di Loretta Emiri
Il popolo juruna è di lingua tupi. Nel XVII secolo, con altre etnie occupava un vasto territorio che si estendeva dalla foce del fiume Iriri al Pacajá, nel Pará. Gli attacchi violenti che i portoghesi gli sferrarono si alternarono a tentativi di evangelizzazione, questi ultimi quasi sempre senza effetto. La prima stima della popolazione juruna venne realizzata negli anni quaranta del XIX secolo, da un gesuita secondo cui circa duemila individui vivevano in nove villaggi situati sopra la foce dell’Iriri. Quarant’anni dopo, l’etnologo tedesco Karl Von Den Steinen costatò che i villaggi erano cinque e duecentotrenta gli individui. Per sfuggire ai raccoglitori di caucciù e ai nemici txukarramãe, il popolo juruna continuò a risalire lo Xingu, fino ad arrivare alla quasi estinzione negli anni quaranta del XX secolo. Negli anni cinquanta, un unico villaggio ospitava trentasette sopravvissuti. Un lungo periodo di crescita vegetativa fece seguito allo spopolamento violento che attinse tutti i gruppi indigeni dello Xingu, i quali cominciarono a riprendersi demograficamente solo a partire dagli anni ottanta. Oggi si contano centoventi juruna, in due villaggi situati nella regione nord, chiamata Basso Xingu, del Parco Indigeno dello Xingu; una ventina di individui vivono fra i suyá e kayabi.
Terminato il brano in cui parlo del mansueto Daniel Matenho Cabixi, indio paresi, l’istinto mi ha suggerito di scrivere un testo su Mário Juruna, le cui vicende e personalità si contrappongono a quelle di Daniel. Avviavo la ricerca bibliografica a partire dal popolo juruna, dando per scontato che da esso Mário discendesse; in seguito leggevo, invece, che è un indio xavante di Namunkurá, villaggio situato vicino a Barra do Garça, nel Mato Grosso. Non me la sono sentita di cestinare i dati raccolti: insieme al titolo di questo brano, restino per ricordare che la società juruna è una delle tante sfumature che facevano parte della tavolozza latinoamericana prima che i conquistatori venissero ad imbrattarle tutte con un unico, funereo colore.
Lavoravo in foresta con gli indios yanomami; per rompere l’isolamento e seguire quanto avveniva a livello nazionale, mi ero abbonata a una serie di periodici; trovavo particolarmente interessante un settimanale che riuniva notizie apparse su quotidiani di tutto il Brasile; in attesa che potessero essermi consegnati, o che li ritirassi durante le sporadiche puntate in città, i numeri si accumulavano; dal più vecchio al più recente, li leggevo con la stessa avidità; fu attraverso questi preziosi materiali che cominciai a sentir parlare di Mário Juruna.
La novela cominciò un mese prima della realizzazione del “IV Tribunale Internazionale Bertrand Russel”, che venne realizzato a Rotterdam nel novembre del 1980; Mário Juruna era stato invitato a parteciparvi come giurato; il tribunale internazionale doveva simbolicamente giudicare denunce di aggressioni praticate contro popoli indigeni americani, di cui sei negli Stati Uniti e Canadà, due nell’America Centrale e sei nell’America del Sud. Il Consiglio Indigenista della FUNAI, agenzia governativa che avrebbe dovuto tutelare gli interessi indigeni, proibì a Juruna di presenziare all’evento; in seguito, il presidente della FUNAI gli promise il rilascio del passaporto; quindi intervenne il ministro dell’Interno per impedirgli di uscire dal Brasile. Il deputato José Costa, eletto per l’Alagoas, promise a Juruna la sua collaborazione, sostenendo che se lo stato tutelava gli indigeni ciò non significava che essi non avessero diritto al passaporto. Riuniti nel “I Incontro Indigeno di Alagoas”, quattro rappresentanti di popoli indigeni iniziarono un movimento di opinione a favore del viaggio di Juruna. Il telegramma con cui il Tribunale Russel sollecitava la sua presenza venne sottoscritto dai sei partiti politici olandesi, dalla Società Americana di Francia e dalla Società Belga di Appoggio alle Cause Indigene. In un primo momento, il tribunale federale cui Juruna aveva presentato ricorso contro la decisione del ministro dell’Interno, gli confermò la proibizione di recarsi in Olanda.
