• Le leggi dell’essere: l’etica preverbale dell’umano e la legge vergata sulle tavole dal “non umano”

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    di Gian Carlo Zanon

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    Cos’è la legge naturale intesa come etica preverbale? Come viene descritta dalla letteratura? Come viene vissuta e avvertita dall’essere umano? Come viene snaturata dalla teo-filosofia che legittima sempre le leggi imposte dal potere costituito?

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    «Poi accade quanto detto: il giungere della luce sulla retina provoca la realizzazione di una realtà non materiale denominata pulsione. Una realtà non materiale che è la base del pensiero umano. Il rapporto dell’essere umano con la natura è totalmente diverso da quello degli animali. La realtà passiva del movimento degli animali è totalmente altra rispetto alla attività dell’uomo che ha un rapporto dialettico e non passivo con la natura non umana. Diventerà non soltanto scelta ma realizzerà le parole conoscenza e rifiuto» Massimo Fagioli – Left n.2/2017 – 14 gennaio 2017

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    Questa ricerca parte da una “ossessione” intesa come volontà di creare nessi tra una serie di sollecitazioni sul diritto naturale già presenti nella cultura e di fissarli nel pensiero verbale: esistono verità universali che riguardano specificatamente tutto il genere umano? E queste verità possono essere proposte come una serie di norme sociali ineludibili e condivisibili da tutto il genere umano? Si se partiamo da questo assunto che mette al centro del senso dell’esistenza il rapporto interumano con l’altro da sé: «(…) … la verità umana è il rapporto tra esseri umani diversi…»   (*)

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    Quindi alla parola “verità”, intesa come un assoluto, va affiancata la parola “realtà”. Realtà vera, intesa come “rapporto dialettico con”, nel senso allo stesso tempo più ampio e più specifico possibile. Realtà filtrata attraverso “conoscenza e rifiuto” che ovviamente presuppone una scelta. Una scelta che in primissimo luogo deve tener conto della realtà umana che ci circonda. «una posizione personale di realizzazione umana completa nel senso di vivere una disponibilità per gli altri senza secondi fini di vantaggi materiali o di vantaggi psicologici».(1)



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    Una scelta che quindi non può essere condizionata, se non in senso lato, né dalla logica utilitaristica, né dalla “concreta pragmaticità” della ragione, né dalle bandiere della realpolitik, né dalla fantomatica “dittatura del proletariato”, né tanto meno da ideologie o religioni anche se queste sono socialmente e politicamente maggioritarie.

    L’essere per sua natura è un essere unico e originale che in ogni istante della sua vita, a volte anche inconsapevolmente, sceglie. La neutralità, come afferma lo psichiatra Massimo Fagioli, non è una caratteristica umana. L’assunzione – in questa ricerca – della “Teoria della nascita”  di Massimo Fagioli porta a nuove ed inedite considerazioni etiche su cui  vorrei incardinare questa specifica ricerca su etica e diritto naturale. (2)

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    Si parte da queste premesse calde e possenti ma, ovviamente, questa ricerca deve considerarsi semplicemente come una specie di “appunti di un diario personale” sul quale vengono trascritti pensieri in divenire intorno alle parole “natura umana”, “rifiuto”, “scelta”,. “etica”, “giustizia”, “legge”, Queste parole dovranno essere sempre accompagnate o con aggettivi “interna”, “interno”, “interiore”, “intima”, ecc. che marcano sentimenti privati, oppure, in negativo, con altre qualità  che definiscono le dinamiche dell’alienazione religiosa che crea la scissione tra corpo/sentire/sentimento e il pensiero onnipotente ed astratto che, annullando il “sentire organico”, si disumanizza alleandosi con quel logos occidentale in cui la parola ha la supremazia sulla realtà.

    La cultura occidentale, in cui religione e ragione sono incatenati l’una all’altra da un scellerato patto che trascende persino la realtà oggettiva, ha sostituito l’antico e saggio adagio “nomina sunt conseguentia rerum”, con il giovanneo «In principio era il Verbo,/il Verbo era presso Dio/e il Verbo era Dio./Egli era in principio presso Dio:/tutto è stato fatto per mezzo di lui,/e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.», che riverbera l’impianto metafisico di Platone, dando così il primato a quella parola/logos/verbo divino in grado di creare ex nihilo ogni realtà esistente.

