• La questione meridionale (Lettera aperta di Andrea Camilleri)

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    di Gian Carlo Zanon

    Se rispettano i templi e le divinità dei vinti, i vincitori si salveranno.
    Eschilo – Agamennone

    Come faceva quella canzone che cantavano i partigiani? “…una mattina mi son svegliato” ; proprio così, una mattina mi sono svegliato e ho incontrato la Questione meridionale.

    L’ho incontrata negli splendidi e poetici articoli che Paolo Rumiz ha pubblicato questa estate su La Repubblica con il titolo di Camicie Rosse; l’ho incontrata nei libri di Gigi Di Fiore che mi sono ripromesso di leggere con molta attenzione. Pochi giorni fa, sulle pagine di AgoraVox, è stata pubblicata una bella intervista di Concetta Di Lunardo a Gigi Di Fiore dove si è parlato del suo ultimo libro “Gli ultimi giorni di Gaeta – l’assedio che condannò l’Italia all’unità”.

    Iniziare a dipanare la matassa ideologica che ha coperto e continua a coprire la Questione meridionale non è cosa facile. Soprattutto per persone come me che, ideologicamente, e quindi senza andare a guardare nelle pieghe nascoste della storia, avevano sempre pensato che l’Unità d’Italia fosse cosa buona e giusta.

    Si, avevo saputo di Bronte, dove Nino Bixio represse una rivolta fucilando cinque innocenti, ma poi avevo girato la faccia dall’altra parte. Non avevo nemmeno voluto ascoltare con attenzione né il Verga de I Malavoglia né quelle splendide canzoni, contenute nelle raccolta di Eugenio Bennato e dei Ragazzi di Musica Nova, che nell’ottanta raccontavano la storia tragica dell’ex Regno delle due Sicilie dopo l’invasione piemontese: « Vulesse addeventare ‘na palomma, pe’ putere libera vulare e ‘nguacchiare ‘sti divise a tutt’ ‘e piemuntise.» “Vorrei diventere un colomba per poter libera volare e scacazzare le divise a tutti i Piemontesi.”

    Era chiaro l’odio e le istanze di rivolta contro i militari piemontesi da parte della gente del sud … ma anche lì non capii, quando non si vogliono vedere le cose, si chiude gli occhi e con un “bel scotoma” si prosegue per la strada dell’annullamento.

    Racconto queste cose anche per far comprendere come un pensiero, anche quello che si ritiene, “aperto” e “sempre pronto alla verità delle cose,” possa contenere il verme delle chiusure dogmatiche che inconsapevolmente rimpiccioliscono l’orizzonte infinito della conoscenza e lasciano inaridire alcune zone del sapere esercitando l’inconscia pulsione d’annullamento. Ciò che prima viene annullato poi non esiste più o viene deformato dalla negazione inconscia.

    Ora che inizio ad intravedere e a conoscere la realtà storica del, cosiddetto, Risorgimento, rimango sbigottito per l’opera dottrinaria e demistificatoria che la cultura italiana ha creato. Ed è stata quasi un creatio ex nihilo, nel quale le vera storia del Sud Italia viene rimaneggiata a favore dei Piemontesi, del loro re, e della avida borghesia che si buttò a capofitto nell’affare spogliando e impoverendo il popolo meridionale.

    A metà ottocento in alcune regioni del Sud si stava avviando un certo sviluppo industriale; le Due Sicilie avevano, prima dell’unità, un buon livello di industrializzazione tanto da ottenere diversi premi in campo industriale all’esposizione universale di Parigi del 1856. Lo sviluppo industriale, in particolare, divenne presto notevole in diverse aree del casertano e della provincia di Napoli, mentre sorgevano alcuni impianti siderurgici in Calabria, a Mongiana e Ferdinandea. Il declino delle industrie del meridione è da ascriversi ad un preciso disegno politico mosso dalla spinta del capitale del settentrione.

    Dopo l’occupazione, in pochi anni il sud venne derubato non solo del suo lavoro ma anche della propria identità. La migrazione fino all’annessione militare del Sud da parte delle forze piemontesi, era assente nelle regioni meridionali, ma cominciò subito dopo.

    E tutto questo è sempre stato nascosto dai libri di storia.

    Scriveva Sciascia: Sappiamo bene che c’era già una “Questione meridionale”: ma sarebbe rimasta come una vaga “leggenda nera” dello Stato italiano, senza l’apporto degli scrittori meridionali.

