• Il peggior delitto dell’uomo…lettura commentata de “La vida es Sueño” di Pedro Calderon de la Barca

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    di Gian Carlo Zanon

    Presentazione

    Forse non era tempo, nella Spagna dell’inquisizione e negli anni che seguirono il Concilio di Trento, per rappresentare orgogliosi eroi titanici, ma certo Calderon non fece molto per farli rivivere, o meglio evocò un essere umano consapevole ed orgoglioso della propria nascita per poi togliergliela e farlo cadere nella pochezza della coazione a ripetere e nell’identificazione con il padre.

    Forse non era tempo, però, qualche anno prima, Lope de Vega  aveva riscritto per le scene la leggenda del Cavaliere di Olmedo, un eroe a tutto tondo che però non riesce a vedere la realtà interna dei suoi nemici e questa cecità la  pagherà con la morte. La sua vita, anche di fronte alla morte, sarà eroica.

    Ma perché Calderon e perché La vida es sueño. Perché questa opera ricodifica l’antica credenza orientale e giudaica che considera la vita terrena come un sogno, dal quale ci si sveglia alla vera vita con la morte. La vida es sueño , che sembra la riscrizione del mito di Edipo, è emblematica per la comprensione del teatro del drammaturgo spagnolo, soprattutto per capire il concetto di Teatrum vitae umanae, cioè la percezione del mondo e della vita umana unicamente come rappresentazione o sogno divino che tanto ossessionò Pedro Calderon de la Barca. Inoltre il teatro calderoniano ha influito enormemente sul teatro dell’assurdo ( pensiamo a Camus  e a Beckett) e se vogliamo anche sulle opere di Pirandello, e ci riferiamo in particolare all’Enrico IV e alla commedia Il gioco delle parti). Inoltre tracce di tale pensiero le ritroviamo nelle tesi filosofiche di Schopenhauer –Il mondo come volontà e rappresentazione- e nell’esistenzialismo.

    Il commento alla lettura dei brani potrà sembrare inconsueto, ma si è cercato di interpretare la tragedia con un nuovo  metodo di indagine, con un più efficace motore di ricerca; anche perché il mito millenario di Edipo, che ha solcato il tempo attraverso le opere di Sofocle, di Seneca ed infine di Calderon, è stato quasi sempre frainteso o quantomeno non è stato esplorato con sufficiente profondità.

     1) Un uomo si  dibatte come un Prometeo incatenato nella segreta di una torre che si erge in mezzo alle montagne, chiedendosi il perché del suo stato. Ci ricorda Kaspar Hauser, una nascita negata, ma al contrario di lui, che non conosceva il linguaggio degli uomini, costui ha ricevuto un’educazione umanistica da un guardiano precettore.

    Versi  102 – 112

    Ay, misero de mì, ay, infelice!

    Apurar, cielos,  pretend,

    ya que me tratàis asi,

    qhé delito cometì

    contra vosotros, nasiendo.

    Aunque si nacì, ya entiendo

    Que delito he cometido:

    bastante causa ha tenido

    vuestra justicia y rigor,

    pues el delito mayor

    del hombre es haber nacido.

    Quale è la sua   colpa?  Egli  sospira nell’oscurità : “Dunque il peggior delitto per l’uomo è quello di essere nato.”

    L’uomo è Sigismondo, principe di Polonia che il Re-padre Basilio reinfetò nella torre al momento della nascita perché  aveva letto negli astri infausti auspici, i quali predicevano che il nascituro sarebbe diventato un odioso tiranno e che avrebbe umiliato il padre.

    Sembrerebbe che l’autore abbia una visione chiara della realtà del personaggio e che sia con lui solidale in questa denuncia: perché un uomo senza colpe è rinchiuso in un prigione? Il principe è innocente dato che nascere non è certamente una colpa. Ma non è così, Calderon conosce e ritiene vera la credenza cristiana del peccato originale, colpa che il neonato avrebbe in sé già al momento del concepimento. Ma ciò che la cultura della Spagna di allora, in particolare, e la società patriarcale in generale, non possono accettare è l’insorgenza di un assolutamente nuovo come l’evento di una nascita.