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    Anche se questa premessa può sembrare una dotta introduzione ai “massimi sistemi”, in realtà si vorrebbe solo inserire il termine “rifiuto” in una ricerca sul diritto naturale e sui motivi storici e ideologici del suo “snaturamento” in legge “innaturale”.

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    Qui per naturale si intende ciò che è proprio dell’essere umano. Naturale come la sua nascita “particolare” e specifica descritta nella Teoria della nascita di Massimo Fagioli. Nascita, allattamento, svezzamento specifici della realtà umana che presuppongono specifiche dinamiche interumane e che quindi nulla hanno a che vedere – come vorrebbe l’esistenzialismo di marca heideggeriana – con il parto e con il maternage degli animali più affini al genere homo sapiens.

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    Eliminata questa “insipida” e insignificante questione culturale, molto semplicemente si potrebbe dire che il rifiuto etico di una norma che si ritiene inumana si configura in ciò che solitamente viene definito “disobbedienza civile”. Disobbedienza civile contro leggi come quelle che impongono ai marinai di non portare soccorso ai clandestini naufraghi o che portano nelle sale di tribunale chi ha voluto dare a queste persone in difficoltà – che per la legge Bossi-Fini, sono delinquenti comuni – la possibilità di sopravvivere dignitosamente. Ma anche disobbedienza civile contro norme giuridiche che puniscono chi si ribella ad un’opera che devasta finanze pubbliche, paesaggi, sistema idrogeologico ecc. ecc. mettendo a rischio non solo la salute dei cittadini ma il loro diritto alla bellezza, senza la quale la vita è solo una insensata corsa verso la morte.

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    Più il diritto naturale, che comprende la partecipazione attiva dei cittadini alla ricerca del “bene comune”, viene contraddetta da leggi che non tengono conto del “bene comune”, più insorge la “disobbedienza civile” generata dall’ingiustizia contro l’umano.

    La rottura che si viene a creare tra il potere istituzionale, forte delle sue leggi scritte, e alcuni individui che, incarnando il rifiuto all’ingiustizia, difendono il diritto naturale inteso come un assoluto umano universale da difendere ad ogni costo, è stato da sempre rappresentato in letteratura.

    Credo si possa dire che è propriamente il conflitto tra due forme di pensiero che dà forma e contenuti alla letteratura occidentale: l’Iliade narra del conflitto tra Achille e Agamennone cioè tra il potere del comandante delle schiere achee e che in nome della propria legge  rivendica il diritto di avere accanto a sé la schiava di cui si era invaghito il pelide che a sua volta rivendica il possesso della ragazza. Ognuno di mette in campo la propria legge che, se all’epoca rappresentata dall’epica omerica si basava essenzialmente sulla forza fisica, qui va già ad assumere sfumature politiche più ampie le quali, come spiega Mario Vegetti nel suo saggio L’etica degli antichi,  già prefigurano l’ordine sociale e la realpolitik,m di una società più complessa.

    Ma vi sono conflitti molto più sotterranei che sono il nutrimento basico degli scontri palesi e che si mostrano solo agli occhi di chi è rimasto vedente, cioè affettivo, come la protagonista del romanzo Cecità di José Saramago, la quale, senza pensare per un istante a vantaggi materiali per sé sceglie di realizzare se stessa rendendosi disponibile verso chi ha perduto la capacità di quel vedere/sentire che per dote appartiene solo al genere umano. Per la protagonista del romanzo di Saramago solidarietà/ piethas è legge naturale, un obbligo interiorizzato a cui non ci si può opporre. Lo scrittore portoghese mette in scena ancora una volta un eroina epica che come Prometeo e Antigone realizzano la propria umanità/legge interiore che non può prescindere dalla solidarietà tra e per gli esseri umani.

