• Aleksandra Kollontaj: Rivoluzione, esigenze intime, aspirazioni sociali. Che fare?

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    La lettura del libro della storica Annalina Ferrante “Aleksandra Kollontaj – Passione e rivoluzione di una bolscevica imperfetta” (L’Asino d’Oro edizioni) sulla vita della “pasionaria” russa – unica donna ad avere un’alta carica governativa nel Consiglio dei commissari del popolo presieduto da Lenin – mi ha riportato alla mente le ricerche sulla Rivoluzione dell’ottobre 1917, sui suoi sviluppi, sulla sua deformazione totalitaristica staliniana. 

    Una ricerca la mia fatta eslorando molto più le testimonianze di John Reed, le poesie di Nazim Hikmet e di Majakovskij, i romanzi di Černyševskij, di Pasternake di Bulgakov e le opere di tanti altri letterati  che hanno vissuto la Rivoluzione d’Ottobre, che i testi di storia in cui si raccontano fatti ed eventi ma che lasciano sempre insoddisfatti.

    Il libro di Annalina Ferrante non è tra questi perché l’autrice fonde sapientemente i dati storiografici, imprescindibili, la narrazione sulla realtà umana di Aleksandra Kollontaj e la storia della sua estenuante lotta per la difesa di un rapporto tra i sessi in cui la realizzazione dell’una divenga il pungolo per la realizzazione dell’altro. E questo perché, come scrive nell’epilogo l’autrice, «non c’è socialismo, non c’è comunismo,  non c’è liberazione se non si parte dalla verità dell’origine umana e non si riconosce l’uguaglianza naturale, fisiologica, tra uomini e donne». Aleksandra Kollontaj tutto questo lo aveva intuito… ma «Non era ancora tempo».

    Ci sono momenti nella storia in cui sembrano aprirsi enormi possibilità di piena realizzazione dell’identità umana. In quei momenti storici l’utopia appare concreta e reale. In quei balenii della storia sembra che libertà e eguaglianza possano convivere dialetticamente. La storia però ci dice che, finora, dopo questi periodi felici ma poco fecondi, sono seguite feroci restaurazioni che riportano allo “stato precedente”.

    Come suggerisce Annalina Ferrante alla base di questi fallimenti storici c’è indubbiamente il fallimento del rapporto uomo donna. Rapporto interumano d’amore che storicamente rimane incastrato tra un rapporto d’amore intimo e privato, in cui l’uno domina l’altra, e la prassi rivoluzionaria. Prassi rivoluzionaria che oggi potremmo tradurre in “ricerca infinita sulla realtà umana”.

    Questo inestricabile “nodo gordiano” del rapporto interumano, lo racconta bene Nazim Hikmet nel suo romanzo autobiografico Gran Bella cosa è vivere, amici miei, in cui egli narra, in modo struggente, il suo rapporto d’amore che viene interrotto per obbedire “alla Rivoluzione” che lo vuole altrove: «Camminiamo l’uno accanto all’altra. Camminiamo l’uno accanto all’altra, noi tre io, Anuška, e la separazione.» Poco prima aveva narrato di un momento magico in cui collettività sociale in marcia verso un futuro, che si vuole radioso per l’umanità intera, e i vincoli d’amore si fondono meravigliosamente: «Avanziamo lentamente sulla Piazza Rossa. Davanti a noi e dietro di noi, persone, slogan, ritratti canzoni. Il nostro gruppo intona la Marcia del Primo Maggio. “Primo Maggio, Primo Maggio, nostro primo desiderio!” Anche Anuška si unisce a noi. (…) Tengo Anuška per mano. Un compagno insinua: “Hai Paura che ti scappi via?”. “Non saprei, dentro di me c’è sempre una paura immotivata di perderla all’improvviso, che svanisca nell’aria, che diventi uccello e si levi in volo”.»

    Torna anche in Hikmet il tema dell’Eros alato – tanto caro ad Aleksandra Kollontaj – che rappresenta “quella libertà e quell’impegno sociale” che non può prescindere dai vincoli che incatenano all’altro da sé, diverso da sé, quando questi va a rappresentare la parte più importante di sé. Si… ma come far  coincidere tutto ciò con la costruzione di una nuova società in cui il singolo, con le sue esigenze e i suoi sogni, e  i suoi vincoli d’amore per un l’altro da sé ben definito, deve essere al servizio degli altri e quindi, se “chiamato”, deve rinunciare anche a se stesso? Un “enigma della vita” apparentemente irrisolvibile soprattutto se la “soluzione” viene calata dall’alto di una ideologia la quale, come sottolinea l’autrice, si ispira al più bieco positivismo delle teorie pavloviane per le quali la sessualità, al pari del respirare, del mangiare, serve solo per la sopravvivenza della specie. Quindi per l’ideologia imperante «l’amore sessuale, per quanto alato, si contrappone al sociale e il collettivo muore, mentre l’amore “ingrassa”.» Queste sono le parole di un detrattore delle idee di Aleksandra Kollontaj.

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    Questa dei detrattori della “pasionaria russa” diviene «una logica ineccepibile che fa emergere con chiarezza – come è stato  osservato in anni più recenti –  l’affermazione del primato degli interessi sociali e la conseguente negazione del diritto umano alla felicità personale.»