    E potremmo parlare per ore dei riti post-nascita che sono azioni per dichiarare l’esistenza di ciò che esiste di per sé. Riti che sono presenti in tutte le latitudini e in tutti i tempi ove esiste il patriarcato. L’oikos greco è esemplare: il neonato veniva adagiato in terra accanto al focolare  in attesa del riconoscimento da parte del padre, il quale nominandolo, cioè dandogli un nome, lo dichiarava esistente; ma poteva anche non riconoscerlo e il bambino veniva esposto fuori dalle mura della città e lasciato in pasto agli animali. E qui non possiamo fare a meno di pensare al mito di Edipo dove il figlio di Laio ancora senza nome viene esposto alle fiere sul monte Citerone.alla circoncisione.

    Ma anche il battesimo cristiano, la circoncisione sono riti che hanno il loro fondamento nella credenza che solo riconoscendo e dando un nome al neonato questi divenga esistente e umano.

    Ma quali sono le fonti della Vida es sueño :  l’Edipo Re  probabilmente letto dalla tragedia di Seneca; la Comedia del triunfo de la Fortuna dove un pastore ubriacato diviene Re per un giorno; Le coplas delle danze macabre medioevali che svilivano il senso della vita terrena; i sermoni di predicatori come il Savonarola; il Carnevale medievale con il suo capovolgimento della realtà e infine l’opera tedesca Somnium vitae humanae di Ludovico Ollonius. L’opera scritta in tedesco, nonostante il titolo, drammatizza la favola dell’ubriacone improvvisamente convertito nel duca di Borgogna e in seguito restituito al suo stato.

    Ma leggiamo dall’ Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam: “ L’intera vita umana non è altro che uno spettacolo in cui, chi con una maschera chi con un’altra, ognuno recita la propria parte, finché, ad un cenno del capocomico, abbandona la scena”.

    Calderon scriverà in seguito El gran teatro del mundo. Il dramma si svolge in un mercato che vuole rappresentare la terra come un palcoscenico dove ogni uomo deve interpretare la propria  parte. Finita l’azione tutti vanno a rendere conto al capocomico supremo. Però questa messa in scena è troppo didascalica e quindi non può toccare corde profonde della psiche. Ma una rappresentazione simbolica si lo può fare, perché agisce surrettiziamente, soprattutto quando rende visibile il mondo del sogno che rimane sempre tra realtà e illusione.

    Quindi Calderon attingeva a piene mani dalla cultura lavorando sul senso o non senso della vita terrena.

    La mimesis pagana, che prendeva dal mito il materiale della rappresentazione, proponeva dei contenuti etici e non verità dogmatiche. Al contrario le rappresentazioni religiose cristiane, concepite come imitazione, danno per scontato una aderenza alla verità assoluta. Nei drammi Calderoniani i simbolismi hanno ancora una valenza rappresentativa, quindi vogliono incidere sulla visione del mondo dello spettatore e del lettore, mentre gli Autos Sacramental sono celebrazioni per affermare i dogmi del cattolicesimo, infatti hanno fortuna in periodi di crisi come ad esempio durante la controriforma.

    Representacion de un auto sacramental

    Calderon, che inizia la carriera di drammaturgo con un Auto sacramental, fa confluire nel suo teatro il pensiero dogmatico, platonico e cristiano, sulla vanità della vita terrena, e lo rappresenta proponendo la vita come sogno, dalla quale ci si sveglia al momento della morte per iniziare la vera vita. Questo pensiero percorreva già il medioevo e veniva espresso nelle coplas delle danze macabre e nei sermoni. Savonarola predicava che la vita è un sogno, un brutto sogno nel quale l’anima si dibatte nella materia  cercando quella libertà che troverà solamente con la morte del corpo.

    2) Siamo ora alla sesta scena. Il re Basilio re di Polonia e padre di Sigismondo racconta alla corte gli accadimenti che portarono all’incarceramento del figlio.

    Versi  664 – 675  – Versi  696 – 705  – Versi  730 –745

    Antes que a la luz hermosa

    le diese el sepulcro vivo

    de un vientre, porque el nacer

    y el morir son paresidos,

    su madre infinita veces,

    entre ideas y delirios

    del sueño, vio que rompìa

    sus entrañas atrevido

    un monstruo en forma de hombre;

    y entre su sangre teñido,

    le daba muerte, naciendo

    Vìbora humana de siglo.