    Questa “leggenda nera” è la responsabile dello stato delle cose del Meridione:

    La prima volta che compare ufficialmente vocabolo mafia accostato al senso tutt’ora in uso di organizzazione malavitosa o malavita organizzata è in un rapporto del capo procuratore di Palermo nel 1865.

    La Storia della ‘Ndrangheta incomincia nella seconda metà dell’ottocento e si sviluppa attraverso la storia italiana lungo il ‘900.

    Nel 1861 la camorra appoggiò – come fece la mafia nel 1943 con gli Americani che sbarcarono in Sicilia – i Savoia contro i Borboni. La “ricompensa” ai camorristi verrà pagata dal ministro dell’interno Liborio Romano che lascerà il controllo di Napoli a questa onorata società.

     

    Questo è il momento esatto per parlare della Questione meridionale visto i festeggiamenti che si stanno preparando per il 150° “dell’unità d’Italia”. È il momento ideale per elevare la verità dell’annessione del Sud da parte dei Piemontesi che ha desertificato il meridione. I problemi del sud, compreso la criminalità organizzata, hanno inizio proprio in quel frangente storico ovvero quando gli occupanti piemontesi si comportarono come i nazisti durante l’occupazione 1943/1945 o, a scelta, come gli Americani di Bush in Iraq. Si parla sempre di Bronte dove vennero giustiziate ingiustamente cinque persone, ma non si parla mai del vero e proprio genocidio compiuto dai soldati del Re.

    Un episodio fra tutti: il massacro di Pontelandolfo nel Beneventano. Nome cancellato dai libri di storia perché ricorda l’eccidio del 14 agosto 1861 a opera dei Bersaglieri che sterminarono 400 persone, uomini, donne, bambini. Lo ha raccontato anche Paolo Rumiz sulle pagine di La Repubblica il 27 agosto.

    Ma c’è un’altra “leggenda nera” che non ci deve sfuggire, è quella raccontata in Gomorra da Saviano, è quella che narra la storia delle industrie del nord che vengono a scaricare i loro rifiuti tossici, la loro m…a nelle campagne della Campania; è sempre la storia dei paesi ricchi che sono ricchi perché soni i parassiti che rendono esangue il Sud del mondo.

    Questo articolo è apparso per la prima volta sabato 25 settembre 2010 su AgoràVox

    http://www.agoravox.it/La-questione-meridionale,18704.html

    http://www.leftcom.org/it/articles/2010-05-18/l%E2%80%99italia-unita-e-la-condanna-del-sud

    * * *

    Lettera aperta di Andrea Camilleri a Francesco Merlo, giornalista di La Repubblica, autore del video “Da Genova a Messina, le differenze di un’Italia flagellata”).


