by Jeanne Pucelli
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«Il bambino non è dunque una tavoletta di cera, perché si presenta al primo appuntamento con la vita con l’identità umana che gli è data dalla sua prima immagine interiore indefinita»
Livia Profeti, Identità umana, L’Asino d’Oro Editore
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Ho notato che su I giorni e le notti già si è parlato molto del tema “identità umana” e dell’identità del bambino. (leggi qui e qui)
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Ovviamente sono al 99% d’accordo sul modo di pensare l’identità umana del bambino nel modo in cui viene trattata in questi articoli. E, ovviamente, quando ho letto su D di Repubblica del 12.9.15 la risposta di Umberto Galimberti alla lettera di una madre, mi sono incazzata. (leggi qui)
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Agnese D. scriveva a Galimberti preoccupata per il taglio ideologico con cui nella scuola veniva svolto il tema dell’identità. La mamma diceva che le si era – giustamente dico io – “ gelato il sangue” leggendo alcuni frasi dello psichiatra Giovanni Jervis inserite nel programma di insegnamento «L’immagine di noi stessi è elaborata non tanto con gli altri quanto soprattutto dagli altri. (…) Gli altri ci vedono sotto una certa immagine che noi tendiamo a far nostra».
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Non era dello stesso avviso il Galimberti, che, forse per motivi di un vizio congenito nella temperatura sanguigna, gli risponde serafico «Perché gli si raggela il sangue per un’ovvietà così evidente?» . Poi si dilungava nella narrazione del bambino nato senza nessuna identità che secondo lui, e secondo lo psichiatra Jervis, la conseguirebbe solo plasmandosi sui modelli auspicati dal suo ambiente sociale. «L’identità – scrive il Galimberti – è un dono che ci fanno gli altri Noi non nasciamo con un’identità la acquisiamo dalle relazioni con gli altri (…)».
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Il titolo poi era quanto mai intimidatorio per chi, come me, osasse pensare di essere nato con una propria identità umana che, poi si svilupperà in dialettica, anche feroce, con il diverso da sé, iniziando dal rapporto al seno con la madre nei primissimi mesi di vita * : «Nessuno di noi nasce con un’identità perché l’identità è frutto del riconoscimento che ci proviene da chi ci sta accanto, quindi è un fatto sociale.»
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Quindi secondo il filosofo G. e lo psichiatra J. i migranti dovrebbero mettersi il cuore in pace quando il razzista di turno percependoli come non umani li inquadra in quella categoria. Il Galimberti offre alla madre a cui si è “gelato il sangue” sentendo delle assurdità come quelle scritte da Jervis e ripetute dalla casta culturale dominante, la solita risposta razional-religiosa : il bambino è una tavoletta di cera su cui gli altri, figure genitoriali e maestri in primo luogo, incidono l’identità del bambino che nasce senza pensiero. Pensiero che è solo verbale, e che esclude ogni altro linguaggio, che va a disegnare il volto di quel bambino nato “polimorfo perverso” a causa del peccato originale che lo rende parricida e incestuoso.
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Il Galimberti la pensa più o meno esattamente come Eugenio Scalfari che, nel suo “celebre articolo” comparso su Repubblica il 23 ottobre 2005, affermava in modo inverecondo: «(…) Ma la bontà dei bambini non esiste. La predominante necessità d’ogni bambino è quella di conquistare il suo territorio, attirare su di sé l’attenzione di tutti, vincere tutte le gare, appropriarsi di tutto ciò che desidera. Togliendolo agli altri. Vincendo sugli altri. Sottomettendo gli altri. (…) E spetta a chi li educa insegnare a contenere l’istinto primordiale, a rispettare gli altri, la roba degli altri e addirittura a condividere la propria con gli altri. Questa disponibilità non è affatto innata ma indotta. Dalla cultura, dall’ insegnamento degli adulti.». Carino vero ‘sto Scalfari in salsa freudiana condita di religione monoteistica!
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Il Galimberti e lo Scalfari, parlando di “educazione di chi ci sta accanto”, propongono, ovviamente, le fruste ideologie sull’identificazione coatta e sull’identità di appartenenza a una casta a una religione, ad un ceto sociale, a un modello estetico ecc. ecc.. Ad esempio non ci stancheremo mai di ricordare la “splendida pagina” cattolica che vide J. M. Bergoglio affermare senza batter ciglio «Non è lo stesso, un bambino battezzato o un bambino non battezzato: non è lo stesso. Non è lo stesso una persona battezzata o una persona non battezzata.» A sentire il Galimberti il bambino battezzato dopo aver udito le parole del “papa di sinistra”, dovrebbe pensare che il non battezzato non è uguale a lui.
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Perché se «L’immagine di noi stessi è elaborata soprattutto dagli altri. E se gli altri ci vedono sotto una certa immagine che noi tendiamo a far nostra» ai bambini, per “essere riconosciuti” e per contenere i propri “istinti primordiali” di cui parla lo Scalfari, non resterà altro che identificarsi con chi gli “sta accanto” e lasciare che la loro inesistente identità umana venga creata dal nulla secondo i desiderata della società in cui hanno avuto la ventura di nascere.
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Spero che questo messaggio giunga a quella madre che ancora conserva reazioni corporee le quali le indicano il livello di disumanità insito nel pensiero prevalente della società che ci circonda.
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È questo linguaggio del corpo e che viene dal corpo che preserva, soprattutto le donne, dall’ideologia razionale e religiosa che ci descrive un bambino mostruoso mezzo animale mezzo automa decelebrato, con sovrappiù una nascita perversa inficiata dal peccato mortale, che va sedato e ammaestrato e nel quale debbono essere inserititi i codici di comportamento condivisi dall’ambiente in cui nasce e cresce. Ma qualcuno di questi s…… signori ha mai giocato con un bambino? Lo ha mai allattato e coccolato? Lo ha mai visto insieme agli altri bambini? Si è mai rapportato ad un bambino pensandolo come un uguale per nascita a se stesso?
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Ad ascoltare certe idiozie sembrerebbe quasi ineluttabile che un individuo di tal fatta veda e /o voglia negli altri un altro se stesso. Se un è un pedofilo penserà che tutti siano pedofili. Invece il Galimberti pensa che l’identità sia il risultato di un semplice “copia e incolla”. Mi chiedo perché. (leggi qui)
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* Riferimento ai testi dello psichiatra dell’Analisi collettiva Massimo Fagioli sulla “Teoria della nascita”
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17 settembre 2015
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© Jeanne Pucelli – Riproduzione Riservata
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