• IL DESTINO NON HA FAVORITI – Racconto di Paolo Benetti

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    hokusa


      “Caina attende chi a vita ci spense”

     Primo capitolo

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    I maiali erano quattro; tre scrofe e un maschio, enormi e, a quanto pare, affamati. Li aveva già visti un paio di volte circolare liberamente per le sue proprietà abbuffandosi nei seminati di soia quasi pronta per il raccolto, e avevano mangiato, inutile dirlo, come porci. La prima volta non aveva detto nulla, anche se, quattro maiali in un campo di soia quasi matura, possono fare un bel danno.

    Rimuginò, rispetto ai suini, cose poco edificanti, però a distrarlo dal rosario delle imprecazioni fu il pensiero che mancavano una quindicina di giorni non di più, prima di far entrare le mietitrici. Avrebbe dovuto avvisare il Villegas, il mezzadro che lavorava per lui, magari sapeva  anche da dove venivano ‘sti benedetti maiali, anche se lui, più pensava e più era certo della loro provenienza.

     

    Sicuramente erano scappati al vicino. Non ci sono dei maiali randagi da   queste parti, il maiale ha un valore economico e uno non si dimentica di averli, e l’unica persona, che viveva in campagna, era il Guiscardi. Gli altri proprietari, come lui del resto, abitavano nel paesino di poche anime a circa una decina di chilometri, quindi, se gli erano scappati, una volta poteva anche succedere, non avrebbe certo fatto una scenata per questo e non valeva nemmeno la pena di andare a dirglielo. Che forse non lo sapeva che gli erano sfuggiti? Un disguido, aveva pensato comprensivo. Perché farsi il sangue amaro per delle quisquilie? Lui con i vicini si era sempre comportato così. “Il vicino è sacro” diceva suo padre, “tu non puoi mai sapere quando avrai bisogno di lui” e quindi vanno sempre trattati bene. In questo modo era cresciuto e in questo modo si era comportato. Sempre, fino al 5 aprile di quell’anno.

     

    Che se uno cerca problemi con i vicini le occasioni non mancano mai, perciò tollerava quell’avaro incallito che, nel terreno dove aveva le vacche, non voleva rifare la recinzione con il fil di ferro che indubbiamente ha dei costi. La regola dice che la recinzione si fa a metà, e lui aveva fatto la sua metà, poi, quando sempre gentilmente aveva chiesto a Francesco Tutolo, di fare la parte che gli corrispondeva, questi gli aveva risposto che non poteva, che era nelle spese, che le cose non andavano bene ecc. Balle grosse come case, il Tutolo non si rendeva conto della colossale contraddizione di quello che diceva, infatti, si era appena comprato una camionetta Toyota 4×4 nuova di pacca, spendendo una fortuna  che usava puntualmente per percorrere i duecento metri che separavano la casa dove viveva dal suo negozio di vestiti, e non la usava per andare al campo che lui la terra la aveva affittata a della gente che la coltivava, probabilmente non si ricordava nemmeno dov’era.  Una camionetta per 400 metri al giorno! Certo è che quando le sue vacche, passando per la recinzione che era rotta, avevano sconfinato nei seminati del Tutolo, apriti cielo! Che scandalo!…E non c’era verso di farlo ragionare… Avrebbe dovuto mandargli una lettera dall’avvocato… insomma sangue amaro. Alla fine l’aveva fatta lui la recinzione che mancava.

     

     

     

    La seconda volta che aveva visto i porci festeggiare nella soia, si era inquietato, anche perché lui in campagna ci andava solo un paio di volte la settimana, per curare l’orto e strappare le erbacce, innaffiare quando era necessario, insomma quelle cose lì che un medico di 63 anni può fare a tempo perso, e quindi vai a sapere da quanto tempo stavano lì, o quante altre volte era successo. E se la passavano bene, forse era il compleanno di uno di loro, dei maiali dico, perché grufolavano felici e grugnivano come se assentissero, con l’assoluta necessità di confermare la squisitezza del cibo.  Vi porto la torta ragazzi? Gli era venuto da pensare.

    Salì sul Chevrolet cassonato e senza chiudere il cancello si diresse dal vicino. Dopo la morte dei suoi, un paio di anni addietro, aveva comprato quel campo di un centinaio di ettari, terra buona e produttiva che dava un paio di raccolti l’anno, soia, grano o mais. Avrebbe dovuto cambiargli il nome poiché il vecchio proprietario l’aveva chiamato “La Esperanza” e a lui non piaceva, troppo banale e troppo comune, stava invece pensando di chiamarlo “El Chiflon” perché ogni volta che ci andava  vedeva sugli alberi una coppia di aironi fischiatori, appunto “Chiflones”. Erano belli con il loro becco arancione scuro, la testa azzurra e il corpo giallo oro e le zampe quasi rosse, erano uccelli eleganti e nemmeno troppo diffidenti.

     

     

     

    Avrebbe dovuto far fare un bel cartello di legno, con la scritta in bassorilievo e dipinta di bianco da appendere all’entrata e incaricare al suo amico Pablo, grande pittore di uccelli, di dipingerne uno sulla facciata della casa colonica che si trovava nella proprietà.

    Il tutto accompagnato da un bel asado che il battesimo di un campo è una cosa seria e va festeggiato come conviene. E mentre si sentiva Giovanni Battista sulle rive del Giordano e gli ritornava pian piano il buon umore, arrivò davanti all’entrata della casa del vicino.