    ……Los cielos se escuresieros,

    temblaron los edificios,

    llovieron piedras las nubes,

    corrieron sangre los rios.

    En este mìsero, en este

    mortal planeta o signo

    naciò Sigismundo, dando

    de su condiciòn indicios,

    pues dio la muerte a su madre,

    con cuy fiereza dijo:

    hombre soy, pues que ya empiezo

    a pagar mal beneficios. 

    ………Pues dando credito yo

    a los hados, que adivinos

    me pronosticaban daños

    en fatales vaticinios,

    determiné de encerrar

    la fiera que habia nacido,

    por ver si el sabio tenìà

    en la estrellas dominio.

    Publicose que el infante

    Naciò muerto y, prevenido,

    hice labrar una torre

    entre las peñas i riscos

    de dos montes, donde apenas

    la luz ha hallado camino,

    por defenderle la entrada

    sus rùsticos obeliscos.

    Nei primi versi racconta il sogno che fece la moglie prima della nascita di Sigismondo:

    “Un mostro nascendo le lacerava le viscere”.

    Questo sogno viene interpretato come conferma alle predizioni astrali.

    Altra conferma (che naturalmente prova il suo delirio) avviene alla nascita del neonato che causa la morte della madre. Per il Re Basilio il principe nascendo la uccide volontariamente dato che è un mostro tracotante:

    “con quale fierezza disse : uomo sono”.

    Il neonato è quindi percepito in modo delirante e presentato come un mostro assassino che nasce con smisurato orgoglio gridando al mondo la propria essenza.

    Sembra comunque che Calderon avesse ben presente il libro Teatrum mundi di Pierre Bonaistuau* dove la vita umana viene dipinta come una tragedia immonda già dal concepimento, dato che si concepisce nel peccato. Inoltre doveva aver letto le  Confessioni di S. Agostino dove viene presentato il neonato in modo raccapricciante.

    Il neonato principe viene presentato come un mostro assassino, come se tutto ciò gli si potesse minimamente imputare.

    Comunque gli accadimenti dimostrano che le predizioni erano esatte: per Basilio  Sigismondo era una belva che andava rinchiusa.

    Ora, dopo una ventina d’anni, il Re forse preso dal dubbio o per verificare se questo tempo è bastato per portare alla ragione il mostro e annichilirne l’orgoglio, decide di far una prova: farà addormentare il principe con una droga, lo porterà a palazzo dicendogli che tutto ciò che ha vissuto finora è un sogno.

    La scena è curiosa, un padre violento che, per il suo delirio, ha reinfetato un neonato in una segreta, ci viene presentato come un brav’uomo magnanimo anche quando propone questo crudele esperimento per tentare di alterare, in Sigismondo il rapporto con la realtà.

    Questo modo di  presentare il re di Polonia, più o meno, ripete la rappresentazione che Sofocle fa di Laio il padre di Edipo. Anche lui è un uomo terribile, tanto è vero che la maledizione che pesa sulla sua famiglia: “Tu farai un figlio che ucciderà il padre e giacerà con la madre” gli è scagliata dal padre di Crisippo, un giovane che Laio ha violentato e portato al suicidio per la vergogna. Ma tutto questo nell’opera viene taciuto, l’unico violento è Edipo, il parricida.

    3)

    Basilio spiega alla corte il suo piano

    Versi  1113-1119 – Versi  1134-1149

    Esto quiero examinar,

    trayéndole donde sepa

    que es mi hijo, y donde haga

    de su talento la prueba.

    Si magnànimo se vence,

    reinarà; pero si muestra

    el ser cruel y tirano,

    le volveré a su cadena.

     

    …… Con esto llegan

    a exminarse dos cosas:

    su condicion la primera,

    pues èl despierto procede

    en cuanto imagina y piensa;

    y el consuelo la segunda,

    pues aunque agora se vea

    obedecido, y despues

    a sus prisiones se vuelva,

    podrà entender que soñò

    y harà bien cuando lo entienda,

    porque en el mundo, Clotaldo,

    todos los que viven sueñan.

