• Fenomeni antropologici: l’utopia del gregge

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     di Jeanne Pucelli

     

    «Nella maggior parte dei casi, essere ragionevoli significa non essere ostinati, cioè adattarsi alla realtà così com’è. I primi filosofi che concepirono l’idea della ragione, la considerarono uno strumento capace di comprendere i fini e addirittura di stabilirli.» Max Horkheimer

     

    Questa mattina – sono in vacanza sulle Alpi francesi – ho visto un gregge di pecore che si stringeva sotto l’ombra di un gigantesco albero secolare. Non so perché mi è venuta alla mente che per le pecore quello stato naturale delle cose doveva essere la loro Utopia in senso stretto: un buon luogo dove stare tutte insieme brucando la morbida erbetta che il sole, visto l’ombra dell’albero, non aveva disseccato. Le bestiole, salvatesi dai riti pasquali, potevano pascere tranquille ormai sicure di poter vivere fino alla fine dei loro giorni, predeterminati dalla natura, offrendo in cambio, al pastore che le governa, lana e latte.

    Come al solito la mia sfrenata fantasia, e se preferite le mie fantasticherie da “nulla facente momentanea” mi aveva portato ad alienare nelle bestie, umani pensieri che certamente non le sfiorano. Ad esempio gli animali non hanno alcuna consapevolezza della loro corsa verso la morte. Quindi come direbbe al gregge il nostro leader, carismatico e sputazzone,  “state serene”.

     

    L’essere umano invece non dovrebbe “stare sereno” perché la consapevolezza della morte dovrebbe averla. Scusate se uso il condizionale compulsivamente ma dato lo stato delle cose … come si dice, “il condizionale è d’obbligo”. Essì perché la stragrande maggioranza degli italiani, gli italioti, vive credendo che la propria esistenza continuerà in aeternum, e questo è un elemento di pensiero che li avvicina alle pecore.

    L’italiota medio – scusate se ho scelto questa tipologia di individui ma mi viene più facile – vive costantemente in uno stato di dissociazione mentale perenne: credendo nella vita eterna è un perfetto cultore della metafisica e pensando solo ai bisogni che danno benessere al corpo è un talebano positivista.

    Ed ecco un altro elemento che “appecora” l’italiota avvicinandolo pericolosamente al mondo della natura: anche le pecore pensano solo in modo assolutamente utilitaristico. Le bestiole non fanno nulla che non possa servire al fine dettato dall’istinto per la conservazione della specie.

    Dunque, riassumendo, l’italiota medio è un pecorone perché: A) essendo religioso non ha la consapevolezza della propria finitezza; B) si muove solo seguendo la scia dei bisogni, della ferrea ideologia dell’utilità e della sopravvivenza della specie intesa come “la famiglia” tradizionale: padre schizoide, madre depressa, figli … vedremo.

    Un’altra caratteristica che avvicina l’italiota medio al mondo animale è l’ideologia. Ideologia, che come l’istinto per gli animali, serve ad aggregare individui in gruppi sociali più o meno ampi. L’ideologia presuppone un’utopia, cioè un fine ultimo, una meta. Può essere una meta materiale come la Terra Promessa, l’isola di Utopia di Thomas Moore, la Città del Sole di Campanella, il sol dell’avvenire sovietico, lo “spazio vitale” nazista, in cui edificare una nuova civiltà, ecc. ecc.. O può essere un traguardo metafisico, funzionale al potere religioso e politico, come il Paradiso con una ventina di vergini che aspetta il martire islamico, o il Walhalla e i Campi elisi che attendono gli eroi morti con la spada in mano. Oppure ancora può essere psicologico – o se volete spirituale – come il Nirvana, l’Atarassia, la pace dei sensi, l’equilibrio psichico, tutte mete ultime che escludono un ulteriore divenire e includono un ulteriore scissione tra corpo e mente.

