• Valeria Parrella – Antigone, la legge interna del sogno.

      0 commenti

    Novità editoriale

    martedì 6 novembre 2012

    di Gian Carlo Zanon

    L’eroina greca Antigone, colei che nella tragedia di Sofocle oppose l’amore alla legge per dare sepoltura al fratello Polinice contro il volere del re Creonte, ritorna nella riscrittura attuale di Valeria Parrella, carica d’intensità e di poesia. Il diritto di dare sepoltura a chi pur vegetando non ha più una vita psichica, e quindi umana, sta al centro di questo dramma scritto per le scene.

     –

    «Molte potenze sono tremende ma nessuna lo è più dell’uomo, che rigetta la sua natura e fa fango della terra fertile e del mare cristallino, e costringe il pensiero che gli è naturale in vincoli umilianti».
    Se questo pensiero verbale non appartenesse ad Antigone, si potrebbe pensare che Valeria Parrella con il suo dramma, Antigone, voglia raccontare tutta la negatività del genere umano. Le cose naturalmente non stanno così.
    Questa opera, dell’autrice del libro “Lo spazio Bianco”, scritta per le scene e rappresentata per la prima volta il 25 settembre al teatro Mercadante di Napoli, rivisita il mito della lambacide ridando vita ad un dimensione etica messa da parte dalle leggi della ragione: la legge degli affetti e del ‘sentire’. Vale a dire quelle leggi «non scritte» di cui parla Sofocle nella prima tragedia conosciuta sul mito di Antigone, che esprimono i principi etici “sentiti” dall’individuo come inalienabili.

    Come scriveva il poeta Shelley ad un amico, coloro che si innamorano di Antigone «non troveranno mai completa soddisfazione in un legame mortale». La ragazza di Tebe rimane nei secoli un’ideale, un’immagine femminile interna che rinasce ogni volta che di fronte all’inumano si “sente” uno strappo etico che costringe alla ribellione e ad ascoltare le leggi del nostro “sentire” che sono la nostra realtà umana più profonda.

    valeria-parrella ok

    La Parrella recupera il senso profondo della tragedia ricreandola con un proprio linguaggio originale; l’autrice con suoni verbali che sono quelli della poesia epica, evoca la certezza dell’Io di Antigone ridando voce e immagine alla ragazza di Tebe, fedele al richiamo delle leggi mai scritte che esistono da sempre. Inoltre sottolinea lo squallore esistenziale del Legislatore: «In sono la legge, guardia, non sono io, no mi parlare come a un uomo, parlami come colui destinato dagli dèi a dettare legge in questa città confusa». Creonte nel 2012 ha cambiato nome, ora si chiama Il Legislatore, un essere disincarnato e metafisico che legifera prescindendo dalla realtà umana propria e degli altri. Legislatore che con le sue leggi nega la sepoltura e costringe per tredici anni il simulacro di Polinice, intubato e attaccato ad un respiratore meccanico, ad una “vita chimica”.

    Chi frequenta il mito sa che spesso viene richiamato in vita per essere svuotato di senso, come fece Euripide con le sue due opere su Ifigenia; oppure può essere rivitalizzato attualizzandolo come fa l’autrice di questa tragedia contemporanea. L’Antigone della Parrella è un essere pensante che sa che la capacità di scelta è una forte discriminante tra l’essere e il non essere. Negli esseri umani non c’è l’istinto che determina il comportamento predeterminato, essi possono scegliere. Possono anche scegliere di non mangiare e lasciarsi morire di fame, o rischiare di morire se lo stridio tra la propria realtà interna e leggi scritte da Legislatori che hanno tradito l’umano, impongono un atto eroico.

    L’eroina evocata dall’autrice ne è ben consapevole: «Se non fossi capace di questo atto tanto varrebbe che non fossi mai esistita» dice alla pavida sorella che si ritrae ai doveri della pietas.

    Come già fece Jean Anouilh nella sua opera teatrale scritta nel 1941, Valeria Parrella dà alla ragazza di Tebe la sapienza dell’essere, purtroppo messa in soffitta dai filosofi del pensiero debole: «Veglio un morto – dice Antigone parlando del fratello intubato e costretto, pur privato del movimento del pensiero che rende l’essere umano tale, ad una ‘vita’ esclusivamente organica – (…) e ai morti si dà sepoltura (…) io premevo forte il mio orecchio all’amato petto e dentro sentivo il tempo immobile e preciso scandire i suoi rintocchi di carne(…) – poi, rivolgendosi al Legislatore – La vita è un soffio che esce, signore, non uno che entra. Io questo so, e non mi pento di quello che ho fatto.»

    L’autrice parlando di «tempo immobile» svela l’inganno sia del tempo reso infinito dalla credenza trascendentale, sia del tempo della ragione scientifica: quello non umano della clessidra che regola il tempo imitando la rivoluzione degli astri. Forse la Parrella, dicendo del “tempo immobile” vuole suggerire che il tempo di ogni essere umano inizia nell’istante alla nascita con il pensiero e si conclude quando il pensiero scompare. Anche l’essere umano che costringe il «pensiero, che gli è naturale, in vincoli umilianti» rende il proprio tempo immobile.

    Alla fine del dramma Antigone lascia una lettera a Emone, il ragazzo di cui è innamorata, con la quale lo esorta a «cercare nella notte fonda e immobile quell’unica persona che, fremito alle palpebre , inizi ora a sognare: è solo da un sogno nuovo che può principiare il futuro» … e il divenire del tempo.

    parrella_antigone

    Scheda

    Titolo : Antigone
    Auttrice : Valeria Parrella
    Editore: L’arcipelago Einaudi, Torino, 2012

    Scrivi un commento