    In questi versi Basilio dice: se Sigismondo si comporterà da persona civile, continuerà a vivere a corte e in seguito erediterà la corona, altrimenti sarà di nuovo drogato e ricondotto nelle torre e gli verrà detto che i giorni vissuti nella reggia non sono altro che un sogno.

    “ E sarà bene che lo capisca, perché tutti quelli che al mondo vivono sognano di vivere”

    E qui c’è una minaccia appena velata: sarà bene che Sigismondo capisca di non essere nato, di essere solo un sogno, comprenda che non si devono prendere troppo sul serio la vita e le passioni umane. Quindi se il principe si conformerà al vacuo mondo cortigiano, se saprà interpretare bene il ruolo che gli è stato assegnato dal regista celeste, se rinuncerà all’assurda pretesa di essere si salverà, altrimenti sarà dannato.

    Sigismondo è un uomo nato libero nonostante sia prigioniero fin dalla nascita. Ha un’educazione umanistica ma non è educato alle leggi e alla anaffettività  cortigiana, non conosce che la legge interna, e come tutti gli eroi non può aderire alla norma. Egli conosce le parole solo nell’accezione primaria del rapporto fra uomini non i significati secondari che i cortigiani applicano arbitrariamente ad esse. Di fronte alla realtà manierata di corte diviene violento, scaraventa dalla finestra un lacchè di corte che lo importuna e alla vista della donna amata ha un approccio che si potrebbe definire un po’ troppo veemente.

    4)

    Poi c’è l’incontro drammatico con il padre. Egli non ha dubbio sul ricordo, lo affronta accusandolo di avergli rubato il tempo, di non averlo fatto nascere al mondo, ed è un grido rabbioso:

    Versi  1502-1519

    Pues en eso

    Que tengo que agradecerte?

    Tirano de mi albedrìo,

    si viejo y caduco estàs

    muriendote que me das?

    Dasme mas de lo que es mio?

    Mi padre eres y mi rey;

    luego toda esta grandeza

    me da la naturaleza

    por derechos de su ley.

    Luego aunque esté en este estado,

    obligado no te quedo,

    y pedirte cuentas puedo

    del tiempo que me has quitado

    libertad, vida y onor;

    y asì agradéceme a mì

    que yo cobre de ti,

    pues eres tù mi deudor.

    “Perché dovrei esserti grato di questo mio stato, quando mi spetta di diritto , voglio vendetta per il  tempo che mi hai rubato, per la libertà violata, per la vita negata”

     “Sembra voglia dire “sono nato da solo”

    E qui dobbiamo affrontare il tema del tempo: quello della concezione cristiana vale a dire la soppressione del tempo secolare, l’accettazione di una imperturbabile eternità, e il tempo umano legato alla trasformazione, che da senso all’esistenza.

    Cos’è il tempo nella Spagna della controriforma, come veniva percepito dall’autore?

    Forse inconsapevolmente Calderon evoca, parlando di tempo rubato, l’irruzione della nascita. Evento che spezza il tempo eterno della tradizione cristiana.

    Quindi, come afferma Sigismondo all’inizio del dramma, la nascita è una colpa o atto di tracotanza, perché il nuovo irrompe spezzando il cerchio dell’eternità religiosa. Eternità imperturbabile che sopprime il tempo ma che viene minacciata da ogni nuova nascita.

    Il nuovo affiorante sopprime l’ordine metafisico e ripristina il Caos primigenio causando angoscia a chi vorrebbe annullarlo.

    Quindi per il pensiero cristiano la nascita è caos perché è l’inizio del  tempo interno.

    Il cosmos, l’ordine eterno è l’esatto contrario: Chi sceglie la vita religiosa esce dal secolo come fa, nell’opera di Pirandello, Enrico IV che alla fine del terzo atto sceglie di entrare deliberatamente nella follia che lo porta fuori dal tempo secolare,. Egli entra nell’atemporalità, sceglie di essere maschera vuota, un ruolo assurdo senza senso.

    Nell’eternità essere un Re del XII secolo o  un borghese del XX secolo è la stessa cosa. Le ultime parole del personaggio pirandelliano sono: “Ora sì … per forza…qua insieme …e  per sempre” Per sempre ..alias in eterno.

