• La Jihād cristiana e le crociate mussulmane: depredare l’infedele perché il dio monoteista “lo vuole”

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    Jeanne Pucelli

    «Nel tredicesimo secolo cominciò la grande epoca delle crociate dei cristiani contro i cristiani: contro i cristiani greci (1202-1204), contro gli albigesi (1209-1229), contro i Serbi (1227-1234), contro i contadini di Steding (1234).»

    Karlheinz Deschner, Storia criminale del Cristianesimo, Tomo VII, pag.56

    «Ad un giornalista che chiedeva, dopo l’attentato alle torri gemelle, che effetto gli facesse condividere la sua religione con tali terroristi, Mohamed Alì rispose: e a lei che effetto fa condividerla con Hitler?»

    Questa mattina ho navigato sulle calde acque informative del preziosissimo sito Segnalazioni che ogni giorno pubblica la rassegna stampa degli articoli degni ed indegni che servono per farsi una panoramica politica culturale su ciò che accade nel mondo e sulle modalità con cui questo accadere viene interpretato.
    In quelle acque ho pescato due articoli moooolto interessanti che narrano due storie “parallele”: le scorrerie saracene dell’anno domini 846 che devastarono le chiese di Roma e provincia, e la IV Crociata del 1202-1204 che partita con tutte le “buone intenzioni” – liberare Gerusalemme massacrando più infedeli possibile – trovò più comodo e più redditizio spogliare di ogni bene l’Impero d’Oriente colpevole di eresia per ragioni di “procedenza trinitaria”.
    Mentre l’articolo di Carlo Carena , Historia magistra? Dannate crociate, apparso su il Sole24ore, appare armato di buone intenzioni storiche, non si può dire altrettanto dell’articolo dal titolo minaccioso di Amedeo Feniello, Roma 846, l’Isis è già arrivato, stampato sulle pagine del Corriere – La Lettura.

    Anche l’incipit ha delle intenzionalità … “particolari” « Bisogna fare attenzione alle minacce dell’Isis e non fermarsi alla superficie. Dietro di esse c’è qualcosa di più profondo della semplice propaganda. C’è una consapevolezza, un richiamo continuo a una legittimità che ha radici profonde nell’idea del califfato, globale e pervasivo. Con obiettivi e nemici chiari e condivisi dai loro confratelli: Israele, i «crociati» occidentali, la cristianità in genere. E, naturalmente, il suo maggiore simbolo, Roma. Con un sogno: prenderla e distruggerla.» ELLAMADONNA!!! direbbe il mio amico Carugati di Busto Arzizio.


    Dopo questo inizio quantomeno allarmante, guardate, ci dice il Feniello, che non solo i perfidi saraceni del ventunesimo secolo vogliono issare la bandiera dell’ISIS sul cupolone, ma l’hanno già fatto più di mille anni fa quando «La Jihād investì l’Italia con lo sbarco di mille saraceni – e – la basilica di San Pietro fu saccheggiata e distrutta».


    Il giornalista del Corriere ci informa su questo evento tragico avvenuto nel, secondo lui, «periodo forse meno conosciuto della nostra storia – quando – la minaccia di un califfato senza confini che spazzasse via la città di Roma sembrò essere davvero dietro l’angolo, quasi sul punto di avverarsi.»
    Questi “mille saraceni”, come scrive Feniello, erano talmente pericolosi che bastarono pochi contadini armati di forcone per farli correre a gambe levate «L’unica reazione arriva dai contadini romani: respingono la truppa saracena, che scappa via, scompaginata».
    Naturalmente ci si sofferma sui trucidi atti dei barbari saraceni «Nel mese di agosto 846 — scrive Prudenzio di Troyes — (…) Alcuni duchi dell’imperatore Lotario furono empiamente tagliati a pezzi».

    Ed ecco fatto la similitudine con gli assassini dell’ISIS. La barbarie jihadista è ricostruita riproponendo l’imago della santa civiltà cristiano/occidentale, (che ha il compito – avuto dalla propria divinità maggiore – di civilizzare i barbari mediorientali di un dio minore) attaccata da un popolo incivile e sanguinario che vuole la sua distruzione.

