• Enciclopedia del Crimine – La storia di Han Van Meegeren e dei falsi Vermeer (seconda parte)

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    La messa in opera

     

    Nel 1935 Van Meegerén passò all’azione. Dipinse un Franz Hals, un Terbooch, due Vermeer. La prima di queste tele, Donna che beve (cm 78 x 66) risultò una esperienza delle più promettenti. Ritratto di gentiluomo (cm 30,5 x24,75), alla maniera di Terbooch, rimase allo stato di abbozzo. Donna che legge musica (cm 57 x 48) e La suonatrice di liuto (cm 63,5 x 49) ‘attribuibili’  a Vermeer, potevano benissimo imbrogliare chiunque.

     

    In realtà La suonatrice di liuto, che Van Meegeren non terminò, s’ispirava direttamente ai temi tipici di Vermeer. Nel dipingere, il falsario aveva tenuto presente La suonatrice di spinetta e Il gentiluomo conservato a Buckingham Palace. Luci (finestre senza tende alla sinistra, nel quadro), ombre, specchi, elementi riflessi negli specchi, oggetti tipicamente vermeeriani, tutto concorreva a creare l’atmosfera peculiare dei dipinti del maestro. A prima occhiata, s’identificava un Vermeer. E così Donna che legge musica ricorda la Donna in blu che legge una lettera del Rijksmuseum. Il viso della giovane donna somigliava moltissimo a quella che doveva essere stata la moglie e modella di Vermeer.

     

    Il primo dei falsi di Van Meegeren (1935)

    un Franz Hals dal titolo: Donna che beve.

    Una chiara testimonianza della strabiliante

    capacità tecnica dell’artista-falsario.

     

    Questa seconda tela presentava, sia come fattura sia come motivo, tutti i requisiti richiesti a un Vermeer, e avrebbe trovato a occhi chiusi un compratore, naturalmente per una somma considerevole.

     

    Tuttavia Van Meegeren non tentò di vendere le sue opere.

     

    Non vendendo Donna che legge musica il falsario superava tutti i falsari che l’avevano preceduto. Questa riserva avrebbe costituito il suo colpo di genio.

     

    Il mancante

     

    Chiunque avrebbe imitato Vermeer nel suo stile più noto. Van Meegeren lo fece solo per prova. Le sue ambizioni si spingevano oltre: voleva colpire più in alto e più forte. Non solo voleva dipingere un quadro di un grande maestro del XVII secolo, ma intendeva che quel quadro passasse per un’opera fondamentale di quel maestro, al punto di cambiare orientamento a ricerche ed esegesi su di lui. La scelta cadde su Vermeer, pittore olandese, e non su altri, a causa della rarità dei dipinti

    del grande pittore e delle ipotesi che la sua limitata produzione suscitava. Fino allora esistevano solo ventotto tele che passavano per autentici Vermeer. Inoltre la ‘coperta’ artistica del pittore datava dalla fine del XIX secolo, e i critici presupponevano l’esistenza di parecchi altri dipinti.

     

     

    La suonatrice di Liuto – Vermeer

    Inoltre le opere conosciute di Vermeer erano di carattere profano: interni, ritratti, paesaggi. Una sola eccezione: il Cristo in casa di Marta e Maria della National Gallery di Edimburgo. Questa tela fu autentificata da Bredius, che, come abbiamo visto, era la massima autorità in materia. Bredius considerava la scoperta di quella tela come l’affare più colossale della sua vita di critico d’arte. Secondo la sua teoria, tutti gli studiosi d’arte ritenevano probabile l’esistenza di parecchie altre tele di soggetto religioso. E qui intervenne Van Meegeren.

     

    Non perse tempo in altri tentativi per evitare che, continuando sullo stesso filone, qualcuno potesse subodorare l’inganno, e decise di cambiare le regole tradizionali del gioco, conferendo alla sua mistificazione un valore mai uguagliato. Van Meegeren si prefiggeva di dipingere i Vermeer ‘mancanti’, quelli cioè di carattere religioso.

     

    La sua intenzione era giustificata non solo dalle sue capacità tecniche, ma anche dalla profonda conoscenza che lui aveva del comportamento di critici, storici d’arte e di esperti. La funzione del critico, o almeno l’aspetto più eccitante di questo mestiere, consiste anche nel presentare al pubblico tesori d’arte che erano finiti nel dimenticatoio, nell’annunciare la scoperta inattesa e l’esegesi che ne dimostri l’autenticità.

    E Van Meegeren si preparava a fornire loro parecchie di queste ‘scoperte’, e a dimostrare nel contempo la fragilità soggettiva delle loro pretese.

     

    Ancora memore del gesto teatrale del suo amico Van Wijngaarden, che distrusse il falso Rembrandt al cospetto di Bredius, Van Meegeren decise di spingere il suo gioco ben oltre: avrebbe fatto autenticare la tela, l’avrebbe venduto molto cara, l’avrebbe esposta al pubblico, avrebbe

    lasciato sfogare tutti gli entusiasmi possibili, poi avrebbe rivelato la mistificazione.