    Per il sistema filosofico cristiano tutta l’umanità è condannata perché Adamo ed Eva non hanno rispettato il patto con Dio. Il rapporto sessuale ha fatto loro ritrovare la nascita e i passi perduti del tempo interno. Infatti dopo il loro atto di orgoglio escono dall’atemporalità  non sono più immortali, né eterni: l’albero della conoscenza gli ha rivelato la corsa dell’uomo verso la morte.

    Nascere significa entrare nel tempo, rompere il cerchio dell’eternità, divenire, trasformarsi, in sintesi realizzare la propria nascita. Infatti nei versi 2981- 2985 Sigismondo dichiara che lasciando le inutili passioni si giunge all’eterno. Solo l’eternità merita la fama il resto è doxa apparenza.

    Un’idea di eternità che non può aderire alla realtà interna degli uomini; ma il cristianesimo capovolge il concetto di tempo umano*: la nascita diviene morte in quanto l’anima costretta dal corpo non vive, la morte è nascita in quanto dopo la morte c’è la vera vita …. eterna, appunto.

    Basilio nei versi precedenti afferma:

     Versi 666 e 667

    ……porque el nacer

     y el morir son parecidos,…

    “….. il nascere e il morire sono simili”

    5)

    Ma torniamo a noi

    Basilio vedendo la ribellione del figlio lo minaccia nuovamente:

    Versi  1520-1521

    Barbaros eres y atrevidos:

    cumpliò su palabra el cielo;

    y asì para èl mismo apelo,

    soberbio desvanecido.

    Y aunque sepas ya quién eres,

    y desengañado estàs,

    y aunque en ul lugar te ves

    donde a todos te prefieres,

    mira te advierto:

    que sea humilde y blando,

    porque quizà estàs soñando,

    aunque ves que estàs despierto.

     “Sei un barbaro, avevano ragione gli astri, ma ti avverto, sii calmo e umile perché forse stai sognando anche se ti sembra di essere sveglio”

    La vita è sogno, la vida es sueño, Calderon lo fa  ripetere ossessivamente per tutta l’opera per convincere, per convincere se stesso, per placare in qualche modo l’inquietudine che affiora.

    Forse per velare le immagini che sorgono e che negate sono causa d’angoscia.

    Alla base delle tesi filosofiche cristiane c’è un’idea preminente: la vita non è degli esseri umani, dibattersi è vano, Dio da la vita e Dio la toglie.

    In questo sistema filosofico che senso ha più Prométeo che lotta contro gli Dei o Antigone che rifiuta le leggi scritte dagli uomini ma che sono inumane, perché affannarsi se la vita è privata di senso.

    Nella tragedia attica un essere umano  contravviene alle leggi divine o alle norme sociali fissate dall’isonomia, vale a dire dalle istanze dei più e questo lo porta alla distruzione. Assistiamo quindi alla dicotomia tra essenza ed esistenza ben rappresentata nell’Antigone di Sofocle; per esistere in una società isonomica non si deve essere e chi contravviene alla norma e alle leggi scritte paga con la vita.

    Già Euripide, manipolando socraticamente il mito, scalfisce il senso della tragedia, ma il colpo ferale verrà inferto dal sistema filosofico cristiano che elimina la crisi eliminando la sua causa cioè l’essere. E l’orgoglioso eroe diviene il martire, eroicamente umile in vita, che nega la sua essenza alienandola ad un Dio che a sua volta gli nega il senso della sua esistenza terrena.

    Nella tragedia greca la discesa delle divinità olimpiche fra gli esseri umani, la loro interferenza nelle leggi della polis, il deux ex machina, rappresentano l’alterazione e la normalizzazione della figura dell’eroe e della sua immagine inconscia: se esiste un disegno provvidenziale come può l’uomo farsi artefice del proprio destino? Come può essere Eroe?.

    L’eroe è legato, almeno sino all’avvento del cristianesimo, al concetto di ybris, cioè un atto di tracotanza, un’emergenza dell’essere. Il mito greco di Prométeo è paradigmatico. La ribellione agli dei, questo atto di estremo orgoglio che ha caratteristiche individuali, lo compie per gli esseri umani, i quali non possedendo né il fuoco ne la tèchnè sarebbero morti di stenti.

