• Parole rubate

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    parole rubate

     

    I ladri di parole

    Ecco un’altro che ha capito come ci comandano, e ci aiuta a capire. l’Espresso online, blog “piovono rane”, 10 novembre 2013

    I ladri di parole sono ladri di pensieri, perché i pensieri sono fatti di parole: quindi ci rubano uno dei tesori più preziosi che abbiamo.

    I ladri di parole parlano e scrivono all’unico scopo di incrementare i loro effetti predatori: più parlano e scrivono, più rubano parole.

    I ladri di parole spesso usano l’artificio della ripetizione all’infinito di una parola rubata per sottrarla gradualmente ma completamente al suo significato originario e farne qualcosa d’altro a cui in molti finiamo per credere: rubando così – appunto – anche i nostri pensieri.

    I ladri di parole insomma sanno ingannare con le parole truccate, anche perché spesso comandano nei media e non solo.

    I ladri di parole chiamano libertà la loro estensione di dominio; per converso, chiamano lacci e lacciuoli qualsiasi ostacolo possa moderare detta estensione.

    I ladri di parole chiamano moderazione la loro onnipotenza, chiamanomercato la loro ingordigia, chiamano ordine e stabilità il loro dominio.

    I ladri di parole chiamano sicurezza la sorveglianza; e quanto alla sicurezza vera, quella ad esempio sul lavoro, vale quanto detto sopra a proposito dilacci e lacciuoli.

    Il ladri di parole chiamano flessibili coloro che invece spesso si spezzano: e in realtà sono totalmente ed etimologicamente precari, cioè costretti alla preghiera, alla supplica.

    I ladri di parole chiamano segnalazioni o – peggio – sensibilizzazioni quelle che invece sono e restano le classiche raccomandazioni.

    I ladri di parole, se fanno i top manager o i mega imprenditori, chiamanocriticità i buchi di bilancio che hanno creato; nel caso, implorano il sostegno dello Stato, dimenticandosi all’improvviso i lacci e lacciuoli di cui sopra.

    I ladri di parole a volte non si rendono neppure conto di essere un po’ ridicoli: come quando chiamano azioni quelle fonti di guadagno che invece non implicano nessun agire; o società un’azienda in cui comandano da soli; ofinanza una prassi che al contrario vorrebbero infinita, nelle quantità così come nel tempo; ma è buffo anche il destino di economia, che conterrebbe in sé il concetto di regole, nomia, invece è stato ribaltato affinché queste, in economia, siano sempre meno.

    I ladri di parole però a volte le regole le invocano, come ad esempio quando si occupano di Internet: in questo caso, chiamano pirati i ragazzi che scaricano un film, ma mai le corporation che hanno sottratto una storia o un personaggio alle fiabe popolari per imprigionarli nel proprio copyright.

    I ladri di parole tuttavia non abitano solo in detta economia, ma (assai densamente) anche in politica: altra parola rubata, dato che contiene in sé l’attenzione al destino della polis e non di chi la comanda e, spesso, la distrugge; a questo proposito è stato interessante, di recente, l’uso spericolato dei binomi antipolitica vs. politica e giustizialismo vs. garantismo; anche se le truffe più acclarate sono responsabile per chi pensa solo a se stesso epacificazione per la propria occupazione a vita dell’establishment: e pazienza se gli esclusi invece non si danno pace.

    I ladri di parole, da sempre, chiamano ingenui gli idealisti e uomini di mondo i mascalzoni.

    I ladri di parole della politica, tuttavia, puntano a obiettivi anche maggiori, ad esempio rubando parole importanti e storiche come sinistra, destra, cristiano,liberale o progressista per scopi che nulla hanno a che vedere con i valori di queste parole e che riguardano invece solo i destini personali o di cricca di chi le pronuncia.

    I ladri di parole sono senza vergogna: e se Altiero Spinelli sentisse oggi quelli che si autodefiniscono europeisti, probabilmente emigrerebbe in Oceania.

    I ladri di parole sono servili: e qualsiasi cosa dica il Presidente della Repubblica, comunque lo chiamano monito.

    I ladri di parole coniano anche formule nuove, purché a loro convengano: daarco costituzionale, tanto tempo fa, a decreto salvaitalia, pochi anni orsono; giù giù fino a esecutivo di servizio, governo del fare e larghe intese; anche se la più bella, la più spettacolare, la più grottesca resta senz’altro missioni di pace.