     

    Le ideologie, come i dogmi, servono soprattutto per tentare di uniformare e cristallizzare uno stato mentale che per sua stessa natura non può essere che soggettivo e in continuo movimento. Solitamente una determinata ideologia ha un impianto dottrinario, esente da verifiche scientifiche, funzionale alla persuasione e all’influenzamento di un determinato gruppo sociale da parte di un gruppo oligarchico e/o da casta politica. Gruppo sociale che viene indotto dai guardiani dell’ideologia ad agire secondo certi principi e verso determinate finalità. Se il gruppo sociale assume, per esempio, l’ideologia consumistica che ha per fine il consumo compulsivo delle merci e degli oggetti, ben oltre la necessaria soddisfazione dei bisogni primari e senza che si ponga il problema del riciclo delle materie prime e dell’energia rinnovabile, significa che quegli individui hanno perduto il senso della realtà perché quel tipo di società porta inequivocabilmente alla distruzione delle risorse del pianeta.

    La stragrande maggioranza degli esseri umani assume, più o meno consapevolmente, dogmi ideologici/religiosi e  attraverso quelle griglie di pensiero “percepiscono” la realtà: in sostanza l’ideologia è la visione del mondo complessiva di un determinato gruppo sociale e serve per la sua coesione. Visione del mondo immodificabile da qual contesto sociale che l’ha creata e divinizzata. Solitamente l’ideologia è uno strumento pericoloso impiegato da gruppi di potere per imporre a tutta la società un modello di comportamento e di credenza. Detto questo è chiaro che un’utopia intesa sia come mera soddisfazione dei bisogni per i quali si debbono sacrificare le esigenze umana e identitarie dell’individuo, sia come fine metafisico tendente alla scissione tra corpo e mente, è altamente distruttiva perché annulla l’identità umana originaria e originale: il soggetto diviene un oggetto spersonalizzato, un semplice ingranaggio atto al funzionamento dell’alveare sociale.

    Le derive dei totalitarismi ideologici e la repentina sostituzione degli stili di comportamento e di visioni del mondo ci parlano molto chiaramente di sovrastrutture mentali e culturali che possono essere spazzate via in pochissimo tempo perché non affondano nel nucleo fondamentale dell’essere che per sua natura è a-ideologico.

     

    L’essere umano è un essere sociale. Ma non per questo motivo deve necessariamente tradire la propria identità per aderire alle credenze e alle ideologie del gregge in cui ha avuto la ventura di nascere.

    Osservo il gregge che ora, spinto dal cane pastore, ha preso il sentiero che scompare al limitare del bosco. E, crudelmente, penso che in ultima analisi alla fine avremmo, grosso modo e generalizzando al massimo grado, due categorie di persone divise da un confine indefinito e in continuo movimento. Una linea di confine dell’umano che arretra ed avanza perché viene continuamente oltrepassata, da una parte e dall’altra, da esseri umani che si perdono nelle credenze e nelle ideologie e da esseri umani che ritrovano sé stessi nella dialettica infinita con l’altro da sé.

     

    Molti, troppi, incapaci di tenere ritto il timone della barca solitaria della propria identità umana che trascinata dagli accadimenti e dalla storia varca i frangenti del proprio divenire, si aggrappano alle grandi navi delle ideologie – e delle religioni che le supportano – che, la storia ce lo ha insegnato, prima o poi si inabisseranno portando con sé buona parte di quella moltitudine. Quelli che si salveranno, se avranno capito quanto è successo loro, cercheranno di non aderire più a identità di appartenenza che solo apparentemente proteggono l’individuo dalla solitudine esistenziale. Gli altri, quelli dell’utopia del gregge, cambieranno divisa, partito, simboli religiosi e quant’altro e continueranno a pascolare tutti assieme all’ombra del grande albero, che rappresenta la loro nuova utopia, cercando di rubarsi l’un l’altro l’ultimo ciuffetto d’erba decente rimasto… io no, io sono un’ostinata …

    22 luglio 2015

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