
–
di Gian Carlo Zanon
–
«La mia mente sta fantasticando intorno a Le donne e il romanzo… La mente è il più capriccioso degli insetti: svolazza inquieta, si agita, batte le ali,…» Virginia Woolf – Diario:18 febbraio 1928
–
Nel Gennaio del 1928 venne richiesto, dai college femminili di Girton e Newnham, a Virginia Woolf di tenere due conferenze sul tema “le donne e romanzo”. Nonostante la sua ritrosia – non amava parlare in pubblico – accettò l’incarico. Immediatamente il fluire del suo pensiero prese forma letteraria per divenire… per divenire qualcosa di poco catalogabile letterariamente perché la sua meravigliosa mente non osserva alcun canone: «I miei pensieri – per chiamarli con un nome più altisonante di quanto meritassero – avevano gettato la lenza nella corrente. Essa ondeggiava, minuto dopo minuto, qua e là, tra i riverberi e le alghe, lasciando che l’acqua la sollevasse e l’affondasse finché – conoscete il piccolo strappo, l’improvviso agglutinamento di un’idea alla fine della sua lenza, e poi il cauto tirarla su e l’attento adagiarla fuori dell’acqua? Ahimè, adagiato sull’erba, come appariva piccolo e insignificante questo mio pensiero; il tipo di pesce che il bravo pescatore butta di nuovo nell’acqua perché possa ingrassare e valga la pena un giorno di cuocerlo e mangiarlo.»
Il risultato del fluire del suo pensiero, lasciato libero nel suo fiume sotterraneo, diverrà Una Stanza tutta per sé.
–
Nel suo testo ella affronta vari tematiche, tutte legate tra loro, tra cui la realtà materiale. Realtà necessaria per permettere a una donna, allora ritenuta poco più di un oggetto per la riproduzione della specie, di scrivere un romanzo: «una donna, se vuole scrivere romanzi, deve avere soldi e una stanza per sé, una stanza propria; il che, come vedete, lascia insoluto il grosso problema della vera natura della donna e della vera natura del romanzo».
E ancora: «È ora in vostro potere, ne sono convinta, offrirle questa opportunità. Perché io credo che se viviamo altri cento anni o giù di lì (…) e abbiamo ognuna cinquecento sterline l’anno e una stanza propria; se abbiamo l’abitudine alla libertà e il coraggio di scrivere esattamente quello che pensiamo; se usciamo un po’ dalla stanza di soggiorno comune e vediamo gli esseri umani non sempre in relazione l’uno con l’altro, ma in relazione con la realtà;»
Poi parla chiaramente della situazione culturale e politica che costringe ancora la donna in uno stato di sudditanza e inferiorità nei confronti dell’uomo, indica anche i colpevoli tra cui Mussolini che nel ’28 veniva osannato da una buona parte dei politici inglesi, e descrive le dinamiche psichiche di questa dinamica culturale: «Alcuni saggi sostengono che le donne posseggono un cervello più superficiale; altri che hanno una coscienza più profonda. Goethe le stimava, Mussolini le disprezza. (…) «Per secoli le donne sono state gli specchi magici e deliziosi in cui si rifletteva la figura dell’uomo, raddoppiata. (…) Qualunque sia il loro uso nelle società civilizzate, questi specchi sono indispensabili a ogni azione violenta ed eroica. Perciò Napoleone e Mussolini insistono così enfaticamente sull’inferiorità delle donne, perché se queste non fossero inferiori, non servirebbero più a raddoppiare gli uomini. Questo spiega in parte il bisogno delle donne che spesso sentono gli uomini. E spiega anche perché essi non tollerano la critica della donna; questa non può dire che il libro è brutto, il dipinto debole eccetera, senza suscitare assai più dolore e assai più rabbia di quanta ne potrebbe suscitare un altro uomo con la stessa critica. Giacché se la donna comincia a dire la verità, la figura nello specchio rimpicciolisce; l’uomo diventa meno adatto alla vita. Come potrebbe continuare a giudicare, a civilizzare gli indigeni, a legiferare, a scrivere libri, a indossare il tight e a pronunciare discorsi nei banchetti, se non fosse più in grado di vedersi riflesso, a colazione e a pranzo, almeno due volte più grande di quanto veramente sia?»
–
Inoltre giunge a raffigurare questi individui bramosi di sangue e di potere con un pensiero ancor oggi attualissimo: «Certo essi avevano denaro e potere, ma solo a costo di tenere rinchiuso nel petto un avvoltoio che li lacera incessantemente il fegato e gli strappa i polmoni – l’istinto di possesso, la rabbia accumulare che li porta a desiderare senza sosta i possedimenti e i beni degli altri; che li porta a creare frontiere e bandiere; navi da guerra e gas velenosi; a offrire le loro stesse vite e le vite dei loro figli.»
Ci parla anche della «(…) esclusione delle donne dalla Storia, – scrive nell’introduzione Maria A. Saracino, (edizioneEinaudi, 1995) – la secolare condanna al silenzio inflitta loro dalla cultura patriarcale. (…) Virginia Woolf dimostra come sia dovere delle donne imparare a leggere la storia attraverso i suoi vuoti, oltre che attraverso i suoi pieni; e dimostra loro come quei vuoti siano da sempre, in verità, straordinariamente affollati. (…) per le donne non c’è che un rimedio: riscrivere quella stessa Storia dal loro punto di vista, colmare del “proprio” racconto quegli spazi arbitrariamente per secoli riempiti da altri».
