Agosto 1939: Molotov firma il patto di non belligeranza
tra la Germania e Unione sovietica
di Gian Carlo Zanon
17 Gennaio 2012
«I xe tuti istesi, can no magna can». Il camionista veneto in coda alla cassa dell’autogrill, si intromise nel discorso tra due signore che discutevano su chi votare alle prossime elezioni. Una delle due, con un evidente accento romagnolo, chiese al filosofo in incognito: «Che vuole dire …» e lui «Xe logico ciò: i cołeghi no se fa mai davero ła guera; el dotor no tacarà mai naltro dotor; ‘n avocato el se metarà senpre dacordo co naltro avocato».
Non so se le signore hanno saputo cogliere il succo di quel discorso, io, essendo nato a pochi metri dalla villa palladiana di Lonigo, ho capito benissimo ciò che il camionista intendeva dire.
La percezione dei cittadini , che vede la classe politica in modo omogeneo è diffusissima. È inutile negarlo. D’altronde in questi giorni stiamo assistendo ad un vero e proprio balletto (o se vogliamo tacito accordo) tra il Pd e Monti in cui, dopo lo scontro tra Fassina e il professore, tutto si è acqiuetato. Cos’era successo? Semplice! Fassina aveva ereticamente usato la parola “banche” associandola al professore, e Monti paventando che la realtà che sta sotto gli occhi di molti divenisse patrimonio comune, ha dato l’ordine del silenzio. Infatti quel cattivone di Fassina si è “autosilenziato” non nominando più la pericolosa parola che evoca lo strapotere finanziario.
Io, al contrario della vulgata, percepisco la realtà politica in un modo più complesso: penso che tra i politici italiani vi sia ancora una infinita gamma di sfumature che generano visioni politiche certamente non scisse dalle qualità umane del soggetto.
Altra cosa però è rendere realtà politiche queste individuali visioni sociali ed estensivamente economiche. Per giungere a ciò il politico di sinistra non deve affrontare solo una auspicabile dialettica politica con i propri simili per “affinità elettive”, e uno scontro, altrettanto auspicabile, con i “lealisti bancari” di destra, ma deve anche vedersela con ciò che viene chiamato “realismo politico”. Fassina è rientrato, dopo il suo pericoloso volo solitario, nel labirinto del “realismo politico?” Forse si. Anzi dalle notizie apparse da pochi minuti su televisioni e agenzie giornalistiche sembra proprio di si, visto che si parla apertamente di un patto “segreto” di non belligeranza tra Monti e Bersani. L’autocensura di Fassina sul potere delle banche esercitato da Monti è il prezzo pagato per una tacita alleanza elettorale? Ai posteri l’ardua sentenza!
Ma, tornado a noi, cos’è il “realismo politico”? O meglio cos’è il “realismo politico” contingente? Per capire bene devo saccheggiare e dialogare con un grandioso articolo di Maurizio Ferraris, L’illusione economica, pubblicato da La Repubblica il 12 gennaio, cinque giorni fa, che ho letto ancora una volta da quel stupendo strumento giornalistico chiamato Segnalazioni.
All’inizio del suo articolo il filosofo – che con i suoi interventi nel dibattito sul “Nuovo realismo”, ha rimesso al centro il dato reale sottraendolo dalle grinfie dei pensatori postmoderni che lo avevano ridotto ad una piccola cenerentola nelle mani dell’interpretazione avulsa dalla realtà – parla dei politici, non solo italiani, che nel dopoguerra hanno lentamente ma inesorabilmente demandato il governo delle nazioni agli economisti. Il “Governo dei tecnici” è esemplare ed è un punto di arrivo di questa intenzione programmata da decenni dai centri di potere economico (Gruppo Bilderberg, Trilaterale, lobby finanziarie, ecc.) e la prova provata di tale affermazione.
Scrive Ferraris:
«In un certo senso, la storia degli ultimi due secoli è la vicenda della ascesa politica di questa scienza, i cui cultori diventano consulenti del sovrano e poi sovrani essi stessi. Ancora per tutto il Novecento, si direbbe che la tecnica propedeutica alla politica rispetti la tripartizione delle funzioni della tradizione indoeuropea studiata da Dumézil: guerrieri, sacerdoti (ossia anzitutto tutori delle leggi) eagricoltori. Tolti gli agricoltori la leadership va naturalmente alle prime due categorie.»
Questa divisione in caste, già strenuamente difesa a cavallo tra i primi due millenni dell’era cristiana da Adalberto Vescovo di Laon che, col chiaro intento di legittimare il cosiddetto ordine sociale feudale, aveva suddiviso i viventi in Oratores, quelli che pregano, Bellatores , quelli che combattono) e Laboratores quelli che lavorano, è giunta sino a noi perpetuandosi attraverso i secoli.