    “Ciccio, ti scrivo a nome di tanti siciliani

    e ti chiamo Ciccio perché anche tu sei siciliano essendo nato a Catania
    Lo so che ti da fastidio, perché -avendo lavorato per 19 anni al Corriere della Sera e scrivendo da 10 anni per La Repubblica- probabilmente non ti piace essere chiamato “Ciccio”
    Magari, dopo tanti anni al Corriere, parli pure milanese e Ciccio in milanese non suona bene
    Ma io continuerò lo stesso a chiamarti Ciccio ok?
    Dunque, Ciccio, voglio dirti che qui noi siamo indignati. Lo so che, proprio in questi ultimi tempi, è un termine inflazionato ma non ne trovo uno migliore per manifestarti il nostro sdegno per quello che hai detto nel tuo servizio sull’alluvione nel messinese
    Qui l’acqua avrebbe portato via il “mattone selvaggio e l’accozzaglia di laterizi”, mentre…dalle tue parti la natura malvagia avrebbe distrutto “i centri storici, lo spazio pubblico celebrato, la bellezza di città che sono storicamente costruite per piacere, per aiutare l’uomo a vivere e non a sopravvivere”
    Ciccio, ma che dici? La storia della tua terra (quella d’origine, intendo: la Sicilia) te la ricordi?
    Ciccio, anche i nostri paesi hanno un centro storico: centri di antica tradizione, come Saponara: ti ricordi di Saponara, vero?
    A Saponara l’acqua ha mandato giù un costone roccioso che ha sotterrato una casa, e -con la casa- ha sotterrato anche tre persone, e fra queste tre persone c’era un angioletto biondo di appena dieci anni.
    Ah…dimenticavo: quella casa non era abusiva: era una casa come la tua, forse meno ricca della tua, ma era comunque una casa, insomma una casa normale, non un’accozzaglia di laterizi
    A proposito del nostro bimbo annegato nel fango…ecco, qui voglio ringraziarti per aver detto che “i bambini affogati sono uguali” Almeno questo ce lo hai riconosciuto, Ciccio…
    i nostri non sono figli di un dio minore almeno quando affogano nel fango
    Grazie, grazie davvero.
    “La forza dell’acqua distrugge sviluppo e sottosviluppo”. Naturalmente, lo sviluppo sta al Nord e il sottosviluppo è il nostro.
    Ciccio, vuoi che partiamo da lontano?
    E allora, mi permetto di ricordarti che nell’anno.
    1100, mentre dalle tue parti si brancolava nel buio del Medioevo, i Siciliani avevano il primo Parlamento della storia, il primo parlamento d’Europa.
    Facciamo un bel salto e arriviamo al 1861.
    In quegli anni -esattamente nel 1856- in occasione dell’Esposizione Internazionale di Parigi, Il Regno delle Due Sicilie ricevette il Premio come terzo Paese più industrializzato del mondo, dopo Inghilterra e Francia.
    Il Meridione possedeva una flotta mercantile pari ai 4/5 del naviglio italiano, una flotta che era la quarta del mondo. Il Sud era il primo produttore in Italia di materia prima e semi-lavorati per l’industria. Avevamo circa 100 industrie metal meccaniche che lavoravano a pieno regime (era attiva la più grande industria metalmeccanica d’Italia). Avevamo industrie tessili, manifatturiere, estrattive.
    Avevamo distillerie, cartiere. Avevamo la prima industria siderurgica d’Italia. Il primo mezzo navale a vapore del Mediterraneo (una goletta) fu costruito nelle Due Sicilie e fu anche il primo al mondo a navigare per mare. La prima nave italiana che arrivò nel 1854, dopo 26 giorni di navigazione, a New York, era meridionale, e si chiamava -guarda un po’!- “Sicilia”. La bilancia commerciale con gli Stati Uniti era fortemente in attivo e il volume degli scambi era quasi il quintuplo del Piemonte.
    Il cantiere di Castellammare di Stabia, con 1.800 operai, era il primo d’Italia per grandezza e importanza.
    Ancora: il tasso di sconto praticato dalle banche era pari al 3%, il più basso della Penisola; una “fede di credito” rilasciata dal Banco di Napoli era valutata sui mercati internazionali fino a quattro volte il valore nominale. Il Regno Napoletano, fra tutti gli Stati italiani, vantava il sistema fiscale con il minor numero di tasse: ve ne erano soltanto cinque.
    Tu, Ciccio, potresti dirmi: “acqua passata”. Potresti chiedermi come ci siamo ridotti così, oggi…sottosviluppati.
    Bene…ti spiego: fin dal primo anno di unificazione, il neonato Stato italiano introdusse ben 36 nuove imposte ed elevò quelle già esistenti.
    In appena quattro anni, la pressione fiscale aumentò dell’87%, ed il costo della vita ebbe un incremento del 40% rispetto al 1860, i salari persero il 15% del potere d’acquisto.
    Dopo l’unificazione d’Italia, l’industria meridionale e persino l’agricoltura furono letteralmente abbandonate e penalizzate con una politica economica che favorì il Nord a danno del Sud, come risulta da un’inchiesta sulla ripartizione territoriale delle entrate e delle spese dello Stato voluta da Francesco Saverio Nitti (non l’abbiamo pagato noi…giuro)
    Per diversi decenni si verificò un continuo drenaggio di capitali dal meridione al Nord dovuto proprio ad una scelta di politica economica dello Stato, mentre sul piano delle imposte il Mezzogiorno e la Sicilia contribuivano in maniera di gran lunga superiore alle regioni del Nord