.
Mentre continuava ad essere trattenuto in Brasile, venne eletto presidente del Tribunale Russel, che avviò i lavori analizzando la situazione di indigeni della Colombia e Perù. Al termine di una seduta lunga sei ore e cinque minuti, il Tribunale Federale di Ricorsi, in Brasília, sentenziò, infine, che Juruna poteva recarsi a Rotterdam. Un gran numero di persone si riunì nell’aeroporto di Rio de Janeiro per salutarlo festosamente e vederlo partire. Al suo arrivo, i membri del Tribunale Russel, in piedi, lo applaudirono a lungo; Juruna, che nell’ultimo giorno di riunioni poteva finalmente occupare la poltrona della presidenza onoraria, ringraziò prima nella sua lingua e poi in portoghese. Fra le dichiarazioni all’epoca da lui rilasciate, tre sintetizzano bene la vicenda: il governo non voleva che partecipasse al Tribunale Russel perché sapeva che, senza mezzi termini, avrebbe denunciato la drammatica situazione degli indios; ai fini della concessione del passaporto, decisiva era stata la pressione internazionale esercitata sul governo brasiliano; era ormai ora che la FUNAI si rendesse conto che gli indios non volevano più essere trattati come minorenni o minorati.
Con un repertorio di frasi d’effetto che ridicolizzavano la politica indigenista ufficiale e i suoi artefici, durante tutto il 1981 Juruna occupò un grande spazio in giornali e canali televisivi. La condotta imprevedibile e le frasi lapidarie piene di humour, intoppi linguistici e verità, ne fecero l’indio più conosciuto del Brasile e, in ambito indigenista, figura alquanto controversa. Nel mese di settembre si iscrisse al PDT – Partito Democratico dei Lavoratori, confermando di volersi candidare a deputato federale. A dicembre sposò una donna bianca e nessun indio venne invitato a partecipare alla cerimonia. L’inseparabile registratore divenne il simbolo della sua campagna elettorale, realizzata soprattutto in favelas e rioni popolari di Rio de Janeiro. Sistematicamente, registrava le promesse dei colonnelli della FUNAI, facendo così trapelare la sua sfiducia nei confronti delle autorità, soprattutto dei militari, atteggiamento questo in cui si identificarono ampi settori della popolazione.
.
L’aggressiva difesa degli indios e dei loro diritti gli valse la simpatia delle categorie sociali più povere e marginalizzate, con le quali riuscì a stabilire affinità e intese. La stampa contribuì a formare l’immagine di un indio acculturato-esotico, ma si mise anche a servizio della FUNAI che tentò di togliergli credibilità: con toni spesso sarcastici, l’opinione pubblica venne bombardata da notiziole riguardanti la sua vita privata, e tendenti a mettere soprattutto in evidenza quanto smaliziatamente egli fosse integrato ai costumi dei bianchi. Nel novembre del 1982 Mário Juruna venne eletto deputato federale per lo stato di Rio de Janeiro: per la prima volta un indio brasiliano entrava da parlamentare a far parte del Congresso Nazionale.
Già nel secondo anno del suo mandato di deputato, in ambito indigenista si cominciò a parlar poco di Juruna, mentre la stampa metteva sistematicamente in evidenza tutti gli episodi ambigui che lo riguardavano. Dietro sua richiesta, la moglie venne assunta dalla FUNAI; essendo finita la notizia sui giornali, fu indotto a chiedere che la donna, mai presentatasi al lavoro durante il mese di assunzione, venisse licenziata; calmatesi le acque, poco tempo dopo venne assunta di nuovo.
Ammise, Juruna, di aver ricevuto tremila dollari dal pilota e amico del presidente della FUNAI, e si giustificò dicendo che gli erano serviti per partecipare a una riunione dell’ONU in Svizzera. Nello stato di Bahia raggiunse una località, rivendicata dai pataxó-hã-hã-hãe, a bordo di un aereo noleggiato dai bianchi che accampavano diritti sulla stessa area, e provocò indignate reazioni dichiarando che coloro che stavano lottando per la terra non erano indios puri ma meticci. Le notizie divulgate fra il 1985 e il 1986 riguardano soprattutto finanziamenti impropriamente applicati da sostenitori di Juruna per trasportare e mantenere in Brasília indios della sua fazione; con loro prendeva posizione ora a favore ora contro le persone che, a ritmo incalzante, si avvicendavano nella presidenza della FUNAI.
