• 70anni fa HIROSHIMA – Albert Camus

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    1 enola gayIl bombardiere Enola Gay con equipaggio soddisfatto e sorridente

    Enola Gay è il bombardiere B-29 Superfortress che il 6 agosto 1945, poco prima del termine della seconda guerra mondiale, sganciò sulla città giapponese di Hiroshima la prima bomba atomica della storia ad essere stata utilizzata in guerra, soprannominata Little Boy. A causa del suo ruolo nei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, il suo nome è stato sinonimo della controversia sui bombardamenti stessi. Enola Gay è il nome della madre del pilota, Paul Tibbets.

    «Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda. Il suo compito è additare ciò che è nascosto, dare testimonianza e, pertanto, essere molesto.»

    Horacio Verbitsky, da Un mundo sin periodistas

    «Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda. Il suo compito è additare ciò che è nascosto, dare testimonianza e, pertanto, essere molesto.»

    Horacio Verbitsky, da Un mundo sin periodistas

    Certamente Albert Camus fu un giornalista molesto. La sua prosa appartiene a ciò che oggi verrebbe chiamato “politicamente scorretto”. Oggi, come allora, sarebbe stato messo al margine della cultura dominante sia dai nuovi Sartre che dai rinati Mauriac.

    I suoi articoli apparsi su Combat prima e dopo la liberazione di Parigi, sono la testimonianza della sua assoluta libertà di pensiero. Camus non ebbe mai nessun timore reverenziale. I primi anni di vita avevano generato in lui un’irriverenza verso il potere oggi introvabile nel mondo del giornalismo che sa sempre dove fermarsi per non urtare gli umori di quella casta, di quella lobby, di quella chiesa.

    Bastano alcuni titoli dei suoi articoli per comprendere da quale fuoco fosse temprato:  A guerra totale resistenza totale, Hanno fucilato francesi per tre ore, La notte della verità, Il tempo del disprezzo.

    Dal primo del marzo 1944, scritto in clandestinità, che incitava i francesi alla resistenza, all’ultimo, del marzo del 1949 (che chiedeva di abolire una sentenza che ordinava di giustiziare due fucilieri algerini rei di diserzione per essersi consegnati – nove anni prima, con l’esercito francese allo sbando, insieme all’intero plotone, al nemico) Camus tenne sempre la schiena dritta di fronte al mondo dell’assurdo che gli era ostile.

    Fu sempre, fino all’ultimo minuto della sua troppo  breve vita,  un intellettuale contro: prima contro il governo fantoccio di Pétain colluso con il nazifascismo,  e poi contro politici, papi, industriali, e i loro servi della propaganda giornalistica, che volevano restaurare lo stesso identico sistema sociale e lo stesso “sistema filosofico” precedente a quella guerra che aveva causato almeno cento milioni di morti.

    Albert Camus non è riuscito a fermare l’ennesima restaurazione di un potere che trae la propria origine dall’annullamento dell’altro da sé visto come facente parte di una natura da sfruttare.

    Ciò nonostante rimane, per tutti coloro che vogliono fare giornalismo, un fuoco acceso su un lontano monte. Un fuoco da raggiungere prima che si spenga. Un fuoco al quale scaldarsi e ravvivare per il prossimo sconosciuto viandante che avrà il coraggio di avventurarsi in quei luoghi frequentati dalla verità.

    Gian Carlo Zanon

    1 hiroschima Camus

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     Questo articolo, di Albert Camus, narra del suo solitario rifiuto alle “ragioni di stato” che portarono a quella tragedia nipponica di cui nessuno parla più: Hiroshima e Nagasaky.

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    Combat – 8 Agosto 1945, Editoriale di Albert Camus

    Il mondo è quello che è, cioè poca cosa. È quello che, da ieri, ciascuno sa grazie al formidabile concerto che la radio, i giornali e le agenzie di stampa hanno appena finito di organizzare a proposito della bomba atomica. I fatti, soverchiati da una folla di commenti entusiasti, ci insegnano che qualsiasi città di media importanza può essere totalmente rasa al suolo da una bomba della grandezza di un pallone da football. Giornali americani, inglesi e francesi si dilungano in eleganti dissertazioni sul futuro, il passato, gli inventori, il costo, la vocazione pacifica e gli effetti bellici, le conseguenze politiche e anche il carattere indipendente della bomba atomica (1).

    Noi riassumeremo il nostro pensiero in una sola frase: la civiltà meccanica è appena giunta al suo ultimo grado di barbarie. Dovremo scegliere, in un futuro più o meno prossimo, tra il suicidio collettivo e l’impiego intelligente delle conquiste scientifiche.

    Nell’attesa, si può pensare che vi sia un certa indecenza a celebrare in questo modo una scoperta che si pone prima di tutto al servizio del più formidabile accanimento distruttivo di cui l’uomo abbia dato prova da secoli. Che in un mondo esposto a tutti gli strappi della violenza, incapace di alcun controllo, indifferente alla giustizia e alla semplice felicità umana, la scienza si consacri all’omicidio organizzato, nessuno ormai, a meno che non sia affetto da idealismo congenito, troverà modo di stupirsi.

    Scoperte del genere dovrebbero essere registrate, commentate per quello che sono, annunciate al mondo affinché si abbia un’idea plausibile del proprio destino. Ma corredare queste terribili rivelazioni con una letteratura pittoresca o caricaturale è davvero intollerabile.

    Già si respirava male in questo mondo tormentato. Ed ecco che ci viene proposta una nuova angoscia, che ha tutte le prerogative di essere definitiva. Sì, viene offerta all’umanità la sua ultima possibilità. Dopotutto, potrebbe fungere da pretesto per un’edizione speciale. Ma, più probabilmente, dovrebbe fungere da occasione per non poche riflessioni e molto silenzio.

    Del resto, ci sono altre ragioni per accogliere con riserva il romanzo di fantascienza propostoci dai giornali. Quando si vede redattore diplomatico dell’Agenzia Reuter annunciare che l’invenzione rende caduchi i trattati o prescritte le stesse decisioni di Potsdam e sottolineare come sia ormai indifferente che i russi trovino a Königsberg o la Turchia sui Dardanelli, non ci si può trattenere dall’attribuire a questo bel concerto intenzioni estranee al disinteresse scientifico.

    Intendiamoci bene. Se i giapponesi capitolano dopo la distruzione di Hiroshima (2) e sotto il suo effetto intimidatorio, noi ne siamo felici. Ma non intendiamo far discendere da una notizia tanto grave altra decisione se non quella di perorare con ancora maggior forza la causa di una vera organizzazione internazionale nella quale  le grandi potenze non abbiano diritti superiori a quelli delle piccole e medie nazioni e nella quale la guerra, flagello divenuto mortale per il solo effetto dell’intelligenza umana, non dipenda più dagli appetiti o dalle dottrine politiche di questo o quello Stato.

    Davanti alle prospettive terrificanti che si aprono all’umanità, ci accorgiamo ancora di più che la pace è la sola battaglia che meriti di essere combattuta. Non è più una supplica ma un ordine che deve salire dai popoli ai governi, l’ordine di decidere definitivamente tra l’inferno e la ragione.


    (1)Effettivamente, la lettura dei giornali ha un che di edificante. Si tratta essenzialmente di articoli scientifici sulla costruzione della bomba e sull’atomo.

    (2)Hiroshima viene bombardata il 6 agosto Nagasaki il 9 agosto. Questo articolo è dell’8 agosto.

    Da “Questa lotta vi riguarda, corrispondenze per Combat 1944 – 1947 “– Prima edizione Bompiani – ottobre 2010

    16 aprile 2013

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