    L’idea di Eroe nell’antichità corrispondeva a quella dello scienziato; l’immagine eroica rappresentava un essere umano che cercava di donare al resto dell’umanità qualcosa che le permettesse di elevarsi sia materialmente che psichicamente: Da un’epigrafe paleo-sumerica: SOLE 24 ORE del 26/10/1997”…affinchè io con la mia vasta intelligenza, che supera ogni cosa, alla mia città e al mio paese acqua dolce possa procurare, e il mio comportamento e la lode della mia eroicità fino alla fine dei giorni possa far risplendere egregiamente,” Questo eroe-architetto cambia il corso del fiume per portare l’acqua nelle città sumere, egli non si adatta al reale, lo trasforma. Ed è questo atto che lo allontana più di ogni altro dallo stato ferino; egli è più umano degli altri uomini, è un Mutante. Lo scienziato per la sua eroicità diviene così vincitore del tempo, immortale.

    Il cristianesimo invece muta l’eroe in martire, cioè colui che si opponeva al volere degli dei diviene un personaggio che si identifica e si conforma, annullando se stesso, al disegno divino, al nuovo patto con Dio.

    Dal massimo della presenza e dell’espressione  dell’eroe al suo esatto contrario nel martire: assenza e alienazione del proprio essere a Dio.

    Ma continuiamo

    6)

    Sigismondo si ribella alle minacce del Padre

    Versi  1532-1548

    Que quizà soñando estoy,

    aunque despierto me veo?

    No sueño, pues toco y creo

    Lo que he sido y lo que soy.

    Y aunque agora te arrepientas,

    poco remedios tendràs:

    sé quien soy, y no podràs,

    quitarme el haber nacido

    desta corona heredero;

    y si me viste primero

    a las prisiones rendido,

    fue porque ignoré quién era;

    pero ya informado estoy

    de quien soy, y se que soy

    un compuesto de hombre y fiera.

     “non sogno,” gli risponde il principe “ so chi sono e tu non puoi togliermi la nascita”  – “Quitarme el haber nacido”

    E continua il Re con la  seguidilla,  il ritornello: “attento a te che la vita è un sogno”

    E così il principe quindi fallisce la prova, confermando nuovamente gli auspici del padre, viene drogato e ricondotto nella segreta.

    Il suo carceriere tutore, vedendolo nuovamente in catene, esclama: “è qui che lo dovete lasciare, dunque oggi la sua superbia, finisce dove iniziò” Mi sembra chiaro. La sua superba seconda nascita finisce dove è nata.

    Al risveglio nella cella c’è una prima crisi di identità, anche se ritorna il ricordo dell’immagine femminile:

    Versi  2132-2137

    De todos era señor,

     y de  todos me vengaba;

    sòlo a una mujer amaba;

    que fue verdad, creo yo,

    en que todo se acabò,

    y esto sòlo no se acaba.

    “amavo una donna, per questo credo che fosse realtà: Ma tutto questo finì e solo questo mio stato non finisce”

    Ma, a parte questo lieve ricordo per la donna amata, ormai Sigismondo ha ceduto, la vita è un palcoscenico vuoto ove si accampano le immagini proiettate.

    Qui sopravviene la crisi: Cos’è la crisi per Sigismondo?

    E’ una scelta: se resistere soffrendo per il ricordo della donna amata e mantenere la speranza o lasciare svanire quell’immagine per la paura di quel dolore che lo opprime.

    Sigismondo resiste finché ha la memoria della nascita per il ricordo di una donna: “Amavo  una donna; sono certo che fu realtà” e sono parole da brividi che Machado ha definito palabras en el tiempo, parole gravide di senso nelle quali gli affetti sono ben presenti.

    Ma ormai la memoria dell’io inizia ad incrinarsi.

    Versi  2148-2157 – Versi  2182-2188

    Y sì haremos, pues estamos

    En mundo tan singular,

    que el vivir sòlo es soñar;

    y la experiencia me enseña,

    que el hombre que vive, sueña

    lo que es, hasta despertar.

    Nel mondo, in conclusione, tutti sognano ciò che sono” e ancora “ cos’è la vita un ombra, una finzione, tutta la vita è sogno e i sogni sono solo sogni

    Quindi, ormai per il principe non solo la vita è sogno, ma anche i sogni non hanno alcun valore.