     

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    L’articolo del Sole24ore invece narra dei crociati che partiti al grido “Dio lo vuole” – qualcuno prima o poi mi spiegherà la differenza, per me oscura, tra questo motto e il concetto di “Jihād” – devastarono e saccheggiarono l’impero d’Oriente cristiano e «sulla loro irruzione nella città del Bosforo da meritare l’entrata ai primi posti in un’antologia dell’horror». Interessante anche sapere che, a proposito di furia iconoclasta, questi gentiluomini scudo-crociati non avevano nulla da invidiare ai distruttori di opere d’arte dell’ISIS: «Gruppi statuari in bronzo della più varia bellezza e fantasia, di dei e animali furono fusi per farne monete».

    Animati da sacre istanze – civilizzazione, evangelizzazione – e da profetiche aspirazioni all’esportazione di democrazia ante litteram, i crociati si misero sulla strada dell’evoluzione della “civiltà”, che conduce sempre ad oriente: «La catena degli avvenimenti che si snoda in tutto il corso dell’opera come un turbine ininterrotto culmina in questi ultimi libri, XV-XIX, col racconto autoptico della catastrofe finale, la presa e devastazione della capitale dell’Impero d’Oriente e il destino dei suoi abitanti, quando vi si avventano i crociati occidentali. Francesi e veneziani, partiti per la Palestina su esortazione e con la benedizione di Innocenzo III, essi deviarono verso terreni più pingui e proficui».

    La differenze tra l’exploit dei pirati saraceni che saccheggiarono le chiese di Roma fuori le mura, scacciati dai burini a legnate, e i “lanzichenecchi” crociati che misero a sacco per un anno intero l’intera regione depredando soprattutto chiese a cattedrali, tra cui Santa Sofia, stanno nelle forze in campo e nelle intenzionalità politiche della Chiesa cattolica.
    Da una parte un migliaio di predoni saraceni intruppati alla meglio da qualche capo corsaro che agiva per riempirsi le tasche, dall’altra un esercito guidato da alti dignitari cattolici che esortati da Innocenzo III (lo stesso papa che fece sterminare migliaia di catari) andarono a prendere possesso di quelle terre. Terre che, secondo la cosiddetta donazione di Costantino, appartenevano a Santa Madre Chiesa e a coloro che da essa venivano infeudati.

     

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    Come si può notare sempre di Jihād si tratta, vale a dire “esercitare il massimo sforzo” per arricchirsi con ciò che appartiene agli infedeli. Nel medioevo, per la Chiesa cattolica, i cristiani dell’Impero d’Oriente erano infedeli. Ora, per i cristiani e gli ebrei integralisti e per i governi che li sostengono, gli infedeli sono i mussulmani; per i mussulmani integralisti e per il potere che li sostiene, gli infedeli sono gli ebrei e i cristiani. Infedele era ed è sinonimo di “individuo appartenente alla specie umana da depredare al grido di «il mio dio lo vuole e io mi sottometto al suo volere, così non ho neppure i sensi di colpa»”.


    Basterebbe la storia della colonizzazione predatoria del medio e lontano Oriente, dell’Africa, delle Americhe, dell’Australia da parte degli occidentali e infine della Palestina dopo il ’68,  per capire di cosa stiamo parlando. Altro che quattro saraceni che si rubano gli ori dalle chiese cattoliche. Altro che ISIS, che si è, per ora, impossessato di una milionesima parte delle risorse naturali del globo che per diritto appartengono ai popoli che abitano le terre che hanno visto nascere i loro padri  e che invece vengono sfruttate, al 20% , dai “comunisti” cinesi e al 70% dal capitalismo predatorio occidentale in mano a individui di religione cristiana o ebraica.
    I pazzi criminali dell’ISIS, sono sì da considerare alla stessa stregua dei pirati saraceni ma solo per quanto riguarda la loro vera forza e la loro orribile pericolosità. Orrore ingigantito sì dalla loro ferocia propagandata cinematograficamente, ma anche da chi dice di voler esportare civiltà e invece pensa di usare la paura degli occidentali per continuare depredare ancora una volta i paesi dove si parla la lingua araba e derivati…

    «ad un giornalista che chiedeva, dopo l’attentato alle torri gemelle, che effetto gli facesse condividere la sua religione con tali terroristi, Mohamed Alì rispose: e a lei che effetto fa condividerla con Hitler?» (Cheyenne- Goood morning Vietnaaam)

    © J. Pucelli – 9 marzo 2015

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