    Per non sembrare troppo invadente lasciò il fuoristrada prima del cancello e si addentrò a piedi per un centinaio di metri. Il Guiscardi, con una canottiera di cotone, bianca a righine e un paio di pantaloni da lavoro, stava seduto sotto il fresco del portico di una trasandata casa coloniale che una volta era anche dipinta di bianco. Masticava assorto uno stuzzicadenti grattandosi la pancia. Ventre teso come una pelle di tamburo, perché era magro come lo stecchino che teneva perennemente in bocca.

     

    Mario, questo era il nome del vicino aveva sentito il rumore di un’auto e poi aveva visto arrivare il dottor Arrigo Plozt, conosciuto e apprezzato da tutti in paese, sapeva perché veniva, ma non aveva detto una parola.

    Arrigo aveva capito subito che non sarebbe stato facile, quell’atteggiamento indolente non presagiva nulla di buono. Da lontano lasciò scivolare un buon giorno e poi fece ancora qualche passo fino a trovarsi a pochi metri dal Guiscardi che sembrava di sale, salvo per il movimento involontario della mascella che stringeva nervosamente lo stuzzicadenti. Infine ricevette un buongiorno biascicato fuori dai denti come se avesse avuto paura di farsi scappare lo stuzzicadenti. Cominciò in tono dolce, dicendo delle ovvietà … non è che per caso sono suoi quei maiali che stanno circolando nei miei seminati? Certo che erano suoi, ma non voleva aggredirlo. Forse le sono scappati…

    Il Guiscardi alzò gli occhi e la mandibola ricoperta da una barba di una settimana, si contrasse in un movimento involontario. Gli venne fuori, o meglio, gli salì da dentro una voce roca, come di uno che non parla da due giorni ed ha le corde vocali ingarbugliate, arrugginite. Maiali? Però dovette dirlo due volte, perché la prima volta non era sicuro di aver capito lui stesso quello che diceva. Maiali?

    Sì, appunto, maiali, per la precisione quattro. Quattro? Domanda retorica del Guiscardi! Al dottor Arrigo sembrava di essere in una valle con l’eco… ma insomma, questo qui è o ci fa? Pensò mentre lo guardava con la faccia stralunata, non credendo ai propri occhi. Questa volta non ripeté il numero fece solo un cenno con la faccia come dire sì, ovvio, di che stiamo parlando?

    No, non li conosco.

    E l’aveva detto come se gli avessero chiesto di identificare dei pregiudicati. Non li conosco non è una risposta che si possa riferire a dei maiali.

    Cosa significa, non li conosco?  Che risposta da mafioso è questa? Pensò il dottore.

    Vuol dire che non sono suoi? Glielo chiese scandendo bene le parole. Le cose era meglio dirle chiare. No, non sono miei. E non sa dirmi di chi sono? Voglio dire qui nel raggio di 10 km non ci vive nessuno… Non so proprio cosa dire, non sono miei.  Che, sono porci selvatici eh? E con la mano fece un gesto come dire… è la parola giusta no? Il Guiscardi allungò la testa in avanti, come dire… se proprio vuole chiamarli cosi, faccia pure, ma non disse una parola. Silenzio.

    Nel frattempo, aveva intravisto sua moglie che lasciando da parte le faccende di casa si era fermata sulla soglia, senza uscire a salutare.

     

    Si era aspettato un sacco di scuse, ma negare così sfacciatamente l’evidenza proprio l’aveva lasciato di stucco, senza argomenti, e quel che peggio gli aveva tolto la possibilità di perdonarlo in un gesto magnanimo per i quali era tanto famoso. Quando il silenzio si fece insostenibile e si udiva la scopa di saggina fregare sul pavimento non ebbe altra scelta che salutarlo. In questo caso arrivederci, e saluti alla sua signora. Quest’ultimo lo disse a voce alta, perché la signora in questione sentisse. E lui sapeva perché.

    “…derci.” Fu quello che ricevette in risposta.

    E di nuovo con la coda dell’occhio aveva visto la signora affacciarsi timidamente sulla soglia di casa pur rimanendo nascosta dalla penombra.

     

    Questo è un cretino, pensò tornando alla camionetta. “Non li conosco” Si può rispondere così, ma cosa faceva da piccolo, il delinquente giovanile? Però si era anche convinto che adesso il Guiscardi sapeva che lui sapeva e questo fatto l’avrebbe fatto ragionare e avrebbe tolto questi “sconosciuti” che gli distruggevano il seminato. Era un povero cristo ma non una cattiva persona. Il tempo s’incaricherà di rendere vana questa considerazione.

    Ritornò nel suo campo a chiudere il cancello, non prima di aver cacciato via i maiali che casualmente presero la strada che portava da Mario. Chiaro di chi erano i maiali? Avrebbe avuto voglia di seguirli per vedere dove andavano sicuro che così sarebbero arrivati in una stravagante processione, i maiali davanti e lui dietro, dal Guiscardi. Ma non aveva tempo per questa bizzarra messa in scena doveva ritornare in fretta in clinica, l’unica clinica del paesino di circa diecimila anime, e anche l’unica clinica nel raggio di un centinaio di chilometri. Lui era il medico: generico, traumatologo, chirurgo, oculista, ostetrico, pediatra, insomma tutto quello che c’era da fare lo faceva, con un’unica giustificazione; se non lo faceva lui, il paziente poteva morire. In città si mandavano solo i casi che potevano attendere e che erano complicati, ma le urgenze le risolveva lui con la forza e la sicurezza di chi sa che non ha alternative.  Ed era anche medico forense, lo chiamavano ogni tanto per incidenti stradali o morti accidentali causate da animali ecc. Per questa ragione era considerato uno degli effettivi della Forza dell’ordine e, anche se non aveva l’obbligo di andare in giro in divisa gli avevano dato in dotazione una Smiht&Wesson calibro 40.