–
Virginia Woolf non ha alcun dubbio sul valore dell’identità femminile sempre annichilita dalla Storia scritta dai patriarchi, e la riscrive in modo crudo ma estremamente reale: «le donne hanno illuminato come fiaccole le opere di tutti i poeti dagli inizi dei tempi: Clitennestra, Antigone, Cleopatra, Lady Macbeth, Fedra, Cressida, Rosalinda, Desdemona, la Duchessa di Amalfi, fra i drammaturghi; e poi fra i romanzieri: Millamant, Clarissa, Becky Sharp, Anna Karenina, Emma Bovary, Madame de Guermantes… I loro nomi si affollano nella memoria, e non sono affatto i nomi di donne che mancassero “di personalità” e “di carattere”. Infatti, se la donna non avesse altra esistenza che quella assegnatale nella letteratura maschile, la si potrebbe supporre una persona di estrema importanza; molto varia; eroica e meschina, splendida e sordida; infinitamente bella ed estremamente odiosa; grande come l’uomo, e certuni dicono assai più grande. Ma questa è la donna della letteratura d’immaginazione. Nella realtà, come osserva il professor Trevelyan, veniva rinchiusa, picchiata e maltrattata nella sua stanza. Da tutto ciò emerge un essere molto strano e composito. Immaginativamente, la sua importanza è estrema: praticamente, la sua insignificanza è totale. Ella pervade la poesia, da una copertina all’altra; invece dalla storia è quasi assente. Ella domina la vita dei re e dei conquistatori nella letteratura d’immaginazione; nella realtà era la schiava di qualunque ragazzo i cui genitori le avessero messo per forza un anello al dito. Dalle sue labbra escono alcune fra le più ispirate parole, alcuni dei più profondi pensieri della letteratura: nella vita reale non sapeva quasi leggere, scriveva molto faticosamente, e si annoverava fra i beni materiali del marito. Certo è uno strano mostro quello che scopriamo, leggendo prima gli storici e poi i poeti: un verme con le ali di un’aquila; lo spirito della vita e della bellezza, rinchiuso in cucina a tagliare il lardo.»
–
Di questo ne scrissi già ormai vent’anni fa sulla post fazione di una tesi di laurea di un amico:
«Per centinaia di anni gli artisti della parola, perduta l’immagine ideale di donna, hanno alienato il proprio fallimento, la loro impotenza, la loro impossibilità di conoscenza dell’altro da sé, in personaggi femminili che comunque vada, tranne pochissime eccezioni, pensiamo a Lady Chatterly come una delle poche eroine salvate dalla furia misogina, perdono le loro caratteristiche femminili come Lady Macbeth, vengono strangolate come Desdemona, muoiono per un malinteso come Giulietta, si ammalano nella mente come Ofelia, muoiono di stenti come Manon Lescault o di malattia come Madame Bovary, vengono uccise da un Don José come Carmen o da Jack lo squartatore come la Lulù di Wedekind, si suicidano come Anna Karenina… e la loro colpa è sempre quella di aver scelto la passione e non la ragione»
Pensiamo anche alle eroine della tragedia greca in cui da una parte splendono e dall’altra fanno tutte una brutta fine. A guardar bene Clitemnestra, Cassandra, Antigone, Fedra, Medea, non sono altro che l’emanazione della misoginia dei tragediografi greci, in particolare quella di Euripide.
.
Ma il meraviglioso fluire del pensiero di Virginia si accende ancor più quando lo lascia libero di vagare nei labirinti della creazione letteraria e dell’immaginazione: «La letteratura d’immaginazione deve essere fedele ai fatti, e quanto più veri sono questi fatti, tanto ne esce avvantaggiata la letteratura; così dicono almeno. (…) L’immaginazione è in gran parte figlia della carne. Non si può essere Giles di Durham se il proprio corpo non è mai stato chino su una tinozza del bucato»V. Woolf: Lettera a Margaret Llewelyn Davies
E ancora «perché la narrativa, che è opera d’immaginazione, non viene fuori all’improvviso come un sassolino che casca per terra, come succede a volte con la scienza; la narrativa è come la tela di un ragno, che se ne sta attaccata in maniera forse lievissima, ma comunque legata alla vita, con tutti i quattro angoli. (…)»
Ecco ancora il richiamo, nel romanzo, alla fusione con la realtà materiale e immateriale: «è possibile che la narrazione contenga più verità dei fatti» e l’azione benefica della narrazione sulla realtà umana inconscia: «la lettura di quei testi sembra eseguire una curiosa operazione generativa sui nostri sensi; a lettura ultimata vediamo più intensamente; il mondo ci sembra finalmente svelato e animato da una vita più intensa.»
–
Virginia Woolf sa che per creare è necessario il rapporto umano: «Perché c’è sempre un punto dentro la testa, della grandezza di uno scellino, che non si riesce mai a vedere da soli.» e cerca sempre «l’olio essenziale della verità» che deve emergere tra le pieghe dal romanzo.
«Si dice che la natura umana prenda la sua forma definitiva nel periodo che va da uno a cinque anni» ella scrive in Una stanza tutta per sé, continuando a farsi domande sulle origini del pensiero e su il suo farsi, sul suo fluire. Pensiero che nasce spontaneamente alla nascita di tutti gli esseri umani e che si sviluppa nel rapporto con gli altri esseri umani.
E infine Virginia ci invita a immaginare spazi vuoti sugli scaffali delle biblioteche… è necessario, diceva, immaginare la Storia e i racconti non scritti dalle donne come «spazi vuoti sugli scaffali».
–
Questo scriveva la meravigliosa Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé, e mi fa pensare che una narrazione letteraria è universale, quando il lettore sente il sangue dei protagonisti scorrere e pulsare nelle proprie vene… quando l’essenza dei personaggi, il loro essere più profondo, trova quell’eco nella sua mente che lo fa sentire meno solo… tutto il resto è mero intrattenimento.
–
9 agosto 2025