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    Nei prossimi articoli cercherò di sviscerare questi concetti appena accennati attraverso le opere letterarie che hanno percorso in lungo e in largo tutta la cultura occidentale fino a giungere a noi. È di questi giorni un’affermazione dello psicanalista M. Recalcati che parlando dell’efferato delitto di Ferrara – due adolescenti hanno ucciso a colpi d’ascia i genitori di uno di loro – ha di nuovo parlato di un senso di colpa per il peccato originale che, secondo lui, dovrebbe essere radicato nell’animo dell’essere umano: «riconoscere la propria colpa è il primo indispensabile passo affinché la Legge possa iscriversi nel cuore dell’uomo.»

    Per Recalcati, e per chi si fa alfiere di questo tipo di cultura ancora dominante, la legge, che egli scrive egli con la “L” maiuscola, è la tavola dei dieci comandamenti divini incisi sulla pietra da un fantomatico Yahwhe. Comandamenti che verranno poi codificati dalle leggi patriarcali e legittimati dalla cultura teo-filosofica occidentale.

    È quindi un obbligo etico cercare di porre un argine a questa cultura razionale/religiosa che produce orrori di questo genere e che confonde la legge naturale, che impedisce crimini contro il genere umano, con la legge dei padri che prevede solo punizione/espiazione e che si incardina sulla favoletta del peccato originale compiuto da una donna, – poi condito in tutte le salse culturali – sul delitto primordiale di Caino e sul parricidio edipico.

    L’impresa è difficile … cercherò di fare il possibile …

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    14 gennaio 2017

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    dal 28 gennaio 2017 in poi leggi qui il seguito

    Note

    (*) Massimo FagioliTeoria della nascita e castrazione umana . Premessa alla quinta edizionepag. 307 . Editrice L’Asino d’Oro – Marzo 2012

    (1) Massimo Fagioli, Istinto di morte e conoscenza, L’Asino d’oro edizioni, Roma 2010, pag.248

    (2)«L’accettazione “neutralistica” di quanto può venire fuori dagli esseri umani, nel loro pensiero e nel loro comportamento tradisce, in primo luogo, un proprio rapporto difettoso con la realtà umana e sociale. Lo “studiare” quanto accade all’esterno di noi senza contemporaneamente realizzare un rapporto concreto di rifiuto o di accettazione di ciò che si conosce, rivela una negatività sostanziale del soggetto che osserva che si pone in assenza di un proprio rapporto vivente con l’oggetto di studio. E vivente significa reattivo, “irritabile”.

    E la neutralità riesce a cancellare la storia, la scienza, il progresso umano. Quanto si sa, ovvero che non tutto quello che pensano e fanno gli uomini è umano, non lo è l’omicidio, non lo è la tortura, non lo è l’inerzia animalesca, come non è, il nazismo, dialettica politica, viene osservato e studiato “oggettivamente”. Viene giustificato e reso umano come l’altro umano: la ricerca, la creatività.

    L’irruzione dell’inconscio, il sadomasochismo, il nazismo, realtà proprie dell’uomo, vengono detti fenomeni “diversi”, peculiari, non propriamente comuni e usuali ma, in ogni modo, umani. Vedi il caso Ellen West in cui il suicidio è atto di autentica libertà.

    Il non “giudicare” la realtà presente svela la negazione nascosta nell’osservazione “scientifica” del mondo umano, svela quella necessità di onnipotenza che ogni uomo pensa di dover avere per non morire nel coinvolgimento che lo studio dell’uomo comprende nel suo stesso essere conoscenza. E la difesa onnipotente è assimilazione all’oggetto, è infezione che l’oggetto umano porta sempre nel regno della mente voluto sterile.

    Lo studio che non giudica rivela subito la sua identità di giudizio come negazione, rivela subito la complicità nascosta con quanto non viene rifiutato e combattuto. Rivela l’alleanza del castrato con la causa della castrazione, alleanza che dà alla causa il potere di avere il suo effetto. Alleanza logica in quanto chi non giudica si toglie dal conflitto interno e con l’esterno, come si sono tolti colui e coloro che fanno irrompere le pulsioni inconsce della pazzia umana di volere il nulla.» Massimo Fagioli, Bambino, Donna e trasformazione dell’uomo, pagg. 84-85 – L’Asino d’oro Edizioni.

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