     

     

     

    La prima volta che l’aveva usata al poligono di tiro si era reso conto della forza tremenda del contraccolpo che gli alzava notevolmente il tiro, fino a quando ci aveva fatto la mano e si era abituato all’idea di tenerla un po’ più bassa rispetto al bersaglio. Del resto lui era cacciatore, attività cui si dedicava da anni nel poco tempo che la clinica lo lasciava libero. Non era sposato e non aveva figli,  quindi il suo mondo erano il lavoro, la caccia e la campagna. Viveva in un piccolo appartamento sopra la clinica, che non era grandissima ma sempre piena, giorno e notte, con infermiere e donne di pulizia e ogni tanto un giovane medico che lo aiutava come anestesista.  Una delle domestiche, Juana Pè, erano anni che viveva lì ormai fissa e si occupava della pulizia del suo appartamentino. Con il tempo era passata alle mansioni di un maggiordomo. Insomma la factotum della casa. A volte cucinava per Arrigo, puliva, organizzava i turni delle infermiere, delle donne della cucina e di quelle che s’incaricavano della pulizia generale della clinica. Rispondeva al telefono, riceveva i pazienti, pagava le bollette e teneva un minimo di amministrazione quotidiana perché il dottore, senza offesa, era un vero disastro.  Era una signora di una certa età, grassottella e non molto alta ma piena di energia. Non aveva famiglia e si era presa a cuore il lavoro che alla fine, per lei, era la vita stessa. La sua funzione si era estesa pian piano, senza scossoni, non è che un giorno aveva deciso di occuparsi di tutto, è che semplicemente, era andata a riempire gli spazi vuoti, e con molta discrezione. Ogni tanto, si permetteva anche qualche critica, soprattutto quando vedeva che il dottore non si faceva pagare o i clienti retribuivano in modo strano.

    Un giorno era entrata nell’ambulatorio dicendo che fuori c’era uno con due galline.  Il dottor Arrigo la guardò come dire, che ci devo fare? Fuori è pieno di gente, siamo un paesino di campagna e ci sarà anche uno con due galline, e allora?

    Anche perché fuori non si sapeva bene cosa volesse dire; in strada, nel corridoio, sulla porta che in pratica dava sulla strada

     

    Vuole venderle? No, vuole pagare…Pagare cosa? La visita Dottore! Se non l`ho visitato…Appunto! Disse con un tono di trionfo Juana. La visita che deve fare! Va bene, vedremo se la visita vale due galline o una. Lo faccio entrare? E che vuoi tenerlo in strada? Sì, ma la sala d’attesa, lei lo sa, è piccolina, ci sono altri pazienti, con ‘ste galline che non sono mica morte, starnazzano.

    Juana, le anatre starnazzano. La riprese Arrigo con tono paternale.

    E le galline che fanno? E… non lo so che fanno… si agitano, che domande sono queste? Io non sono mica un veterinario. Rispose chiaramente in difficoltà e tanto per dir qualcosa. E che faccio le prendo? E certo che le prendi, e non solo le prendi, le prendi e le spenni così ci facciamo il brodo. Ecco sì, il brodo, perché mi sembrano due galline vecchie. Sarà più buono il brodo, Juana… Sì, però poi, se si sparge la voce, le bollette come le paghiamo, con le piume? Erano esattamente i tipi di problemi che Arrigo non voleva sentire, e meno ancora discutere. Con il gesto della mano le fece capire che ora doveva lavorare. Però, per non essere troppo scortese, aggiunse un accomodante: va bèh, poi vedremo.

    Non sempre erano d’accordo sui sistemi scientifici della medicina moderna…Per esempio Juana preferiva andare da sciamani, o guaritori come dir si voglia.  Ci andava lei e poi accompagnava le amiche. Arrigo, chiudeva un occhio, dicendo sempre la stessa cosa; “se ti fa bene, va benissimo, tanto poi l’appendicite te la opero io!” Aggiungeva con lo sguardo sornione.

    Però Juana, ben lontana dal raccogliere l’ironia del dottore, si era fatta forte di un caso per altro raro, che il Dottor Arrigo aveva seguito da vicino. Una sua amica, una signora sui 40 anni, soffriva da tempo immemorabile di psoriasi in tutto il corpo, era una dannazione per lei andare in giro sempre vestita, anche quando le calure estive erano, a dir poco, soffocanti. Nessuna cura, né di quelle propinate dal Dottor Plotz e nemmeno quelle fatte in città da esperti e specialisti di tutti i tipi, avevano dato risultato. Juana la convinse ad andare da un guaritore.

     

    Curandero per essere precisi. E qui non c’è da pensare che il cosi detto Curandero vivesse in una capanna e fosse immerso da fumi e vapori benefici in amorosa sembianza con gli spiriti del bene e controllando quelli del male. No, il signore in questione faceva il ciabattino in un piccolo garage in fondo al paese, e con questo si guadagnava da vivere. Poi, così si dice, aveva dei poteri, che utilizzava con la gente che chiedeva il suo aiuto e per questo non si faceva pagare un centesimo.  Con l’amica di Juana era andata così: lei era entrata, gli aveva spiegato quello che aveva e il ciabattino l’aveva guardata fissa negli occhi e aveva bofonchiato qualcosa d’incomprensibile, non l’aveva minimamente toccata e la visita era durata meno di 2 minuti.

     

     

     

    Poi il ciabattino aveva abbassato lo sguardo e dicendole che poteva andare.

