• Riccardo Bauer … uno di sinistra

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    Foto della famiglia Bauer: Riccardo è l’ultimo a destra


    Biografia

     

    Riccardo Bàuer (Milano, 6 gennaio 1896 – Milano, 15 ottobre 1982) è stato uno storico, politico e antifascista italiano.

    Laureato in scienze economiche all’Università Commerciale Luigi Bocconi, partecipa come volontario alla prima guerra mondiale. È prima segretario e poi direttore del Museo sociale della Società Umanitaria di Milano, carica dalla quale fu rimosso dai fascisti nel 1924.

    Collaboratore de La Rivoluzione liberale di Piero Gobetti e fondatore, con Ferruccio Parri e altri, del settimanale Il Caffè, viene arrestato più volte e, nel 1927, confinato a Ustica e a Lipari.

    Tornato libero nel 1928, riprende l’attività clandestina e, con Ernesto Rossi e altri, fonda il movimento Giustizia e Libertà. Dopo altri arresti, nel 1931 viene condannato definitivamente a venti anni di reclusione. Nel 1939 esce dal carcere e viene inviato al confino di Ventotene. [1] Liberato nel 1943 dopo l’8 settembre, partecipa al primo convegno clandestino del Partito d’Azione.

    Fonda nel 1944 e dirige fino al 1946 la rivista Realtà Politica; come dirigente e capo della Giunta militare del Partito d’Azione, è tra i principali organizzatori della Resistenza a Roma.

    Dopo la Liberazione milita nel Partito d’Azione e, sciolto il partito, torna prima alla vicepresidenza, poi alla presidenza della Società Umanitaria. Successivamente al 1969, presiede la Lega italiana per i diritti dell’uomo, la Società per la Pace e la Giustizia internazionale, il Comitato italiano per l’universalità dell’Unesco. Negli anni cinquanta e sessanta ha più volte fatto parte del Consiglio di Amministrazione della Triennale di Milano.

     


    I fondatori di “giustizia e libetà”

     

    Sergio Romano

    La via solitaria di Riccardo Bauer

     

    Dopo la fine della guerra, quando Milano liberata fu per parecchi mesi un frenetico laboratorio di idee e progetti democratici, una delle persone in cui mi imbattevo più frequentemente, passando dalla lettura di un giornale a un pubblico dibattito, si chiamava Riccardo Bauer.

     

    Era nato nel 1896, era stato volontario nella Grande Guerra, aveva collaborato a «La Rivoluzione liberale», la rivista di Piero Gobetti, e fondato con Carlo Rosselli, nel 1924, un settimanale antifascista, «Il Caffè». Dopo l’avvento del regime aveva organizzato la fuga di Filippo Turati in Francia, fondato con Rosselli il movimento Giustizia e Libertà e impiegato una buona parte degli anni seguenti passando da un carcere all’altro, da un confino all’altro. Liberato nel 1943, era divenuto uno dei maggiori esponenti del Partito d’Azione e aveva diretto la giunta militare del Comitato di liberazione nazionale.

     

    Poche persone possedevano allora, in tale misura, tutti gli ingredienti necessari per una brillante carriera politica nello Stato repubblicano: cultura, esperienza, talento organizzativo, una penna polemica, doti oratorie, passione. Ebbene, quest’uomo che sembrava destinato a un ruolo parlamentare e a incarichi di governo, decise di uscire dalla fila. Non rinunciò alla politica, ma decise di farla «dal basso» scrivendo, animando molte battaglie riformiste e soprattutto dirigendo la Società Umanitaria, cuore della cultura positivista e democratica milanese sino all’avvento del fascismo. È probabile che una delle ragioni della scelta fosse il fallimento del Partito d’Azione, in cui aveva riposto le sue speranze. Ma Bauer avrebbe potuto imitare quegli azionisti del gruppo dirigente che si sparpagliarono fra gli altri partiti della sinistra democratica. Scelse invece un’altra strada, più libera e solitaria. I motivi della scelta sono in una raccolta di scritti inediti pubblicati presso le edizioni Raccolto per iniziativa di un comitato scientifico di cui fanno parte Piero Amos Nannini, Arturo Colombo, Morris L. Ghezzi, Daniele Vola. S’intitola Pesci in faccia perché questa è la frase con cui Bauer definiva lo stile del polemista a cui non piace tirare di scherma con i fioretti che hanno un bottone di cuoio sulla punta. In un Paese nuovamente democratico ma come sempre incline ad accordi di convenienza, patteggiamenti e compromessi, Riccardo Bauer avrebbe parlato chiaro.

     

     Riccardo Bauer, a sinistra

     

    Dalla scelta degli argomenti a cui dedicò le sue note polemiche fra il 1951 e il 1958, il lettore concluderà rapidamente che l’Italia, come andava prendendo forma dopo le elezioni del 1948 e del 1953, non era quella delle sue aspettative. Non gli piaceva che la Chiesa si servisse della Democrazia cristiana per estendere la sua influenza sulla società nazionale. Non gli piaceva lo stile di De Gasperi, a suo giudizio troppo morbido e accomodante. Non gli piaceva che la questione di Trieste risvegliasse gli umori nazionalisti del Paese. Non gli piaceva che il Partito comunista avesse la sua casa madre fuori dell’Italia e che riservasse a Stalin una «feticistica esaltazione». Ma non gli piaceva neppure l’America conservatrice di Dwight Eisenhower e Richard Nixon, eletti alla presidenza e alla vicepresidenza nel 1952. La sua maggiore indignazione, tuttavia, è riservata agli scandali, come il caso Montesi, ai misteri, come quello della morte di Salvatore Giuliano, agli esempi sempre più frequenti di affarismo, corruzione, voti conquistati con favori clientelari. Vi sono pagine in cui il lettore dimentica la data degli avvenimenti commentati da Bauer e ha l’impressione di leggere cronache contemporanee. Suggerisco, in particolare, la lettura di una nota dedicata alla discussione della Camera e del Senato su una legge che si proponeva di rendere incompatibile la funzione dei legislatori con quella di «amministratori di enti sottoposti al controllo dello Stato o riceventi dallo Stato finanziamenti e contributi». Molti parlamentari obiettavano che una tale legge avrebbe gettato sul Parlamento un’ombra di dubbio, lo avrebbe umiliato e screditato. Il problema affrontato dalla legge era di costume morale: meglio quindi lasciare la questione alla sensibilità morale dei singoli parlamentari.

     

    Riccardo Bauer commentò: «Chi così argomenta però non si piglia la briga di misurare il grado della sensibilità morale dei nostri parlamentari, di vedere sino a che punto quell’invocato costume sia effettivo». La nota porta la data del 28 gennaio 1953, quasi sessant’anni. Vi sono state da allora alcune leggi sull’incompatibilità, ma l’Italia è ancora il Paese in cui l’avvocato parlamentare può continuare a fare l’avvocato, magari del presidente del Consiglio. Bauer redivivo non avrebbe da aggiungere nulla alle sue parole di allora.

     

    (Da: Il Corriere della sera del 3 ottobre 2012)

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