• Memorie di un viaggio (10) Santa Catalina … uno strano convento

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    Adriano Meis

     

     

    Mi sto ‘godendo’ gli ultimi giorni di vacanza. Domani inizia il viaggio di ritorno. Dovevo fermarmi solo una ventina di giorni, e invece, come ho accennato nel mio diario di viaggio, sono accadute alcune cose che hanno mutato la mia permanenza. Ed eccomi qui, in questa città del Perù, che da sempre ha sfidato vulcani e terremoti, a girare per le stradine ancora invase da turisti, “solo, como un perro solo, voy contra el olvido rastreando mis huesos”. Grande Gardel.

     

    Non so per quale strano pensiero, nascosto nei meandri del mio Io – o forse sarà stato per questo strano nome che mi porto addosso – avevo deciso di non tornare. Avevo accarezzato l’idea di ritornare dentro il canyon de Colca e lì rimanere per un tempo indefinito … forse per fermare il tempo … il mio tempo.

     

    Strane idee vero? Strane idee. È che non mi ci vedevo più chiuso in un ufficio a scrivere o a leggere i testi per il giornale… non mi ci vedo neppure ora; dovrò trovare una soluzione … forse potrei vendere la casa di Roma e comprarmene una in un paesino sperduto. Tanto ormai il lavoro di redazione lo si può fare a chilometri di distanza … anche le riunioni … si possono fare con Skipe, per esempio. Vedremo.

     

    Perché ho cambiato idea e sto preparando il mio ritorno?… non lo so: sarà stata l’intrigante lettera di M.me Sidonie, sarà stata Carmen, che mi ha fatto sangue, per poi, naturalmente, ritornarsene in Spagna il giorno dopo … e se no che Carmen sarebbe stata?

    Forse sarà stata la sparizione di Lei che si è dissolta nell’aria prima che lo facessi io … mi ha fregato sui tempi  … n’altra Carmen.

     

     

     

    Sta di fatto che fra quattro giorni un aereo mi porterà da Lima a Roma … punto.

     

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    AQP-Convento-Sta-Catalina

    Quest’ultimo giorno ad Arequipa l’ho dedicato alla visita del Monasterio de Santa Catalina (Santa Caterina da Siena). Il monastero, con la sua superficie di 20.462 metri quadrati, è praticamente una città nella città.

     

     

    Questo immenso convento, costruito e ricostruito a causa dei continui terremoti che si sono succeduti negli ultimi trecentocinquant’anni, è largamente decorato nello stile mudéjar, un’espressione artistica elaborata in terra iberica nel periodo immediatamente successivo alla fine del dominio musulmano di al-Andalus (1492) che costituisce la prosecuzione dello stile cosiddetto mozarabo.
    Ora El Monasterio de Santa Catalina, ancora abitato da una trentina di Monache, è divenuto meta del solito turismo becero e fotografante che poco capisce e vuole capire della storia di questo luogo che invece è molto interessante.

     

     

     

    Fu fondato nel 1579, con un accordo tra i rappresentanti secolari di Arequipa e il Vescovado di Cuzco, grazie alla donazione di doña María de Guzmán, vedova di don Diego Hernández de Mendoza. La donatrice divenne poi la prima priora del convento.

    Per almeno due secoli – dato che le native com’è noto l’anima non ce l’avevano – come comprova il documento della fondazione, potevano entrare nel monastero solo monache spagnole. Le indigene che entravano nel monastero erano serve delle ricche monache iberiche.

    Nel ‘600 e nel ‘700, e per parte del ‘800, le grandi famiglie spagnole usavano inviare le figlie che ‘avanzavano’ in questo convento. Ciò per evitare il frazionamento dell’asse ereditario, che era di fatto destinato al figlio maschio maggiore. Alle figlie che non erano ritenute utili  neanche per una alleanza matrimoniale con altre famiglie economicamente e politicamente potenti, preservavano l’indubbio onore della morte civile.