    Come, ha già finito? E quando guarirò? Non una parola era uscita dalla sua bocca, semplicemente riprese a lavorare alla suola che stava incollando. Tant’è che tornando indietro l’amica si consolava dicendo che per lo meno non gli era costato nulla, che non aveva perso niente nel tentativo e se ne andò rassegnata verso casa. La questione è che, e qui il dottor Plozt non credeva ai suoi occhi, l’amica di Juana incominciò a guarire, e nel giro di quattro mesi era una persona con la pelle sanissima.

     

    Normalmente il dottore mangiava quello che si cucinava in mensa per i malati, quando Juana non gli preparava qualcosa di speciale. Quando tornava da caccia, c’era cacciagione per tutti, anche per i pazienti cui la dieta lo permetteva. Juana ormai sapeva scuoiare una lepre, spennare un’anatra o una quaglia o una pernice, mentre per gli animali grossi tipo cinghiali o cervi, Arrigo si serviva direttamente di una macelleria che faceva il lavoro di taglio e divisione, dietro il compenso di una parte della carne. Insomma, quando il dottore cacciava un cinghiale, per i malati era festa, stufato e sughi buonissimi. Lui non aveva tempo di occuparsi direttamente anche delle sue proprietà e quindi aveva stipulato dei contratti di mezzadria, favorevoli al mezzadro, così a lui non restava altro che occuparsi dell’organizzazione generale e di andare ogni tanto a farsi una grigliatina con gli amici o curare l’orto.

     

    La terza volta che vide i maiali era il 5 aprile, se lo ricordava perfettamente, perché era il compleanno di suo padre ormai morto da qualche anno, come del resto sua madre.  Erano le sette del mattino, faceva relativamente fresco ma più tardi la temperatura si sarebbe alzata. Si era svegliato presto, come al solito del resto. Andava a letto alle undici, se non c’erano urgenze e poi alle sei era già sveglio, aspettava che gli portassero il giornale e leggeva qualche notizia qua e là, tanto per sapere cosa faceva il governo con il mondo agrario. Questi ultimi governanti, marito e moglie, in realtà la moglie davanti e il marito dietro, perché la faccia visibile era appunto lei, la presidentessa, ultimamente avevano deciso che la campagna andava spremuta come un limone.

    Arrigo sebbene vivesse dei soldi della clinica che non erano molti, quello che faceva di lui un benestante erano i proventi che gli davano le sue proprietà in campagna.

    A volte, scherzosamente con gli amici si riferiva a se stesso come un proprietario terriero con l’hobby della medicina. In realtà era un piccolo proprietario con i suoi duecento ettari destinati all’allevamento delle vacche, dove s’ingrassavano i vitelli per poi venderli, e un centinaio di ettari dedicati alla semina, dove ultimamente pascolavano i maiali del Guiscardi. Insomma, con la nuova politica del governo era veramente infastidito, anche perché pagava quasi il 42% di tasse.

     

    Era già qualche giorno che non pioveva e le ruote lasciavano un polverone tremendo. Prima di prendere la carrozzabile dei campi, mentre lentamente passava per il centro, aveva anche visto Pedro Sopio, il figlio di Mino a cui una volta aveva anche salvato la vita. L’avevano chiamato d’urgenza, lui era in ambulatorio, una piccola stanza all’interno della clinica, quando sentì delle voci concitate nel corridoio che lo fecero uscire per vedere che diavolo stesse succedendo. Mino Sopio, che a quel tempo era un ragazzino di 10 anni, si stava asfissiando con la pelle di un pollo che stava mangiando, meglio dire strafogando in un  ristorante  vicino alla clinica, per questo vennero a chiamarlo. Quando arrivò, capì subito che aveva poco tempo per decidere, tirò fuori il bisturi che aveva nella borsa, senza la quale non andava da nessuna parte, e sotto lo sguardo spaventato ma attento dei genitori  gli incise la carotide e la madre si mise a gridare che glielo stava ammazzando. Sangue da tutte le parti, bambino salvo e con un tono che gli venne fuori quasi professionale disse: “Portatelo in clinica che gli dò due punti.” Uscì da lì come un eroe, però solo lui si ricorda come gli tremavano le gambe!  Che non è facile camminare sul finissimo crinale che separa la gloria da un processo per imperizia professionale. Ora il figlio Pedro aveva 20 anni, però da qualche tempo camminava in modo strano, come se gli fosse successo qualcosa, aveva perso brillantezza nello sguardo.

     

    Cosa fa in giro a quest’ora? Si era anche domandato, i ragazzi della sua età stanno dormendo, il paese alle sette del mattino è in mano ai vecchi e di notte è dominio dei giovani. Poi aveva incrociato Alfredo che andava a fare un giro in bici, approfittando del fresco e della relativa calma. Lui era il tecnico dell’impresa elettrica e ogni volta che c’era il temporale i pali della luce, soprattutto in campagna cadevano come birilli e allora Alfredo non distingueva il giorno dalla notte. Lo conosceva bene perché quando mancava la luce in clinica, era il caos, anche se si erano organizzati con un gruppo elettrogeno. In ogni caso Alfredo si era sempre preoccupato di dare la luce prima al quartiere dove si trovava la Clinica e questo sempre per via delle galline con cui si faceva pagare e della politica umanitaria del dottor Arrigo. Si ricorda tutto di quel giorno, mille volte l’aveva ripassato, nella sua mente. Il 5 aprile data che sarebbe apparsa infinite volte sui verbali della squadra omicidi.

    Una volta giunto davanti al cancello del suo campo dovette aspettare un attimo prima di aprire la portiera in modo tale da far passare la nube di polvere che il vento si trascinava nella sua stessa direzione.