Ora però, dice il filosofo, come successe nell’ottavo secolo d.C. nelle corte merovingia, dico io, i Maggiordomi di palazzo presero sempre più potere fino a che, nel 751, Monti … pardon “lapsus freudiano”, Pipino il Breve detronizzò l’ultimo dei rois fainéants (re fannulloni) divenendo egli stesso re dei franchi. I “Maggiordomi di palazzo” erano, usando i termini di Ferraris, gli antenati dei “consulenti economici del sovrano che diventarono sovrani essi stessi”. Verso la fine di quella dinastia, nei tre reami merovingi, Austrasia, Neustria e Burgundia, il potere vero veniva esercitato dal Maggiordomo di palazzo, che nominava e deponeva i re secondo i propri interessi o capricci.
Questi re non furono altro che fantasmi o burattini ed i loro nomi servirono soltanto a datare i documenti… vi viene in mente niente? Se dico Marchionne – Lapo Elkann vi viene in mente qualcosa?
« …non è difficile prevedere che fra qualche anno molti dei premier e dei capi di stato saranno economisti. » scrive Maurizio Ferraris. E questo perché, continua il filosofo « l´economia è diventata ciò con cui la politica deve misurarsi come di fronte a una oggettività ineludibile. Perché il punto è proprio questo. L´economia non trae prestigio dalla propria efficacia terapeutica (come avviene, poniamo, per la medicina), ma dall´idea che è lei a stabilire il principio di realtà con cui si devono misurare i politici e i cittadini.»
Se fosse così suonerebbe tragico. E infatti dice Ferraris«Tuttavia siamo sicuri che l´economia sia il candidato più attendibile a incarnare il principio di realtà? »
Ed è proprio qui che la sinistra deve intervenire , non facendo nessun patto di non belligeranza con chi vuole indurre nel pensiero politico e sociale un “principio di realtà” costruito ad hoc da uomini dei poteri finanziari e fatto indossare come un prêt-à-porter a uomini e donne della politica.
Ferraris termina il suo articolo scrivendo « … nessuno certo si sognerebbe di negare che esista una realtà economica, proprio come esiste una realtà giuridica. Ma è anche necessario sapere che questa realtà, così come tutti gli ambiti in cui si assiste alla produzione di oggetti sociali, deve essere sistematicamente interpretata e relativizzata. »
Certamente si, visto che non si tratta meramente di numeri aritmetici da far quadrare ma di esseri umani a cui far realizzare le proprie esigenze umane. Questo è il vero principio di realtà, perché è il principio di realtà umano, in continuo divenire, con cui chi vuole governare si deve misurare.
Economia, sviluppo, crescita, devono essere subordinate a questo principio di realtà umano. Ogni sviluppo deve essere umanamente sostenibile; ogni crescita realizzata al prezzo di una minore umanità va contro il principio di realtà umano. Un’economia che prevede una minore democrazia – come viene ormai ipotizzato con nonchalance da politici e filosofi come Cacciari – per poter conseguire gli obiettivi stabiliti da pochi ex Maggiordomi di palazzo divenuti sovrani, non persegue nessun principio di realtà ma solo gli interessi da una casta privilegiata che va sempre più assottigliandosi numericamente.
Maurizio Ferraris scrive «il luogo in cui si definiscono i valori, a partire ovviamente da quello pregiato della oggettività, della realtà e della verità è il mercato finanziario.» Ebbene questa non è tutta la verità, o perlomeno questa “verità” andrebbe riscritta usando il condizionale: «il luogo in cui si vorrebbero definire i valori, a partire ovviamente da quello pregiato della oggettività, della realtà e della verità è il mercato finanziario.» Questo perché, come lui ben sa, c’è chi ha i piedi ben piantati nella realtà e continua caparbiamente a chiamare vino il vino e pane il pane; disumano il non umano e umano il non disumano.
Questo è il principio di realtà che dovrebbe far parte dell’agenda della sinistra guidata dal Pd cominciando a chiamare le cose con il proprio nome e assegnando agli individui della politica i loro veri aggettivi qualificativi.
Il giornalista eretico Mario Barnard disse in un programma televisivo “Quest’uomo (Mario Monti N.d.R.) che ha parlato della Grecia, oltre ad essere un bugiardo, è un criminale, che è stato messo al governo da un golpe finanziario …” … Vedi qui il video
Questo fa parte di quel principio di realtà di cui sopra?
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