• Giovanni Palatucci: martire per la Chiesa cattolica, eroe per lo zio vescovo, losco collaborazionista dei nazisti per il Centro Primo Levi di New York

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    di Giulia De Baudi

    E si, proprio così, Giovanni Palatucci, il martire per il quale si è aperto nel marzo del 2000 un processo di canonizzazione, colui che è stato giudicato, nel 1990  dall’israelita Yad Vashem un Giusto tra le Nazioni, l’uomo integerrimo onorato dalla Medaglia d’oro al valore civile dallo Stato italiano e da un francobollo, l’eroe a cui sono state dedicate vie, parchi, piazze … in realtà, secondo le notizie che giungono d’oltreoceano,  era un leale e zelante collaborazionista dei nazisti. Nel 2007 Rai Fiction realizzò – probabilmente per concorrere alla gloria del film Schindler’s List – persino un tv movie per la Sacha Film Company sul questo uomo ora caduto nella polvere dallo scranno in cui lo aveva piazzato lo zio Vescovo Giuseppe Maria Palatucci, quando nel 1952, pare, pare, utilizzò i presunti aiuti agli ebrei del nipote per persuadere il governo De Gasperi a garantire una pensione ai genitori.

    Zio vescovo insignito come il nipote dallo Stato italiano con la stessa Medaglia d’oro al merito civile. Dalla motivazione all’onorificenza si legge che anch’egli salvò circa mille ebrei dalla deportazione nei campi di sterminio nazisti.

    La notizia sta girando in Italia da pochissime ore, (io l’ho letta ieri sera su Le Monde) e il presidente dell’ “Associazione Giovanni Palatucci onlus” dedicato al “poliziotto che salvò migliaia di ebrei”  oggi alle 13:03 aveva già rilasciato un comunicato stampa per rassicurare coloro che avevano sempre creduto che il Palatucci fosse un eroe.

    Comunicato del Presidente

     |  la Segreteria

     

    Carissimi amici,

    come avete potuto verificare voi stessi già da diverso tempo alcuni organi di stampa e non solo stanno tentando di rivisitare la memoria storica di Giovanni Palatucci . Sia ieri che oggi infatti, tanti giornali nazionali e non, riportano articoli in cui viene annullata l’opera di Giovanni Palatucci.

    Tutto ciò crea un profondo dolore e rammarico in tutti coloro che in questi anni si sono messi sulle orme di Giovanni alla ricerca della Verità.

    A quanto pare il presidente dell’associazione dedicata all’“eroe”, che qui vediamo molto tranquillo e sorridente, , non ha letto quanto ha scritto il 7 giugno Natalia Indrimi, direttore del Centro Primo Levi di New York, al Museo dell’olocausto di Washinton nel quale era in corso un’esposizione, immediatamente ritirata. Il museo, scrive Le monde, ha chiuso anche il sito dedicato al fantomatico martire.

    Francobollo_con_Giovanni_PalatucciCome dicevo M.me Natalia Indrimi  ha scritto una lettera al Museo rivelando i risultati emersi dalle ricerche di una dozzina di studiosi che hanno analizzato più di 700 documenti. In soldoni la lettera diceva che non c’è alcuna prova negli archivi tedeschi e italiani che Palatucci abbia aiutato gli ebrei. Immediatamente il memoriale a lui dedicato nella capitale americana ha rimosso dalla sua esposizione qualsiasi riferimento al quasi santo Palatucci.

    Ma leggiamo alcuni passi di M.me Indrimi: «Giovanni Palatucci non è mai stato capo della polizia di Fiume. Nel 1943 non c’erano 5000 ebrei a Fiume, nella regione ce n’erano circa 500 dei quali l’80% finì ad  Auschwitz».

    Giovanni Palatucci, scrive la direttrice “Era un esecutore entusiasta delle leggi razziali, e dopo aver prestato giuramento alla Repubblica sociale di Mussolini (Salò N.d.R.) collaborò con i nazisti (…)è stato uno degli uomini impiegati nel governo del lavoro all’interno della macchina della persecuzione, e lo ha eseguito come se si trattasse di un lavoro qualunque.» Sembra di udire Hannah Arendt parlare di Adolf Eichmann.

