• Sostiene Pereira che la misteriosa forma del tempo …

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    di Giulia De Baudi

    Come ricordare Antonio Tabucchi … mi sono chiesta questa mattina quando ho saputo che il genitore di Sostiene Pereira era morto nella capitale lusitana, la sua amata Lisboa.

    La risposta è arrivata, lentamente. Anche se sapevo che lui amava definirsi , «un professore universitario» dicendo che per lui la scrittura non era una professione, «ma qualcosa che coinvolge i desideri, i sogni e la fantasia», io volevo rivederlo e raccontarlo proprio attraverso le sue parole che hanno creato personaggi e suggestioni, attraverso i suoni fonetici decifrati nei libri che hanno evocato idee ed immagini. che hanno confermato la mia ‘sostanza umana’.

    Come scriveva il poeta caraibico Édouard Glissan gli esseri umani cercano sempre un pensiero che confermi il proprio pensiero. E parlo di pensiero non di credenza. E così, quando lessi in Sostiene Pereira la storia della “congregazione delle anime”, pensai che anche Tabucchi sapeva che il pensiero dell’essere umano è in continuo divenire. Lui il grande scrittore pensava, come me, che gli esseri umani non hanno un pensiero monolitico, che esiste una trasformazione e una realizzazione continua del primo pensiero della  nascita. Pensai anche che forse si scrivono e si leggono romanzi e poesie per cercare pensieri/immagini simili alle nostre che ci facciano sentire meno soli, che ci facciano trovare negli altri un bene posseduto che a volte sembra dissolversi. Un bene amato, cercato, ricreato … sempre.

    Antonio Tabucchi  ha sempre usato le parole della sua mente per cercare sotto «l’epidermide del reale». Le sue narrazioni fermavano sulla pagina bianca la realizzazione del suo pensiero, ciò che pensava in quel momento, ciò che chiedeva e si chiedeva in quel dato istante storico. Ha sempre cercato, accompagnato da una intima saudade per una indefinita mancanza, il senso del tempo umano che “percepiva” come forma misteriosa, come scrisse nell’ultimo suo lavoro, pubblicato da Sellerio, Racconti con figure.

    In questo paragrafo egli cerca faustianamente il senso dell’esistenza e per un attimo sembra afferrarlo:

    «L’unica cosa che non esiste è l’oblio. E tutto il resto esiste, tutto il resto è rappresentabile. La vita fugge, tu l’attraversi e fugge. La morte fugge, ti afferra e fugge. Le città fuggono, tu le attraversi e fuggono. E anche tu fuggi, non puoi raccontarti, perché fuggi. E invece la mano corre sulla carta, guida il pennino o il pennello, la vita è fuggita, ma vi resta la sua immagine. La musica è suonata, le note sono svanite nell’aria. Ma resta lo spartito. È qui davanti a voi.(…) Suonatelo. Ognuno con i suoi strumenti. (…) Eseguitelo con la vostra musica, tornando a casa, anche se siete stonati, fatelo, per gli intimi doni che non elenco, per la musica, misteriosa forma del tempo. Il giorno entra nella notte. Non se n’è andato.»

    Bellissime ed enigmatiche frasi che sembrano scritte in quella rêverie che egli tanto amava e con la quale avvolgeva alcuni dei suoi personaggi come ad esempio Pereira sempre in bilico tra la certezza della veglia e l’incertezza sulla realtà umana. D’altronde proprio in questo libro egli parla dello stato di rêverie: «Tanto vale perdersi in quello (il sogno N.d.R.) in cui ci troviamo, come a volte vorremmo indugiare in certi sogni e rimandare il risveglio. Ha detto Virginia Wolf  che la vita è un sogno, è il risveglio che uccide».

    Marcello Mastroianni nel ruolo di Pereira

    Ecco mi piace separarmene così, immaginandolo immerso nei sogni, che faceva divenire parole, e nelle sue immagini – attraversate dal magnifico suono della lingua portoghese da lui tanto amata – che Tabucchi trasformava in realtà letterarie per farci sognare ribellioni  possibili … come quella di Pereira.

    26 marzo 2012

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