     

    I maiali erano ancora una volta dentro il raccolto a grufolare. I vicini sono sacri, sì, sarà anche vero ma questo è così sacro che mi vien voglia di fare un’ecatombe! Dalla rabbia sarebbe voluto andare ancora dai Guiscardi e dirgli di tutto, ma poi s’immaginò la scena; quello, seduto, immobile, che parlava come se gli facessero pagare ogni parola che diceva, la sua faccia di bronzo che negava sfacciatamente come un criminale matricolato, lui impalato, senza parole e la moglie nell’ombra, dietro la porta, ad ascoltare e vedere come faceva la figura del fesso.

    Era ancora fermo davanti al cancello d’entrata di legno, dipinto di bianco, con il lucchetto in mano e la catena che ciondolava svogliatamente, quando vide i quattro maiali che, evidentemente, ne avevano avuto abbastanza, andare giusto di fronte ai due silos che aveva in fondo alla casa colonica e sdraiarsi a riposare, satolli. Quelli fanno come se stessero a casa loro! In un primo momento pensò di tenerli, li avrebbe chiusi dentro il vecchio recinto delle galline che ormai non c’erano più. Da quando erano morti i suoi, la casa aveva subito un certo abbandono che lui cercava di contrastare nei pochi momenti liberi, ma certo per le galline non aveva tempo. Li avrebbe venduti con calma. Poi rifletté che il Guiscardi era anche capace di dire che glieli aveva rubati. Non voleva farsi il sangue amaro. Infine avanzò con un palo, trovato per terra, fece pochi passi e si ricordò della Smiht &Wesson che aveva sempre in auto. In fin dei conti era un uomo di legge. La prese, se la mise  dietro la cintura dei pantaloni come se avesse paura che i maiali la vedessero e con un passo da “mezzogiorno di fuoco” avanzò sulla strada polverosa che portava alla casa e da lì ai silos. Le sette del mattino allungavano la sua ombra sullo sterrato facendolo sembrare più magro. Arrivato a dieci metri dai porci, la estrasse e in una rapida sequenza di quattro tiri li stese. Cioè i porci erano già stesi, semplicemente li ammazzò, preciso come un pistolero. Non fu necessario un quinto colpo. Avrebbe pensato poi come giustificare le quattro pallottole, al poligono di tiro si poteva aggiustare tutto, e infine, il commissario Luiso Ferrauto era suo amico.

     

    I vicini sono sacri, diceva suo padre. Vero! Per questo non era andato a sparare al Mario Guiscardi!

    Li avrebbe lasciati lì, qualcuno li avrebbe portati via o sarebbero stati mangiati da qualche volpe o furetto o rapace, insomma ci avrebbe pensato madre natura.  Lui non voleva saperne più nulla. Forse lo stesso Guiscardi sarebbe venuto a prenderli. Che andasse a reclamare alla sua faccia tosta adesso!  Lui se ne sarebbe tornato tranquillamente alla clinica. Perché farsi il sangue amaro?

    Ritornando, rimuginava sulla lezione che aveva dato indirettamente al vicino, poco convinto che sarebbe servito a qualcosa, del resto erano loro quelli che ogni tanto gli entravano e gli portavano via i pomodori e le zucche dall’orto. La moglie l’aveva vista con i propri occhi con le borse di plastica piene, allontanarsi come se non fosse nulla e senza girarsi quando l’aveva sentito arrivare. Non aveva detto niente…per due zucche perché farsi il sangue amaro?

     

    Aveva ammazzato quattro maiali di nessuno, selvatici! Degli “sconosciuti”, perché, in effetti, chi li conosceva? E rimuginando e moraleggiando liberamente non l’aveva vista. O forse sì, aveva visto qualcosa di rosso al bordo della strada nel fossato. Vedere e registrare però non vanno sempre di pari passo. E registrare lo registrò poco dopo, dopo che era passato davanti e aveva già fatto qualche centinaio di metri, da quel fagotto rosso era spuntata una gamba, non è che proprio era spuntata, la gamba era sempre stata lì, solo che nella sua mente era apparsa più tardi. E, infatti, quando si affacciò la gamba nella sua mente, frenò di colpo, fece una retromarcia furiosa, e aspettò qualche secondo per far andare via la polvere.

    Abbassò il finestrino del lato opposto e si protese per vedere meglio. Effettivamente la gamba era lì, insieme a tutto il resto, che però era nascosto tra i cespugli e semisommerso nell’acqua stagna del canale di drenaggio dell’acqua piovana. Scese dall’auto e si guardò in giro, in effetti un morto non sta solo soletto in una strada. Magari sì, però viene naturale una guardatina intorno. Non vide profilarsi, nell’orizzonte piatto dei campi, anima viva. Sulla strada non si vedeva polvere, auto non ne venivano e nemmeno andavano. La questione era che c’era un morto ai lati della strada e più si avvicinava, con la cautela del caso, quasi avesse paura di svegliarlo, e più si rendeva conto che era una morta. Morta ammazzata, perché togliendo gli arbusti, vide il colpo d’arma da fuoco alla tempia.

    Era lì anche prima, solo che all’andata  passando dall’altro lato, non l’aveva notata. Era lì dalla sera prima a giudicare dalla decomposizione del corpo. E lui, la morta ammazzata, la conosceva! L’aveva fatta nascere 18 anni prima.