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    Giovanni Palatucci

    Nella sua missiva al Museo dell’olocausto M.me Indrimi, che ha coordinato le ricerche sull’italiano, sottolinea che «Palatucci non ha inviato centinaia di ebrei a Campagna, per essere protetti da suo zio. (il vescovo Giuseppe Maria Palatucci N.d.R.) “Solamente 40 ebrei furono internati nel campo di concentramento di Campagna, e non certo per ordine di Palatucci – ha sottolineato ladirettrice – La lettera denuncia anche l’idea secondo la quale  la polizia avrebbe distrutto tutti i documenti degli ebrei di Fiume per evitare che essi fossero inviati nei campi di concentramento.

    Questa lettera di fatto smentisce la “leggenda aurea” che si è creata attorno a Giovanni Palatucci perché secondo essa (lo potete ancora leggere su Wikipedia) egli avrebbe inviato ben 5000 ebrei di Fiume al campo di concentramento di Campagna in provincia di Salerno, dove lo zio aveva la propria sede vescovile. L’accordo tra il vescovo, e il nipote, secondo il mito costruito a dovere, era : “io ti mando gli ebrei e tu li salvi”. Ma non esistendo in qual periodo 5000 ebrei a Fiume la cosa è improbabile. La matematica non è il mio forte, ma se nel campo di concentramento di Campagna non furono inviati più di 40 ebrei, come fece il Vescovo Giuseppe Maria Palatucci a salvarne 1000 come recita la motivazione per la Medaglia d’oro? O ha ragione lo Stato italiano oppure la ragione ce l’ha M.me Natalia Indrimi. Mah, misteri della fede!

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    Lo zio vescovo

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    Altra stranezza è questa: la sua stessa deportazione a Dachau nel 1944, scrive sempre la direttrice del Centro Primo Levi, non fu determinata dalle sue gesta per salvare gli ebrei, come racconta la sua agiografia inventata dallo zio, piuttosto dalle accuse tedesche di appropriazione indebita e tradimento, per aver passato ai britannici i piani per l’indipendenza di Fiume nel dopoguerra.

    M.me Indrimi ha precisato che la “leggenda Palatucci” iniziò nel 1952, quando lo zio vescovo Giuseppe Maria Palatucci raccontò questa storia per garantire una pensione ai parenti dell’uomo. «Giovanni Palatucci non rappresenta altro che l’omertà, l’arroganza e la condiscendenza di molti giovani funzionari italiani che seguirono con entusiasmo Mussolini nei suoi ultimi disastrosi passi», ha concluso M.me Indrimi nella lettera inviata al museo di Washington.

    I ricercatori americani hanno smontato pezzo per pezzo l’agiografia di Palatucci, onorato in Italia, Israele e New York, Stato vaticano, tanto che Woytjla lo aveva dichiarato martire (un passo dalla santità).

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    L’associazione dedicata al “martire” accetta anche il 5 x 1000

    È possibile che la leggenda di Palatucci fosse frutto della necessità di tre istituzioni, rivela Alexander Stille, professore di giornalismo alla Columbia University, al New York Times. Il governo italiano era ansioso di riabilitare la propria immagine, la Chiesa cattolica di sostenere storielle a favore di persone che aiutarono gli ebrei e il neo nato stato di Israele di promuovere l’immagine di gente normale che si schierò dalla parte dei perseguitati. E il gioco è fatto.

    Oggi, secondo il Centro Primo Levi di New York, e il Museo dell’olocausto di Washinton, Palatucci non era ciò che si credeva. Gli studiosi del Centro Primo Levi rivelando che nel 1943 a Fiume, anno in cui Palatucci lavorava ai vertici della polizia, su 500 ebrei presenti in città 412 furono deportati ad Auschwitz, testimoniano che quasi l’80% degli ebrei di Fiume fu in effetti deportato e non salvato.

    Palatucci venne arrestato a un anno dalla fine della guerra dalla Gestapo e morì nel febbraio del 1945 nel campo di concentramento di Dachau. Amen.