Non facendo più altro che eseguire le stesse manovre che all’inizio della sua carriera di politico aveva rimproverato ai corrotti funzionari della FUNAI, Juruna dava segni di essere giunto al capolinea. A fine mandato, quasi non si parlava più di lui. Durante uno di quei viaggi al sud che mi servivano per aggiornarmi, chiesi notizie di Juruna a un amico avvocato, consulente del Congresso Nazionale per la legislazione indigenista. Esauriente fu la risposta: “Venduto”. Avevo pensato di chiudere questo brano con la parola “venduto”, appunto. La rivisitazione storico-bibliografica ed emotiva dell’esperienza esigono invece che la presente elaborazione letteraria abbia un finale meno succinto; quindi, concluderò riscattando alcuni aspetti disinnescati dalla presenza e dalle attività di un indio in seno al parlamento brasiliano, e che hanno contribuito a far crescere la mobilitazione e organizzazione indigena.
Instancabile è stato il deputato Mário Juruna nel primo anno di mandato. La mole delle attività svolte e dei provvedimenti da lui presi ha spaventato la nazione. Nel suo gabinetto ha ricevuto gli elettori dello stato di Rio de Janeiro, gli affamati del Nordest, i leader e le delegazioni indigene provenienti dalle più disparate regioni del paese. Ha visitato aree critiche. Ovunque si sia recato, ha ascoltato chi lo avvicinava. È andato a reclamare con le più alte sfere del potere in Brasília. Ha stabilito contatti diretti con il presidente della Repubblica, i ministri, il presidente della FUNAI. Attenti solo all’impatto dei suoi pittoreschi discorsi, i critici di Juruna non hanno visto, e quindi non hanno analizzato, la varietà e ricchezza delle sue preoccupazioni quotidiane, che spaziavano dall’elezione diretta del presidente della Repubblica alla trasformazione delle leggi elettorali, dalla corruzione al debito estero. In relazione alla politica indigenista, ha avviato due progetti di legge di particolare rilevanza. Ha suggerito la creazione di una Commissione Parlamentare dell’Indio, che fosse permanente; la sola presenza di un rappresentante indigeno nella Camera dei Deputati rendeva la proposta incontestabile; ad ogni modo, il consenso dell’opinione pubblica sull’incompetenza e corruzione della FUNAI contribuiva a far sì che la commissione venisse subito creata, divenendone, Juruna stesso, il primo presidente.
L’altro progetto di legge prevedeva la totale ristrutturazione della FUNAI, e la riformulazione della politica indigenista ufficiale. Persino un dibattito sull’uso della lingua xavante in un discorso in parlamento, metteva in difficoltà gli incaricati del mantenimento delle norme interne dell’istituzione, rendendo esplicita la dimensione etnocentrica e colonialista del parlamento stesso. La presenza polemica di Juruna nello scenario politico nazionale ha scosso valori e preconcetti radicati, e ha energicamente avviato la riflessione sulla problematica delle diversità culturali all’interno di uno stato nazionale contemporaneo. La speranza che indios e indigenisti avevano riposto in Juruna si è pur sempre trasformata in spazio di riconoscimento delle società indigene: fino a quel momento relegate, da oggetti, nell’ambito amministrativo, cominciavano creativamente a far parte del sistema politico dello stato brasiliano.
(Pubblicato dall’Università La Sapienza in Kúmá n. 17, con il titolo “Ritrovata o smarrita identità”, è uno dei capitoli del libro inedito Amazzone in tempo reale)
Bibliografia
Povos Indígenas no Brasil 1980/1981/1982/83/1984/85-86,
Aconteceu especial, n. 6(4/81), n. 10 (4/82), n. 12 (4/83), n. 14, n.15, n. 17, CEDI, São Paulo.
http://www.disp.let.uniroma1.it/kuma/kuma.html
Pubblicato da Loretta Emiri a 20:44Nessun commento:
Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su Facebook
Etichette: AMAZZONE IN TEMPO REALE