    Doveva chiamare qualcuno, entrò nell’auto e cercò il cellulare, che lui non se lo porta mica sempre dietro, se lo dimentica o lo lascia nell’auto. Avrebbe chiamato il commissariato, fece il numero e dall’altra parte una voce ignota rispose. Attaccò, no, questi inetti dei sottoposti non voleva ascoltarli, aveva il numero diretto del commissario Luiso Ferrauto, chiamò lui. Pronto Luiso, sono il dottor Plozt, come chi? Sono Arrigo! Ah!  E da quando ti presenti come il dottor Plozt, Arrigo? É  grave la faccenda allora! È gravissima Luiso, sono qui sulla strada che va ai miei terreni. Quali? Quelli delle vacche? No, quelli seminati, sono precisamente a metà strada tra me e il Guiscardi. Qui vicino c’è il cadavere di una ragazzina, morta ammazzata. Merda! Arrigo e chi l’ha ammazzata? E come faccio a saperlo l’ho appena scoperta… E chi è? E’ la figlia del Sopio. Chi Nuno? Sì, lui. Reni? Esatto, lei! Dai vieni subito e chiama un’ambulanza. Arrivo! Aspettami e non ti muovere. E dove vuoi che vada?

     

     

     

    Il Ferrauto arrivò con la propria macchina seguito da un’auto della polizia. Erano trascorsi cinque o dieci minuti, non di più, ma per il dottor Arrigo furono anni. Non era quello il primo cadavere che vedeva, data la sua professione, si capisce che non era quello il problema, semplicemente che lui Reni l’aveva vista crescere e diventare quello splendore di ragazza che faceva girar la testa a tutti. L’aveva vista anche ultimamente, perché si era presentata nel suo studio in Clinica. Voleva consigli sulla carriera di Medicina. Ho appena finito le scuole superiori e quest’anno vorrei iscrivermi alla facoltà di Medicina, gli aveva detto. E quale specializzazione? La sua! Sì, ma io sono in realtà un chirurgo e infettologo, solo che poi qui faccio di tutto, non esiste una specializzazione come la mia, io me la sono inventata per necessità ma ora, anche qui i tempi cambieranno non è più come una volta. La strada per la città è quasi tutta asfaltata…e poi non vorrai mica diventare medico forense?

     

    No, vorrei diventare chirurgo! Ah bene, in ogni caso quello che devi fare sono i cinque anni regolari, poi nel frattempo vedrai e quando ti presenteranno il primo cadavere da sezionare, lì puoi anche decidere di diventare dermatologa. Le aveva detto sorridendo. Ma Reni aveva risposto serissima: credo che la chirurgia sia la mia strada, voglio vedere le cose da vicino. E così si erano fatti una bella chiacchierata. Era dolce e piacevole, con una voce delicata, dei modi raffinati ma senza ricercatezza… lui si ricordava ancora il giorno in cui l’aveva aiutata a nascere, quella neonata informe, rossa violacea, sporca di sangue che urlava come una disperata, era diventata una splendida ragazza alta un metro e ottanta…e ora, quell’attraente ragazza dal fisico sportivo e dall’eleganza naturale di una gazzella, si era trasformata in un ammasso senza vita che iniziava a gonfiarsi per lento ma inesorabile processo di decomposizione. Insomma, la morta ammazzata non era una morta ammazzata qualsiasi e Arrigo non  riusciva a stare fermo, camminava su e giù, lontano dal punto in cui si trovava Reni o da quel che rimaneva di lei.

     

    Le forze dell’ordine avevano una Ford Pk con quattro persone a bordo e il commissario un’arrugginita Peugeot 506, che non si capiva bene come facesse a farla andare, oltretutto una macchina di quel tipo non avrebbe passato nessun controllo tecnico.

    Il Ferrauto scese dall’auto in maniche di camicia. Era basso, corpulento e con una notevole pancia, pelato. La carnagione chiara, punteggiata da lentiggini e i pochi capelli di color rosso, rimasti nella parte della nuca, completava il quadro.  Un notevole miscuglio tra un calabrese e un’irlandese, che tali erano i suo genitori. Sostanzialmente era una testa calda, ma nel fondo una buona persona.

     

    Con il commissario lì, le cose cambiarono anche per Arrigo, si sentì più, come dire, professionale, e innanzitutto si rallegrò con se stesso per aver camminato lontano dalla scena del crimine così da non contaminarla. In realtà l’emozione l’aveva dominato facendolo allontanare.

    Si avvicinarono al cadavere. L’hai toccato? No, ho solo tolto i cespugli per vedere chi era, ed lì che ho scoperto che l’avevano ammazzata.

    Scesero con i piedi dentro l’acqua, una rana saltò di lato. Mentre, il fotografo  scattava le foto di prassi, osservarono il cadavere. Sembrava che l’avessero tirata e che non fosse caduta naturalmente, ovvero che non fosse morta sul posto ma che ci fosse stata portata in seguito. Intorno non c’erano segni di lotta, nessun oggetto, salvo un paio di chiavi con un portachiavi di alluminio, con il disegno di un delfino, color argento. C’erano, vicino al corpo, delle strisciate che molto probabilmente corrispondevano ai talloni di Reni, cosa che il dottor d’Arrigo comprovò immediatamente. E, in effetti, così era.

     

    Attenzione, disse Luiso, se l’hanno trascinata tenendola da dietro, quest’orma di scarpa appartiene all’assassino, a meno che non sia tua, fammi vedere…no, non è tua e mia nemmeno, la faccio fotografare e ce la portiamo come prova. Guarda se vedi altre orme in giro… Non videro altro. Avremmo anche potuto vedere qualche segno di copertoni, ma vedo che ormai qui è un casino, mi sa che tu tornando indietro le hai cancellate.  Ahimè, è vero, ma io non ero sicuro di nulla fino a quando non sono veramente arrivato vicino con l’auto, come facevo a sapere… Lo so, lo so, non ti sto mica dicendo nulla, uno non va in giro preparato a scoprir cadaveri nei fossi, alle sette del mattino. Che arma è? Chiese Luiso, per cambiare discorso.  Sicuramente una calibro 22, ma potrebbe essere una carabina o una pistola. Sparato da vicino? Abbastanza a giudicare dall’alone intorno al foro d’entrata, e non c’è foro d’uscita.  Quindi il proiettile è rimasto dentro e questo semplifica un bel mucchio di cose, perché cercare il proiettile in mezzo a questi arbusti ed erbacce, te lo raccomando, è come cercare un cammello dentro la cruna di un ago! Un ago in un pagliaio! Ecco, appunto quello che volevo dire. Da quanto tempo è morta? Secondo me da ieri sera, dopo, con l’autopsia, ti dirò l’ora esatta. Bene, ora resta da stabilire se l’hanno ammazzata qui o ce l’hanno solo portata. E se ce l’hanno portata, qualcuno deve aver visto qualcosa, voglio dire qui chi ci vive a parte il Guiscardi?