    Quando tutto sembra perduto c’è un colpo di scena: i soldati ribelli vengono a liberarlo, ma egli non vuole più uscire,

    “io so che la vita che vivo altro non è che sogno, finzione dei miei sensi morti” Altra dichiarazione di morte psichica, e poi la “rivolta” ma questa volta è un movimento disarmonico e privo di senso “Bè, se la vita è sogno sognamola” afferma il ribelle.

    Con questa dichiarazione fatua esce dalla segreta, vince la resistenza di soldati e cortigiani fedeli al Re-padre e quando giunge al suo cospetto colpo di scena: Sigismondo perdona il padre, condanna il soldato ribelle che lo ha liberato, riservandogli la sua sorte, cioè lo fa rinchiudere a vita nella torre. Il principe, o meglio ciò che resta di lui, la sua ombra annientata, si inginocchia vinto al padre chiedendogli di punirlo per la sua ribellione, e per dimostrare di aver ormai raggiunto l’autocontrollo, rinuncia a Rosaura di cui era innamorato, annulla la sua immagine femminile.

    “Il maggior valore non fu vincere i soldati, ma vincere me stesso”

    La corte raccolta acclama Sigismondo lodando la sua prudenza, il suo raziocinio, la sua identificazione col padre e la sua aderenza alla norma.

    Così termina la tragedia di Calderon. Si tragedia perché, nonostante il finale trionfalistico e apparentemente felice, l’opera rappresenta la tragedia di un essere umano che muore a vent’anni anche se vivrà a lungo.

    Sul palcoscenico non rimane altro che una marionetta che mima gli affetti.

    Credo che si debba usare un’altra teoria come chiave per investigare il mondo della rappresentazione, una teoria atea sull’essere umano, che non racconti di nascite che hanno in sé, aprioristicamente la malattia mentale, alias il peccato originale. Una teoria che ci permetta di interpretare la  tragedia, già perché di tragedia si tratta.

    E’ la tragedia di un uomo che perde la nascita e viene annichilito psichicamente: ciò che il padre non è riuscito a fargli in vent’anni di costrizione fisica gli riesce in poche ore alterandogli il rapporto con la realtà.

    Per paura che si ripresenti uno stato di angoscia che forse lo porterebbe alla pazzia egli si adegua al mondo cortigiano  che lo circonda, si abitua alla norma per prevenire la delusione e diviene anaffettivo raggiungendo il dominio superegoico o se vogliamo ponendosi la camicia di forza della ragione sostenuta dalla credenza religiosa.

    Alla fine chiedendo perdono  al padre per la sua ribellione in effetti egli chiede di riconoscergli una pseudo nascita che Basilio è ben lieto di accordagli ora che il figlio si è ben identificato con lui e con la norma.

    Rimaniamo alla fine sconcertati per le alterazioni subite dai personaggi.

    Questa opera è spesso stata interpretata come una carrera de vivir , vale a dire un cammino di conoscenza che va dalla  passione alla  ragione, dallo lo stato ferino istintivo alla prudenza razionale, e forse le intenzioni dell’autore furono proprio queste. Quindi il dramma non sarebbe altro che una ricodificazione del pensiero razionale e religioso, che ha le sue radici nel pensiero platonico, e che vede la ragione come unico strumento per allontanare l’uomo dallo stato ferino e farlo vivere in un consesso civile.

    Sigismondo per raggiungere la ragione rinuncia alla passione e ai desideri, infatti perdona il padre violento, rinuncia alla donna amata, fa incarcerare per sempre il soldato ribelle che lo aveva liberato, e lo fa per dar prova del suo autocontrollo; è l’apoteosi dell’anaffettività.

    Questo risultato, cioè il passaggio da marionetta che agisce i propri affetti a burattino che viene tirato da fili altrui, è auspicabile per un pensiero che pensa all’uomo libero da freni morali, intesi superegoicamente, come ad un animale istintivo e quindi violento.

    Per sorte noi sappiamo che l’essere umano libero da identificazioni non è Mister Hide né un animale assassino e che il peggiore delitto per un uomo non è  essere nato, semmai  è quello di aver  perduto le tracce  della propria nascita.

    F i n e

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