    La storia racconterà la verità … forse

    21 giugno 2013

    • Raccolte nuove testimonianze sul questore di Fiume che salvò migliaia
      di ebrei
      Giovanni Palatucci e il mistero del carcere
      di PIER LUIGI GUIDUCCI
      sono terminati a Roma i lavori della Commissione di studio – che ha visto esperti, anche di fede ebraica, coordinati da chi scrive – sulla figura e l`opera di Giovanni Palatucci, il questore di Fiume che morì a Dachau nel 1945.
      Durante la ricerca sono stati consultati esperti italiani (di Trieste e altre località), di Gerusalemme, Bruxelles, Rijeka, Berlino, Berna, Londra, Southampton e Washington.
      Interi fascicoli riguardanti Palatucci sono stati acquisiti in copia, migliaia di documenti sono stati letti e indagati.
      Dallo studio sono emersi fatti molto interessanti, verificati con controlli incrociati coinvolgendo storici, esperti e autori di libri e articoli sul questore di Fiume.
      Un primo dato che emerge dal dialogo con gli uffici del World Jewish Congress è che la figura di Palatucci e la sua azione di sostegno agli ebrei perseguitati furono esplicitamente segnalate da esponenti del mondo ebraico.
      Nel 1945, mentre nessuno in Italia parlava di Palatucci – la notizia ufficiale della sua morte arrivò ai familiari nell`aprile del 1948 – il delegato ebraico Raffaele Cantoni intervenne a un incontro della Special European Conference che si svolse a Londra dal 19 al 23 agosto di quell`anno; gli atti sono custoditi nell`archivio della università di Southampton.
      Fu in quella occasione che Cantoni parlò della drammatica situazione italiana e della realtà postbellica, ricordando le operazioni attivate per salvare i perseguitati ebrei.
      All`interno del quadro delineato, fece comprendere il ruolo del “canale di Fiume” e l`iniziativa di singole persone che, pur sempre meno numerose, cercarono di individuare dei percorsi di sopravvivenza per gli ebrei.
      Dato il clima molto ostile, noto a tutti a quel tempo – basti pensare al trattamento riservato al rabbino di Sugak, Otto Deutsch, che era stato internato in un manicomio – e considerato l`antisemitismo di gran parte delle autorità (il prefetto Testa, il questore Genovese, il capo dell`ufficio politico della Questura) non fu difficile dedurre il ruolo positivo svolto da Palatucci.
      In quell`occasione, Cantoni invitò a Roma Léon Kubowitzki, all`epoca segretario federale del World Jewish Congress.
      L`invito fu accolto e, l`anno dopo, Kubowitzki raggiunse l`urbe ed ebbe incontri anche in Vaticano.
      Un secondo dato, che emerge dagli uffici dell`Unione delle comunità ebraiche italiane e da altri archivi, è che l`indicazione di Cantoni venne ripresa da Settimio Sorani, un altro esponente ebraico. Sorani operò nella Delegazione per l`assistenza degli emigranti ebrei durante la guerra.
      Attraverso l`Archivio ebraico Terracini, e la documentazione dell`Amenican Joint Distribution Committee, dell`Hebrew Immigrant Aid Service, e quello del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea è possibile ricostruire la rete degli interventi.
      Nell`area di Fiume, dove operava Palatucci, ci fu una durissima persecuzione antiebraica. Mancano però notizie certe sulle sorti dell`archivio storico.
      Quando la polizia tedesca incendiò, il 30 gennaio 1944, il tempio in via Pomerio 31, la biblioteca della comunità ebraica fu distrutta dalle fiamme. Anche la biblioteca del rabbino capo Frank fu portata via dai tedeschi dopo la deportazione della sua vedova.
      In tale contesto, Sorani – che nelle sue memorie, basate su documenti del 1939-1945, non fu tenero verso il Vaticano – dedicò un intero paragrafo alla figura di Giovanni Palatucci.
      Emergono dai suoi scritti dei punti mai contestati dai suoi contemporanei: il “canale di Fiume” (luogo di salvezza per gli ebrei), l`azione di Palatucci a favore degli ebrei perseguitati, un numero elevato di salvati accertati (cinquemila), e un numero complessivo di salvati di cui non fu possibile quantificare la cifra.
      Un terzo dato, ricavato confrontando tra loro testimonianze del tempo e documenti, riguarda gli scampati al lager che parlarono di Palatucci.
      Non tenendo conto delle frasi generiche – inutili per i riscontri storici – delle espressioni di mero entusiasmo, delle affermazioni ripetute per sentito dire (rese talvolta deboli dal trascorrere dei decenni), ed evidenziando pure talune imprecisioni dovute al tempo e alle tensioni legate ai drammi affrontati, è stato possibile stilare un elenco di ebrei che, in modo diretto o indiretto, furono aiutati da Palatucci nella fuga.