     

    Nessuno! Quindi se l’hanno portata dal paese sono passati davanti casa sua e lui se non proprio visto, qualcosa deve aver sentito?  E se l’hanno ammazzata qui lui deve aver sentito il colpo no? Si suppone, disse il dottor Arrigo che seguiva il ragionamento del Ferrauto, il quale era già entrato nella parte del cane da  presa, senza più sentimenti, né pietà, né abbandoni lirici di tipo nostalgici. Reni era morta, anche se lui come tutti la conosceva, per lo meno di vista, per ora era un caso. Punto e basta. Dai, sali in macchina che andiamo a parlare con il Guiscardi.

    Diede alcuni ordini perché si continuassero i rilevamenti della zona… E non fatemi i soliti casini, capito? Ordoñez sei tu il responsabile! Ve bene Signor commissario, fu la risposta.

    L’ho visto giusto l’altro giorno. Per cosa? Niente per dei maiali. Maiali? Sì, li libera nei seminati. Tipico del Guiscardi, disse il Ferrauto, e ne hai ricavato un bel fico secco vero? No. Esatto, prima che tu comprassi quel terreno, il vecchio proprietario se la passava denunciando cose di questo genere e furtarelli di tutti i tipi, sai la quantità di volte che sono andato a parlare con lui? Poi hai comprato tu e le denunce sono finite. Però sei tu che sei diverso, non il Guiscardi! Tu dici? Per un momento pensò di raccontargli quello che aveva fatto con i maiali ma non fece in tempo a parlare che incrociarono l’ambulanza a sirene spiegate, andava almeno a 100km allora. Ma che stanno facendo, un rally? Questi sono degli imbecilli, dimmi se è possibile andare a questa velocità a raccogliere un morto… Una morta, chiosò il dottor Arrigo ancora immerso nei suoi pensieri. Il commissario si girò per guardarlo ma non disse nulla, però capì immediatamente che il suo amico era rimasto scosso e maledisse la sua superficialità e s’infuriò con se stesso. Probabilmente fu per questo, che quando arrivarono all’entrata della proprietà del Guiscardi, il Ferrauto entrò sparato e frenò di colpo, le finestre erano aperte e la signora avrebbe dovuto spolverare per un mese. Passato il polverone scesero. Lo trovarono con la solita canottiera davanti alla porta di casa, in piedi, non si era nemmeno preoccupato di evitare la terra che volava da tutte le parti. Il commissario si era presentato, la discrezione è un altro paio di maniche.

     

    Buongiorno, sono qui per farti delle domande…inutile presentarci tanto ci conosciamo …e il dottore lo conosci? Gli dava del tu, tanto per fargli capire da che parte stava il potere. Fece cenno con testa di sì, poi improvvisamente, disse a voce alta: non sono miei, io non so da dove vengono…

    Il Luiso, che era pronto per fare le domande e mantenere sotto controllo la conversazione si zittì di botto e lo guardò serio. Di cosa stai parlando? Dei maiali. Borbottò il Guiscardi. Maiali? Luiso guardò Arrigo e poi disse Ah! Ho capito. Però l’ah lo fece lunghissimo; aaaaaaaah! Prendeva tempo. Tu credi che noi siamo qui per parlare di porci? O forse tu vuoi che io creda che tu pensi che siamo qui per parlare dei porci? Quali dei due casi? Nessuno, disse il Guiscardi. Nessuno!? E no, nessuno è impossibile… Lo stava confondendo, Arrigo lo conosceva ormai da anni, spesso le persone interrogate dal Ferrauto erano colpevoli fino a quando non riuscivano a dimostrare di essere innocenti.

    Gli stava davanti con il baricentro basso e la panza volitiva, il commissario sembrava un delinquente. E non seguiva regole o preliminari obbligati, insomma la prassi, diceva quello che gli veniva in mente rincorrendo, come un segugio, un’intuizione. Attitudine che a volte gli dava dei risultati eccellenti, mentre altre volte si rivelava un fiasco tremendo.

    Ha fatto caldo ieri no? E intanto aveva cominciato a camminare intorno alla casa ma senza allontanarsi troppo, con lo sguardo teneva inchiodato il Guiscardi e di sfuggita gettava l’occhio, cercava la stanza da letto. Il Dottor Arrigo stava fermo, in realtà non sapeva cosa fare, cercava solo di darsi un contegno, la scena era del commissario. Avete l’aria condizionata? No. E quindi avete dormito con le finestre aperte? Non aspettò la risposta.  Vedo che avete le zanzariere, bene, perché le zanzare sono fastidiose. Facci sedere Mario, così chiacchieriamo tranquilli. Mentre il Guiscardi entrava per portar fuori delle sedie, anche perché il Commissario non aveva mostrato nessun interesse per entrare, si era affacciata la moglie e appena Luiso la vide disse: venga, venga anche lei signora. Alla moglie dava del lei. “Quando il diavolo accarezza vuole l’anima”, pensò Arrigo.

