editore nella sua collana di genere erotico. Il caffè preso dopo cena non ha permesso che mi addormentassi prima delle ore piccole, e così ho approfittato dell’insonnia per finire di leggere questo romanzo e per pensare …

    La prima cosa che ho pensato è stata: l’autore è un maschio della specie.

    Ho fatto questo pensiero perché le pagine del libro appartengono più  al goffo immaginifico maschile impastato di credenze sulla sessualità femminile – e di invisibili moralismi patriarcali –  che ad un pensiero femminile che in quanto tale conosce il desiderio,  i sentimenti e soprattutto il senso della sessualità di genere. Naturalmente posso anche sbagliare, nessuno è perfetto. Aspetto di venir smentita.

    Nel titolo ho messo tra virgolette le parole “nuove” ed “erotico”. Le prime le ho messe perché non ho trovato nulla di innovativo nel romanzo, a meno che non si vogliano definire nuove alcune frasi come “femmina delle sensazioni sfondate” o parole come “anfora” in luogo di vagina.

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    Le virgolette su “erotico” le ho inserite perché questo romanzo lo definirei piuttosto “pornografico”. So benissimo che le definizioni  sono arbitrarie e che spesso si chiama pornografia l’erotismo degli altri, ma dato che ho io l’onore e l’onere di recensire il romanzo della Santoro …

    Ho letto anche la prefazione del magistrato e critico letterario Cosentino e, a parte questa sua frase «(…) gli uomini sono soggiogati dal potere della donna, spesso storditi rispetto all’incredibile forza, alla terribile capacità di indipendenza che oggi la Donna ha conquistato (e in questo stordimento io vedo purtroppo la causa di molto efferati femminicidi).» che mi ha trovato d’accordo parola su parola, tutto il resto mi ha lasciato un po’ perplessa.

    Questa mia perplessità forse è legata alla mia incapacità di trovare «l’apriscatole» giusto per aprire i «barattoli delle nostre convenzioni (in cui ci ha rinchiuso il perbenismo piccolo-borghese)» come suggerisce la prefazione del Cosentino, ma sta di fatto che non riesco a trovare in questa narrazione né «l’originalità» né il «talento» di cui egli parla. Inoltre, forse a causa del caffè, leggendo il libro non ho avvertito nessuna «Emozione», né ho intravisto la «Creatività» né la «Fantasia» di cui si parla nella prefazione. Che ci posso fare, mi manca quell’apriscatole che permette di decifrare l’intenzione intrinseca dell’autrice che sarebbe : «una sfida contro i pregiudizi della morale piccolo-borghese».

    A differenza del magistrato e critico letterario che firma la prefazione, non comprendo neppure come frasi del tipo «l’eccitarsi “come un’egiziana”», «l’infilarsi la spazzola “dentro le mura”» possano essere considerate «originali similitudini, potremmo dire storico-etnologiche-architettoniche, di grande pregio».

    Forse la devozione, di cui son priva, per il vate del fascismo D’Annunzio citato alla fine della prefazione, racconta bene la differenza di prospettiva culturale che mi separa da questa interpretazione espressa nella prefazione. Se ne può sempre parlare, non sta scritto da nessuna parte che il mio legittimo sentimento per questo libro sia giusto al 100%. Parafrasando Paolo Santangelo -Il peccato in Cina – posso dire che il mio giudizio etico è sempre in dialettica tra “un estremo soggettivismo e l’oggettività della realtà che mi circonda”. Diciamo che essendo donna la percezione e il rifiuto fanno parte della mia natura che certamente non posso variare … con buona pace di Simone De Beauvoir,  io non penso che il genere venga determinato culturalmente.

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    All’inizio della mia recensione ho accennato a “invisibili moralismi patriarcali” presenti nel libro della Santoro. Cerco di spiegarmi meglio. La presenza della dicotomia tra Eros e Thanatos presente nel romanzo, lo afferma anche Cosentino nella prefazione, è un classico clichè letterario che ha impregnato di sé il romanzo dal suo primo nascere. La cultura occidentale patriarcale afferma che ove c’è Eros c’è Thanatos e gli autori da millenni sostanziano questo fantomatico assunto . Questo concetto, su cui si basa tutta la nostra cultura, mette d’accordo religione e ragione che si ergono a terrorizzare chi osasse pensare di infrangere i limiti del rapporto tra i sessi. Rapporto sessuale che, se non finalizzato alla riproduzione della specie, è peccato, follia, cannibalismo

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    Questa “credenza/ideologia” è talmente radicata nel pensiero, e quindi nella cultura egemonica, che neppure ci si accorge della sua esistenza. E questo pensiero, che pensa la morte come conseguenza ineluttabile del desiderio, è talmente interiorizzato da divenire invisibile,  è presente dall’epica omerica a … “Io, però…” della Santoro. Anche in questo romanzo alla fine si consuma il rito letterario/coattivo del femminicidio per punire – o premiare, a seconda dei punti di vista – chi ha aperto il vaso di Pandora.

     

    In effetti non c’è nulla di più surrettiziamente moralistico e religioso dei romanzi in cui alla fine l’eroina paga con la morte il proprio lasciarsi andare al desiderio: Justine, M.me Bovary,  Manon Lescaut, Moll Flanders, Lulu, sono prototipi di quella femme fatale creata da autori sadici per dimostrare l’impossibilità della realizzazione sessuale del genere femminile. “Hai peccato? Devi pagare!” sembra che dicano questi autori con evidenti problemi di castrazione interiore che alienano nelle protagoniste dei propri romanzi.

    È per questo motivo che non riconosco a questo romanzo, né originalità, né fantasia, né tanto meno creatività e vedo in esso la coazione a ripetere di una storia in cui la donna è sempre vittima sacrificale a causa della  propria natura che sa andare ben oltre la, quasi sempre presente, mediocrità maschile che non sa di sé.

     

    Le immagini dell’articolo sono tratte dal film muto di  Georg Wilhelm Pabst, Die Büchse der Pandora, (1928) tratto dal dramma  “Lo spirito della terra” di Frank Wedekind (1904) in cui emerge il personaggio di Lulu, incarnazione tragica e moderna del mito della Donna Fatale. L’opera Lulu di Alban Berg, e soprattutto il film di  Pabst, consacreranno il personaggio di Lulùfemme fatal facendone un mito dell’immaginario culturale.

    © Jeanne Pucelli – Riproduzione vietata

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    SCHEDA

     

    Titolo: Io, però…

    Autore: Rosa Santoro

    Arduino Sacco Editore

    Genere: Narrativa – Erotica

    Form.(mm.) 202 x 130

    Pag. 144

    Prezzo (di copertina): 12.00

    ISBN – 978-88-6354-810-5

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