• Di Grognardo li Taverni e d’altri conti io vò cantando. Il libro di Emanuele De Luca

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    di Gian Carlo Zanon

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    Molte persone son per me ossimori viventi. O almeno così mi appaiono. Mi spiego meglio: Emanuele De Luca – autore del pantagruelico libro “Grognardo li Taverni e gl’altri conti …”  a vederlo sembrerebbe la persona più seria del mondo, con tutto ciò che di positivo e di negativo è contenuto in questo termine, … e invece!

    E invece … scusate, la sto prendendo un po’ alla larga perché non è facile parlare di quest’opera letteraria senza cadere nella banalità del déjà vu.

    Il quadro di Peter Bruegel il Vecchio (Lotta tra Carnevale e Quaresima) riprodotto in copertina dovrebbe avvertire il lettore sulla dismisura di significanze che si accalcano nelle pagine del libro che finisce con un bellissima appendice di Monica Di Fonzo dedicata alle ricette citate e descritte nel libro.

    De Luca è un “Gran Magro” ingordo che non si fa mancare nulla e fa accludere al suo libro anche un cd con due brani: Saltpinatz: Contaminazione tra un brano di Dizzy Gillespie e i richiami che i pastori di Sorvello lanciano agli armenti; e Mazurca Anna scritto nel 1954 dal maestro Igino De Luca.

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    Il “Gran Magro” è un personaggio della Diceria dell’untore di Gesualdo Bufalino. Il libro di De Luca non ha nulla a che fare con i contenuti della narrazione del grande scrittore siciliano. In questi due libri però è il suono a farla da padrone. E, oltre all’infinita stratificazione di significati, è questo che li unisce. Come nel romanzo di Bufalino, in questi racconti il suono impera, si esalta, tracima, deborda.  Nella narrazione di Bufalino il linguaggio barocco e il sublime danno forma e struttura alla narrazione; in Grognardo tutto si regge su un grammelot deluchiano che fa sentire gli odori ed i profumi del brulicare di persistenze umane che sgomitano per aver almen nella memoria quella sopravvivenza che gli è dovuta.

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    Qui si ubbidisce a un suono ganassa e fanfarone, al ritmo della strofa che zompa e che poi atterra per spiccare un uovo balzo, che lascia senza fiato. Le lettere giocano agglutinandosi in neologismi che hanno la “sola” funzione di caricar di senso ciò che già senso ha. «nadanisba»: giocano i “barbarismi”, rubati al di là dell’oceano scuro, con le parole grasse che imitano i rumori che fanno i corpi sul palcoscenico infinito della Commedia dell’Arte dei monti Aurunci. Il canovaccio è «Weltanschauung» ovvero la visione del mondo di ogni commediante che si fa spazio a gomitate sull’affollatissimo palco allestito dal commediografo: il De Luca che conosce “l’amabile dono delle muse”.

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    Mi dico: me lo terrò ben stretta questa ricca dispensa di parole rare. C’azzupperò pane e polenta per dar sapore e aroma ai miei discorsi a volte troppo sciapi. Qui c’è un tesoro, qui c’è robba forte.

    Ma attenzione, qui non c’è Totò con La livella, né Petrolini il gran affabulatore, né quell’altro attore c’ha fatto Per grazia ricevuta. Qui si va lontano, quando commedia e tragedia ancora erano un tutt’uno. Quando morte e vita eran “magia” e ci si affidava al caro estinto come al calzolaio: “me raccomanno a te …”.

    Certo si avverton qua e là i debiti con gente talentuosa, come il Tommaso Landolfi de La pietra lunare, ma poi non c’entran niente perché qui è il De Martino del Il mondo magico che arriva si siede e canta con gli altri togliendosi la giacca e dagli occhi il serio.

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    Nel racconto che De Luca dedica a quelle due persone “strane e stupende”  che da vivi non toccavan terra e che non son più, si passa con un oplà – senza alcun scricchiolar di cardini o cerniere – dalla realtà del lutto condiviso in un funerale paesano al banchetto dei fù: «S’erano i morti organizzati in laute libagioni (…) se li sentiva intenti a una corvé opulenta e ghiotta, una sontuosa mensa intingolata sopra fornelli fatui» e si prosegue come nulla fosse a elencare ogni prelibatezza terrena  nonostante «il mortal sospir» che li accomuna. Riverberi di “realismo magico” che dalle Americhe è tornato a oriente? Ci sarà, e perché no, anche quello. La contaminazione è un obbligo etico.

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    Questo, questo e molto altro è lo splendido e immenso e lussureggiante e smisurato lavoro di Emanuele De Luca che traccia arabeschi di vite arricchite dall’affetto e dalla voglia di far emergere quel fiume carsico che chiamava al parto. Potrei parlar per ore di questo libro, ma leggetelo voi ch’è meglio.

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    Autore: Emanuele De Luca

    Titolo: Grognardo li Taverni e gl’altri conti da Campodimele e culinaria finale

    Editore: Quattropassi Libri

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