     

    Il Ferrauto aveva stabilito le regole del gioco e ai due non restava altro che adattarsi, volenti o nolenti. Una volta seduti, ci fu un istante di silenzio in cui si guardarono in faccia, era pesante per tutti meno che per il commissario che pareva godere in queste situazioni. Arrigo, e non era la prima volta che gli capitava, quasi non riconosceva il suo amico, come se di fronte  a lui esistessero due persone, l’amico e il commissario.

    Il Ferrauto era schizofrenico, non aveva nessun dubbio, sarebbe stato un criminale pericolosissimo, solo che aveva scelto di stare dalla parte della legge, il che poi, di per se stesso, non vuol dire niente perché la quantità di procedimenti che gli aveva visto infrangere erano una lista infinita.

    Dunque, vediamo un po’. Aveva cambiato registro, abbandonata l’aggressività ora assumeva un tono colloquiale. Ieri sera, diciamo…e qui guardò con un’ occhiata d’intesa al dottor Arrigo, che assentì… verso mezzanotte o giù di lì… la mascella del Guiscardi si contrasse e la moglie guardò immediatamente verso i suoi piedi come se stesse cercando di capire dove finisse il suo corpo…dato che le finestre erano aperte, perché faceva caldo, e che la vostra camera da letto dà, casualmente, dalla parte della strada che si trova a cento metri da qui, diciamo cento metri? Diciamo cento metri, fece eco il Guiscardi. Avete sicuramente sentito qualcosa di strano… Non era una domanda, era un’affermazione, li metteva davanti ad un fatto e cercava di incastrarli piano, piano. Loro erano silenziosi, come topi che si sentono attaccati da una civetta.

     

    Vi ho fatto una domanda! Disse, senza rilevare la contraddizione, o forse sì, era tutto calcolato per generare confusione, togliere sicurezza, abbassare le difese e impedire l’organizzazione logica di una menzogna. Loro reagirono come se dovessero una risposta.  Forse…aveva cominciato la moglie. No, non abbiamo sentito niente, Signor commissario, siamo gente che lavora e di notte dormiamo, siamo stanchi, la interruppe il Guiscardi.

    Avevano assunto un atteggiamento difensivo, e questo non era sfuggito al quel mastino del commissario.

    Quindi voi mi state dicendo che non avete sentito un’auto fermarsi qui a circa duecento metri e poco dopo ripartire?

    Quindi voi mi state dicendo che ieri sera verso mezzanotte non avete sentito un colpo di fucile?

    Decisamente teatrale, non c’era dubbio che lì si nascondesse una vocazione.

    No, niente, disse la moglie non prima di aver guardato il marito di sfuggita. Esatto nulla, rincarò il marito.

     

    Arrigo, a questo punto pensò che Ferrauto cambiasse strategia e cominciasse a esercitare una certa pressione in cui era maestro e invece, con sua immensa sorpresa, lo vide alzarsi e salutare cordialmente, come accomiatandosi da un gruppo di amici. In questo caso togliamo il disturbo, arrivederci e si avviò verso l’auto accompagnato dal Dottore. Una volta entrati, fece un’inversione a U facendo slittare le gomme, sommergendoli un’altra volta in un polverone di proporzioni bibliche.

    Hai notato che non hanno chiesto perché eravamo lì? Domandò Arrigo. Eccome se l’ho notato, però l’ambulanza l’avranno sentita.  Caro mio qui gatta ci scova! Ci cova! Eccolo lì. Dici che centrano qualcosa? Che sono stati loro? No, e per quale motivo? Cosa legherebbe una ragazza come Reni con questi due? Però è certo sanno più di quel che dicono, anche se non riesco a capire che, e la moglie secondo me, è più malleabile, devo parlare solo con lei, per questo me ne sono andato via improvvisamente, perché oggi in quella situazione non ci ricavavamo nulla. Presumo che dovrò tornare. In ogni caso da lì le auto si sentono perché io me ne sono accorto quando l’ambulanza è ripartita, anche se questa volta ci hanno risparmiato la sirena. Sì, è vero, l’ho sentita anch’io. Ecco bravo, e adesso immaginati di notte! Per quando l’autopsia? Suppongo in tarda mattinata, ora c’è da avvisare la famiglia, devono venire a riconoscerla e poi la faccio. Che ora è? Le nove meno un quarto. Che giornata per Dio, e sono solo le nove! Sulla scena del delitto erano rimasti solo un paio di poliziotti.

     

     

     

    Commissario, la salma l’abbiamo fatta portare via, o voleva vederla un’altra volta? E che importanza ha, a questo punto, se avessi voluto vederla un’altra volta? Con domande come queste Ordoñez, tu, carriera non la farai mai! Gli diede una pacca sulla spalla e rivolse lo sguardo al Dottor Arrigo come per dire, io devo lavorare con questa gente! E dove l’avete fatta portare la salma? Alla clinica del dottore qui presente. Bravi,  avete fatto bene.

    Arrigo ci sentiamo, chiamami e tienimi aggiornato.

    Andiamo campioni, disse ai poliziotti che adesso c’è da fare un lavoro di merda ma  delicato, avvisare la famiglia! E chi mando di voi? Li squadrò uno per uno, trattenendo il respiro per qualche breve secondo, e poi sfiatando come una balena concluse: vado io! Porca puttana!

     

    © Paolo Benetti

     

    • quello dei vicini é vero! sempre c’é qualche storia con gli animali, ma vedo che in questo caso si nasconde un’altra storia con il medico e il vicino. Bella descrizione del commissario, con “le sue regole” per ottenere informazioni.
      Sandra

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