    I ladri di parole chiamano estremismo il buon senso e riformismo la perpetuazione dello status quo, in un ribaltamento a cui ormai hanno finito per credere in molti, perché appunto chi ci ruba le parole ci ruba il pensiero.

    I ladri di parole – lo abbiamo visto da poco – sanno confondere volutamentediritti e privilegi: per garantire che i primi – quelli erga omnes – siano pochi; e i secondi – quelli erga paucos – siano conservati.

    I ladri di parole chiamano emergenze i disastri cronici, di cui si accorgono e parlano solo quando dette false emergenze sono utili per drenare consenso o ottenere altri vantaggi; più in generale, far passare per emergenza un problema cronico serve ad assolvere chi cronicamente comanda: mica è colpa nostra, è un’emergenza, quindi accidentale e imprevedibile.

    I ladri di parole chiamano nostri ragazzi se non eroi chi ha sventuratamente e per sbaglio sparato a due innocenti pescatori in India, ammazzandoli; il che per logica trasformerebbe in nostri ragazzi ed eroi tutti gli automobilisti che sventuratamente e per sbaglio hanno investito e ucciso un paio di innocenti pedoni in città.

    I ladri di parole oggi non hanno più paura che il popolo possieda «1.500 parole e invece di 150», come ai tempi di don Milani: perché hanno capito che anche chi possiede un po’ di parole può essere persuaso, giorno dopo giorno, a credere al significato che i ladri di parole stessi a quelle parole hanno dato; basta possedere un volume più alto per emetterle e distorcerle.

    I ladri di parole oggi irridono il mascherato Guy Fawkes, illuso che «le parole non perderanno mai il loro potere»: perché sanno che ormai è il potere a fare le parole e non il contrario.

    Rovesciare i loro rovesciamenti, ogni giorno, è quindi l’unica chance che abbiamo per rovesciarne il potere: parola per parola.

    Dal Blog Eddyburg.it

    Riferiment

    Nell’archivio della vecchia edizione di eddyburg trovate molti dossier sulle parole, sia nella cartella Le parole, che nelle cartellaTesti per un glossario,  Parole mie  e Glossario,  sia rovistando  in quelle della Scuola di eddyburg.
    • LA PAROLA CHE MI PORTA

      Nato a Mosca, Georges Schwartz (1905-1987) trascorre la sua esistenza in Francia, a Vitry. Medico omeopata dei poveri, presta le sue cure soprattutto ai barboni, agli immigrati, ai marginali, a coloro che non hanno accesso ai servizi sanitari statali. Fuori dall’ambulatorio si dedica alla poesia, di cui si considera un umile servitore, tanto da scegliersi lo pseudonimo letterario di Paul Valet. Per lui la poesia non è un innocuo passatempo, ma uno strumento di bellezza e di lotta per la libertà, come testimoniano gli stessi titoli delle sue raccolte (Senza museruola, Parole d’assalto, Astri di non-sottomissione).
      Durante la guerra partecipa alla Resistenza e alla Liberazione rifiuta sia di suonare i pifferi della propaganda (ben sapendo che «una stretta fraterna senza patria né partito è più forte di tutte le dottrine dei dottori» e che «non si libera l’uomo dai suoi maledetti Stati condannandolo a vita da un modello di Stato») che di trasferirsi a Parigi e fare carriera nel bel mondo delle lettere. Negli anni successivi «l’eremita di Vitry» alzerà la voce contro le raffinerie di petrolio che inquinano la Senna, Parigi, ed i suoi abitanti, meritandosi così l’odio feroce di industrie e sindacati, uniti nella difesa del posto di lavoro. Viene minacciato dai loro dirigenti, bastonato in mezzo alla strada dai loro scagnozzi, denunciato per ingiurie e calunnia dai loro avvocati. A lungo resisterà, solo contro tutti, fino a crollare e a conoscere l’orrore degli ospedali psichiatrici.

      La parola che mi porta
      È l’intatta parola

      Essa ignora la gloria
      Della decrepitezza

      La parola che mi porta
      È la ruvida parola

      Essa ignora il fasto
      Della serenità

      La parola che mi porta
      È l’oscura parola

      Nelle sue acque profonde
      Annega la mia luce

      La parola che mi porta
      È la dura parola

      Essa esige da me
      L’intera insubordinazione

      La parola che mi porta
      È un’onda di fondo

      È un’alta parola
      Senza frontiere e senza nome

      La parola che mi porta
      Mi solleva con rabbia

      [da La parole qui me porte, 1965]

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