     

    Le diseredate venivano spedite dalla Spagna nel convento di Arequipa  che per accoglierle cristianamente voleva una dote mil pesos de plata ensayada y marcada y cien pesos corrientes para alimentos”. Una piccola fortuna ma pressoché niente se paragonata ad una dote per farle sposare con un nobile spagnolo.

    Data la loro dote e per loro classe sociale elevata, le suore godevano di alloggi e comforts adeguati al loro rango: casette singole al posto delle celle, servitù al seguito, mobilia e corredo di pregio e perfino la possibilità di organizzare svaghi mondani.

     

     

    Queste nobili suore, che naturalmente non avevano mai avuto nessun delirio uditivo, ciò quella cosa che i non pensanti chiamano ‘vocazione’, facevano vita tutt’altro che austera: avevano la loro servitù, il loro appartamento privato,  e spesso davano concerti e feste come in qualsiasi altra residenza civile.

     

    Questo stile di vita andò avanti per tre secoli, finché, nel 1872, l’ultimo papa re ovvero quel rompicoglioni di Giovanni Maria Battista Pellegrino Isidoro Mastai Ferretti, in arte papa Pio IX, mandò al convento una religiosa amica sua – che, come da ritratto, assomigliava molto ad una zombie – che cambiò radicalmente le regole del gioco ponendo per sempre fine a lussi e festini.

    D’altronde i piemontesi lo avevano obbligato ad aprire i cancelli che avevano suggellato per secoli nel ghetto gli ebrei … si doveva rifare in qualche modo impedendo alle suore di vivere umanamente. Un vero stronzo.

     

     

    Dicevamo …il complesso edilizio del convento è ben conservato, e accuratamente restaurato: bellissimi i colori e certi dettagli … forse un po’  troppo kich. Il monastero è un vastissimo agglomerato di piccoli edifici, solcato da viuzze che ricordano molto quelle delle cittadine andaluse, con le singole case dipinte di colori brillanti: ‘bianco miracolo’, ‘blu manto di Madonna’’ ‘rosso sangue di Cristo’ ecc.; le celle, opportunamente ripristinate con mobili d’epoca, si possono visitare, così i refettori, la quadreria, la chiesa, le grandi cucine e i deliziosi giardinetti coltivati dalle suore sopravvissute alla noia.

     

    Delle vere chicche, che ben raccontano l’atmosfera che per tre secoli aleggiò in questa ‘isola’ libera da costrizioni, sono gli affreschi del chiostro dedicato a Sant’Ignazio di Loyola. Questi dipinti sono praticamente delle strips a fumetti che descrivono la vita di suora che si incapriccia di un biondo e bellissimo “Divino Amore”: lo storyboard  include baci languidi e sofferte separazioni, dolci litigi e folli rappacificazioni, abbracci e frustate, pianti per la lontananza dell’amato che invocano il suo ritorno. Il tutto illustrato e scritto in questi fumetti  ante litteram. Insomma una rivisitazione della fabula milesia di Eros e Psyké con tanto di tormentose prove d’amore …  il povero Ignazio si sarà rivoltato per secoli nella tomba!

     

     

    Poi naturalmente ci sono dipinti più ‘classici’ come quelli che rappresentano la folie a deux di Gesù con la Maria vergine – “dai mà, famo che io sò un dio e che tu sei mi madre e che m’hai partorito vergine in quanto sei stata messa in cinta da mi padre che certe cose le sa far da dio”

     

     

     

    … oppure altri che rappresentano i sacramenti cattolici: battesimo, matrimonio, estrema unzione – grattata –  insomma quei riti che con un eufemismo potremmo definire ‘strani’ e senza eufemismo stati deliranti che hanno la pretesa di rendere esistenti gli eventi reali sacralizzandoli.

     

    Nel battesimo, che riecheggia l’antichissimo rito dell’oikos greco, il bambino viene reso esistente apponendogli il nome … prima non c’era, ora, oplà c’è; oppure: prima non era, ora, oplà è … se questo non è un delirio paranoico io sono il condottiero gallo Vencingetoride!!

     

    Continua …

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