    In questo dogma ideologico non c’è certamente spazio per le rivendicazioni identitarie di Aleksandra Kollontaj: per lei il vero rapporto uomo-donna avrebbe dovuto essere un amore «da compagni». Un rapporto dialettico e non esclusivo, liberato dai vincoli giuridici e mentali del matrimonio borghese. Un rapporto donna-uomo che, come aveva vaticinato il socialista utopista Černyševskij, nel suo romanzo filosofico, “Che fare?”, proprio per la sua caratteristica egualitaria e libertaria avrebbe rafforzato i sentimenti di solidarietà sociale: «l’amore-solidarietà – scrive Aleksandra Kollontaj  – avrà un ruolo motore analogo a quello della concorrenza e dell’amor proprio nella società borghese».

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    Nel 1923 la «sua lettera alla gioventù lavoratrice», Largo all’Eros alato, apparsa sul mensile Molodaja Gvardija, esplode come quella “bomba  lanciata nei cervelli” di cui parlava Gramsci a proposito delle opere di Pirandello. L’appello si rivolge alla gioventù sovietica, in particolar modo si rivolge alle menti in cerca di risposte sui rapporti tra compagni e compagne all’interno dell’ideologia bolscevica. Questo testo, breve ma incendiario, intendeva rifondare la sessualità su basi estremamente progressiste intese a riconoscere alle donne sovietiche le libertà civili e sessuali che di fatto appartenevano solo agli uomini: «Nel Komsomol si rinnova la “doppia morale” (…) alla ragazza è chiesto un comportamento irreprensibile, mentre il ragazzo che vive più legami è ammirato. L’autorevolezza di un’attivista dipende da questo».

    Ma la «concreta utopia» di questa grande donna, fatta rivivere nelle pagine del libro di Annalina Ferrante, viene messa nel cassetto delle cose inutili. Il nuovo codice di “normalizzazione”, propugnato da Stalin, riporta sulla scena la “centralità della famiglia” intesa come luogo delle ineguaglianze tra i generi e altare sul quale sacrificare la libertà della donna. Scrive L. Cavallaro nella sua introduzione al pamphlet di Aleksandra Kollontaj (Il melangolo editore) «Nel breve volgere di qualche anno, si assistette al ripristino della criminalizzazione della libertà dei costumi e del vagabondaggio sessuale, dell’omosessualità e della prostituzione; si tornò ad esaltare la famiglia tradizionale, aggravando le procedure per il divorzio, ristabilendo l’autorità paterna e differenziando lo status giuridico tra figli legittimi e illegittime; si diede nuova enfasi alla procreazione, non solo tassando i celibi e le coppie senza figli, ma addirittura creando il titolo onorifico di “Madre eroica” (più di 10 figli) e l’ordine della “Gloria Materna” (da 7 a 9 figli); soprattutto, si tornò a vietare l’aborto, salvo in caso di pericolo per la salute della donna.»

    Scriveva Aleksandra Kollontaj in Nuova morale e classe operaia «La crisi sessuale è irrisolvibile senza una riforma fondamentale della psicologia umana, senza l’accrescimento del “potenziale d’amore”. Ma questa riforma della psiche dipende interamente della riorganizzazione fondamentale  dei nostri rapporti socioeconomici su basi comuniste. Al di fuori di questa “vecchia verità” non c’è via d’uscita». E qui, se mi posso permettere, c’è un vulnus ideologico: ovvero il pensiero/credenza che la realtà psichica degli individui si possa trasformare solo quando i rapporti socioeconomici si riorganizzino su basi ideologiche marxiste. Basi ideologiche auspicabili basate sulla ridistribuzione della ricchezza e sulla giustizia sociale, ma che non possono prescindere dalla realtà umana degli esseri umani che la compongono… sono gli esseri umani a formare le società e non le società a formare gli esseri umani… la società, intesa come agglomerato multiforme di esseri umani, al più, può non impedire la realizzazione umana e arginare la violenza di chi, come l’apparat sovietico d’antan, vuole solo gestire un potere centralizzato, onnipotente e maschilista.

    Come sottolinea l’autrice di questo prezioso libro: «C’era un sogno. C’era una visione che solo le donne potevano rendere reale. Ma non era ancora tempo. Aleksandra Kollontaj ci aveva avvisato che senza le donne non poteva esistere nessuna ‘rivoluzione’. Così è stato» E ancora quel tempo non si ancora pienamente realizzato visto che le donne fino a ieri sono scese in piazza gridando “Se non ora quando?” Se non ora quando scriveva Aleksandra Kollontaj si risolverà «Il conflitto nell’amore, quando l’uomo non riconosce l’io della donna come persona;  il conflitto che si svolge all’interno dell’animo femminile, quando la donna non riesce a conciliare l’amore con la partecipazione alla vita attiva».

    Leggetelo questo libro e capirete come e perché il sogno di milioni di persone si è spento miseramente… si è spento perché la fusione tra le idee di una socialità umana e solidale, la libertà e la realizzazione delle donne, e i rapporti sessuati con l’altro da sé non è mai avvenuto… non è ancora avvenuto… e non si è spento… le braci giacciono sotto la cenere della storia e si sono già trasformate in scintille. 

    Gian Carlo Zanon, 5 novembre 2021

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