• Le donne e i semi della sapienza

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    di Gian Carlo Zanon

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    Immaginiamo una donna, una scienziata, bella. Immaginiamola vestita di un camice bianco che mitiga, parzialmente, la sua identità femminile. Immaginiamola tesa verso una ricerca scientifica, una ricerca che dovrà divenire una propria realizzazione di identità e, allo stesso tempo, una possibilità di realizzazione per altri esseri umani sconosciuti; donne e uomini di cui non vedrà mai il volto.

     

    Bene. Ora immaginiamola vivere in una società teocratica dove solo i dogmi cristiani siano epistéme, cioè verità vera e quindi scientifica; una società dove un’opprimente cappa religiosa possa far si che le leggi vietino di affermare persino la verità sensibile della percezione.

    Immaginiamo questa donna fare la sua ricerca in uno stato dove gli uomini che governano obblighino a credere solo alle ‘verità rivelate’. Verità rivelate suggeritegli da coloro che gestiscono l’alienazione religiosa, facendo di ciò che è, ciò che non è, e di ciò che non è, ciò che è.

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    Sto parlando di Ipazia, scienziata alessandrina, ma certamente non solo di Lei.

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    In un mondo scientifico che, ancor oggi, parla quasi esclusivamente al maschile, Ipazia viene ricordata come la prima scienziata della storia. Fu la sola donna matematica per più di un millennio: per trovarne altre, da Maria Agnesi a Sophie Germain, bisognerà attendere il Settecento.

     

    Ipazia fu anche l’inventrice dell’astrolabio, del planisfero e dell’idroscopio, oltre che la principale esponente della scuola neoplatonica. Figlia di Teone, rettore dell’università di Alessandria e famoso matematico egli stesso, è passata alla storia scientifica per i suoi commenti ai classici greci: si devono a lei le edizioni delle opere di Euclide, Archimede e Diofanto che presero la via dell’Oriente, e tornarono in Occidente in traduzione araba, dopo un millennio di annullamento imposto dalla teocrazia cristiana.

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    Così parlava di lei Damascio, filosofo neoplatonico, ultimo direttore dell’Accademia di Atene, soppressa dall’imperatore Giustiniano nel 529: «Ipazia nacque ad Alessandria dove fu allevata ed istruita. Poiché aveva più intelligenza del padre, non fu soddisfatta dalla sua conoscenza delle scienze matematiche e volle dedicarsi anche allo studio della filosofia. La donna era solita indossare il mantello del filosofo ed andare nel centro della città. Commentava pubblicamente Platone, Aristotele, per tutti coloro che desiderassero ascoltarla. Oltre alla sua esperienza nell’insegnare riuscì a elevarsi al vertice della virtù civica. Era così bella e ben fatta che uno dei suoi studenti si innamorò di lei».
    Anche per il poeta Pallada bellezza e sapienza erano fuse in lei: «Quando ti vedo mi prostro, davanti a te e alle tue parole, infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto Ipazia sacra, bellezza della parola, astro incontaminato della sapiente cultura».

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    Questa fu Ipazia, un astro di sapiente bellezza solitaria, nel tempo in cui i non aderenti al cristianesimo canonico, venivano perseguitati e giustiziati. La filosofa alessandrina cadde in un agguato e fu crudelmente assassinata l’otto marzo del 415 d.C., dai monaci parabolani, sgherri assetati di sangue pagano, guidati da Cirillo, vescovo di Alessandria. Il suo corpo fu fatto a pezzi ed infine bruciato.

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    Con lei finì per secoli, la libera ricerca, che veniva proibita, pena la morte, dagli editti teodosiani ancor oggi non disconosciuti dalla Chiesa cattolica. Scrivono Petta e Colavito: «Per i successivi 1200 anni la Chiesa di Roma manovrò principi, re ed imperatori per tenere a freno il suo più acerrimo nemico: il sapere, la conoscenza. Il 17 febbraio dell’anno 1600 la Chiesa di Roma fece bruciare vivo Giordano Bruno, il filosofo e scienziato che aveva studiato gli atomisti greci e che, attraverso le opere di Democrito, aveva capito l’essenza di quegli universi infiniti che Ipazia aveva intuito. Il 22 giugno 1633 la Chiesa di Roma fece abiurare Galileo Galilei, il quale aveva proseguito l’opera della Scuola Alessandrina e di Ipazia nella sperimentazione della scienza».
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    Papa Pio XII nel 1944, per festeggiare i 1500 anni della morte di San Cirillo di Alessandria, promulgò l’enciclica Orientalis Ecclesiae, per “esaltare con somme lodi” e “tributare venerazione a San Cirillo”, cioè colui che aveva fatto massacrare ebrei, nestoriani, pagani e fatto bruciare la biblioteca di Alessandria d’Egitto; colui che aveva fatto assassinare Ipazia, la madre della scienza moderna.

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    Immaginiamo una donna, bella. Immaginiamola vestita di un camice bianco che mitiga, parzialmente, la sua identità femminile. Immaginiamo che abbia tra le mani semi di sapienza ricevuti da Ipazia, la scienziata alessandrina.

    articolo apparso per la prima volta sulla rivista “Quattro Passi” il 12 maggio 2005

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