    Non andò meglio per i lavori pubblici, in quanto gran parte delle spese furono fatte nell’Italia Settentrionale e Centrale.
    In sostanza il bottino dei Savoia fu veramente enorme, se si considera che il danaro trafugato dalle casse del “Regno delle Due Sicilie” ammontava a 443 milioni di lire oro, vale a dire due volte superiore a quello di tutti (dico tutti) gli Stati preunitari della penisola messi insieme; lo Stato savoiardo ne possedeva solo 20 milioni.
    Questa è storia Ciccio, dunque non volercene se una politica assassina ci ha ridotto come siamo adesso.
    Non dirci che siamo “sottosviluppati”, non ce lo meritiamo. Perché -vedi- la cultura siciliana non è da meno rispetto a quella dell’ormai “tuo” Nord
    Anzi…a giudicare dal numero e dall’importanza dei cervelli che mandiamo a lavorare dalle tue parti, potrei osare di più, ma non mi va.
    L’acqua, qui, porta via centri storici e persone esattamente come a Genova e come nelle Cinque Terre.
    E a Barcellona i torrenti sono “tombinati” esattamente come a Genova.
    Sai, Ciccio, i giornali arrivano anche qui, e noi li leggiamo
    E, se proprio la vogliamo dire tutta, anche a Genova c’erano case costruite nei greti dei torrenti: le abbiamo viste tutti in televisione: anche lì, dunque, “mattone selvaggio” e “accozzaglia di laterizi”?
    Ascoltami, Ciccio: nella prossima estate, torna in Sicilia. Non ti chiedo di starci molto: quindici giorni a pensione completa
    Fatti un giro, magari anche nella città che ti ha visto bimbo meridionale: Catania
    Scoprirai cose nuove.
    Scoprirai che i siciliani non sono affatto rassegnati, sono incazzati neri
    È diverso.
    Scoprirai che “le persone per bene” che pensano che il Sud sia solo violento-imprevedibile-inaffidabile-sprecone-confusionario-corrotto-mafioso-camorristico (come dici tu in una sorta di crescendo rossiniano), in realtà non sono persone per bene: sono degli idioti. Oppure dei delinquenti.
    E mi dispiace se fra loro dovessero esserci amici tuoi: sempre idioti restano o delinquenti che hanno interesse ad affossarci ancora di più
    Perché -vedi- se qui i mafiosi portano ancora la coppola, mentre al Nord portano la cravatta e magari hanno l’auto blu e la scorta, per noi non fa molta differenza.
    Ripeto, i giornali li leggiamo anche qua
    …E quella “pietà diversa” di cui parli, Ciccio: ma ti sei ascoltato?
    “La disgrazia di Genova fece esplodere gli animi e mettere mano al portafoglio”, mentre qui le disgrazie sarebbero solo “il prolungamento della normalità”.
    Qui è meglio “non dare perché elemosiniere ed elemosinato rischiano di fare la stessa fine”
    E, quindi, “aiutare il Sud potrebbe risultare pericoloso, fortemente pericoloso”
    No, Ciccio, ti sbagli
    La nostra normalità non è questa che dici tu.
    La nostra “normalità” ci è stata tolta proprio da quelle “persone per bene” di cui parli
    quelle stesse che oggi vorrebbero farci.
    “il ponte sullo Stretto” per finire di fregarci il poco che ci è rimasto.
    Noi non siamo affatto rassegnati, Ciccio, e vogliamo riprendercela la nostra normalità
    La nostra normalità ha nome e cognome, anzi …nomi e cognomi, come Antonello da Messina, Vincenzo Bellini, Francesco Maurolico, Finocchiaro Aprile, Alessandro Scarlatti, Filippo Juvara, Luigi Pirandello, Giovanni Verga, Lucio Piccolo, Tommaso Cannizzaro, Bartolo Cattafi, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Renato Guttuso, Ettore Majorana, Vittorio Emanuele Orlando, Salvatore Quasimodo, Leonardo Sciascia, Vann’Antò’.
    La nostra normalità ha luoghi che si chiamano Mozia, Segesta, Selinunte, Piazza Armerina, Naxos, Siracusa, Monreale, Taormina, Erice, Agrigento, Noto: tutti con i loro “centri storici” come Messina, e -perché no- come Barcellona e come Saponara.
    Noi conserviamo la cultura dei nostri padri.
    Noi conserviamo le tradizioni di questi luoghi.
    Non siamo rassegnati, siamo orgogliosi.
    (oltre che incazzati).
    E se i nostri Gattopardi sono stati sbranati dalle iene e dagli sciacalli, come aveva previsto il Principe di Lampedusa in tempi non sospetti beh…verrà il momento del riscatto
    Noi ci crediamo, dobbiamo crederci.
    E, per tornare alla tua “pietà diversa”, sappi che questo tipo di pietà non ci interessa
    Noi vogliamo solo difendere i nostri diritti vogliamo solo il nostro, quello che ci spetta
    Siamo noi che abbiamo pietà, pietà per gli oppressi, per i vinti, pietà per chiunque soffra
    E siamo ancora noi che abbiamo, legittimamente, dei pregiudizi.
    Da oggi nutriamo pregiudizi anche nei tuoi confronti e nei confronti del tuo giornale
    E se non riesci a fartene una ragione, se non riesci a pensare di dovere chiedere scusa
    allora davvero hai voluto rinnegare le tue origini, le tue radici, la tua storia
    Ciao Ciccio”

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