      Queste persone indicarono tempi, luoghi, interlocutori, problemi economici, aspetti giuridici (documenti di riconoscimento), ambienti di rifugio, correligionari rimasti uccisi, speculatori e delatori.
      In tale situazione, l`indicazione di Palatucci è precisa.
      I riscontri compiuti hanno dato esito positivo.
      Nelle carte ritrovate molte furono portate via dai nazisti e poi dai titini – sono emerse varie strategie per salvare gli ebrei: fascicoli talvolta incompleti, il frequente uso del termine «irreperibile», datazioni non aggiornate, scambi di nomi, vuoti di trascrizione e così via.
      Un quarto dato è stato ricavato dall`aiuto ricevuto dalla Svizzera, dalla Germania e dalla Croazia.
      Quando Palatucci fu arrestato non venne fucilato.
      Eppure, il reato di cui era accusato prevedeva la pena di morte; il processo ai traditori, in tempo di guerra, durava pochi minuti.
      Per quasi un mese fu rinchiuso nel carcere di Trieste.
      Gli storici si sono chiesti il perché.
      Dalle ricerche compiute, risulta che furono fatti dei tentativi per salvargli la vita.
      Un riscontro di ciò lo si trova nella lettera che il padre di Giovanni, Felice Palatucci, scrisse il 25 agosto 1950 a Gerda Frossard.
      I tentativi mirati a salvare la vita al questore di Fiume furono attivati dal conte Marcel Frossard de Saugy che fu ascoltato dai nazisti perché – oltre a essere inserito in attività finanziarie – era marito di Gerda, nobildonna tedesca appartenente alla famiglia dei baroni von Biilow.
      Il padre di Gerda, Adam von Biilow Ditrik, era un socio di minoranza della Companhia Antarctica Paulista, che fu uno dei punti di riferimento del processo di modernizzazione in Brasile.
      Inoltre, prima della seconda guerra mondiale il Brasile aveva stretti contatti con la Germania nazista: erano partner economici e il Paese sudamericano ospitava il più grande partito nazifascista fuori d`Europa che contava più di quarantamila iscritti, specie nei centri di Belém, Salvador de Bahia, San Paolo e Rio de Janeiro.
      Non possono, quindi, essere esclusi contatti economici tra i von Biilow e i vertici di Berlino.
      In conclusione, anche grazie ad altri riscontri, si può affermare che Palatucci non era considerato dai superiori una persona di fiducia.
      Dai documenti e dalle testimonianze studiate con metodo critico risulta che il reggente della Questura era sorvegliato in quanto persona che interagiva con ebrei anche all`esterno dell`ufficio.
      La ricerca storica, a questo punto, conduce a Belgrado e ai suoi archivi, alla rilettura di tutte le istruttorie processuali a carico di dirigenti fascisti e nazisti che operarono nell`area di Fiume, e all`individuazione del lavoro sotterraneo di rete per salvare gli ebrei.
      Sono già stati acquisiti contributi provenienti dalla Prefettura di Trieste e dal lavoro dello studioso Aldo Viroli.
      Questo potrebbe migliorare la conoscenza di molti fatti.
      Pur non avendo ancora trovato le informative dei delatori, i verbali di interrogatorio (sotto tortura) di Palatucci, il dispositivo della sentenza di morte, e i verbali di Dachau, rimane un dato significativo: Palatucci non parlò.
      Dopo il suo arresto non risultano fermi legati a sue dichiarazioni.

      • Pubblichiamo la sua testimonianza , senza nessun cenno di critica . La prima critica andrebbe a quel suono strano che fa la frase “salvò migliaia
        di ebrei”
        . Forse andrebbe ridimensionata non le pare? Lei si prende la responsabiltà di quanto dice. Continueremo la nostra riceraca su quest’uomo che lei, forse giustamente innalza agli allori.
        Anche alcuni vescovi argentini che si sono macchiati di crimini contro l’umanità usarono per ragioni a noi ignote un doppio registro. Avvallavano la morte di centinaia di argentini e ne salvavano tre o quattro che finita la bufera avrebbero testimoniato la loro bontà d’animo nei loro confronti. I desaparecidos certamente non potranno testimoniare contro di loro. Alla fine rimangono solo alcune centinaia di persone salvate dai genocidi che santificano i loro salvatori. E’ stato anche scritto un bel libro a proposito: La lista Bergoglio

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