    Così, almeno lui credeva, tutti avrebbero preso coscienza del suo genio pittorico, e il mondo intero gli avrebbe tributato il massimo degli onori. Si riproponeva anche di restituire all’acquirente la somma favolosa che questi avrebbe versato per l’acquisto della tela. Almeno lui credeva.

    Sarebbe divenuto un tipo particolare di eroe … Come nei sogni della sua infanzia, lui sarebbe stato il re, avrebbe domato i leoni.

     

    In fondo, dipingere un capolavoro cui il maestro non si era dedicato nei momenti più felici della sua ispirazione, riservava a Van Meegeren la sua parte di creatore.

    Si poneva al posto di Vermeer, ma all’interno di questo posto si creava un suo spazio. Una volta dichiarata la truffa, Vermeer doveva sparire e subentrare Van Meegeren, In questo atteggiamento c’era evidentemente una grossa dose di visionarietà senza la quale niente sarebbe stato possibile.

     

    Donna che legge – Van Meegeren

     

    Una sottile ironia

     

    Il Caravaggio aveva dipinto tre Cristo a Emmaus. Van Meegeren, in Italia, aveva visto uno di quei quadri. Sapeva che era un tema poco sfruttato e pensò che l’apparizione di un Vermeer riguardante quel soggetto avrebbe fatto l’effetto di una bomba.

    I critici si sarebbero sbizzarriti in commenti, digressioni erudite che stabilivano rapporti, differenze ed eventuali influssi; ci sarebbero stati atti di stupefazione e sbalordimento di fronte alla fortunata scoperta eccetera. La scelta era fatta, e riteniamo utile spendere qualche parola sulla sottile e segreta ironia che l’aveva determinata.

     

    Forse sono sfuggiti i rapporti evidenti tra la situazione di Cristo a Emmaus e l’avventura che Van Meegeren si preparava a vivere.

     

    Ricordiamo i fatti: poco tempo dopo la Resurrezione, Cristo si presenta a due suoi discepoli, a Emmaus. I due apostoli in un primo momento non lo riconoscono. Ma nel momento in cui Gesù spezza il pane e lo benedice, i due lo identificano.

    Era quindi necessario che Cristo desse, in qualche modo, prova della sua identità.

     

    Van Meegeren non poteva, ironicamente, non paragonare la situazione di Cristo a quella che stava per mettere in scena. Lui, Van Meegeren, sarebbe stato scambiato per un altro, prima di essere preso per chi realmente era. È evidente che gli apostoli erano gli esperti ciechi. Sarebbe stato necessario mostrar loro tutto.

    Nel frattempo Van Meegeren cominciò a dipingere il Cristo a Emmaus, di Vermeer…

     

    Donna in Blu – Vermeer

     

    Il montaggio

     

    Recuperata una Resurrezione di Lazzaro, autentica del XVII secolo, il falsario cominciò il suo lavoro. Prima di raschiare la pittura, smontò la tela dal telaio e tagliò una striscia di cinquanta centimetri dalla parte sinistra. Poi restrinse il telaio in proporzione.

    Queste due operazioni erano destinate a provare che il Vermeer che stava per dipingere era falso.

    Era il primo caso al mondo di un falsario che creava i presupposti per dimostrare la sua mistificazione. Così facendo correva un rischio considerevole, ma non dimentichiamo che Van Meegeren non aveva ancora rinunciato ad affermarsi come Van Meegeren, anche ricorrendo a Vermeer e a Cristo.

     

    Mentre raschiava la tela, stesa su di un foglio di compensato, sorsero due difficoltà. Una macchia di bianco resisteva alla raschiatura, e insistendo lui correva il rischio di asportare anche le spaccature.

    Van Meegeren aggirò l’ostacolo inserendo quel tipo di bianco nella propria gamma di colori. Per la stessa ragione non poteva fare sparire la testa di un personaggio, Lazzaro. Questo accadeva perché certi pittori del XVII secolo, e fra questi Vermeer, si servivano spesso di tele su cui avevano abbozzato quadri che poi non erano stati realizzati. Ma il particolare giocava a favore di Van Meegeren. Infatti, all’esame radiografico, ci sarebbe stata una prova di più sull’autenticità della tela.

    Van Meegeren passò uno strato di fondo su quello brunastro, a base di ocra e biacca, che c’era nella tela originale. Questo strato bruno scuro uniformava la tela e consentiva al pittore – dopo che la tela era stata passata al forno – di accertarsi della comparsa delle spaccature. Ora non restava che procedere alla creazione vera e propria.

     

    Bisogna sottolineare che, spinto dall’ambizione e sotto la tensione nervosa, quando dipinse il Cristo a Emmaus Van Meegeren realizzò il meglio di se stesso. Quelquadro rappresentava sei mesi di lavoro accanito. La qualità dell’opera era innegabile, anche sul piano artistico, ed era realmente all’altezza del colossale equivoco che avrebbe creato.

     

    Cristo a Emmaus – Caravaggio

     

    I modelli

     

    In considerazione del massimo segreto che circondava l’esecuzione dell’opera, Van Meegeren fu costretto a rinunciare ai modelli. Ma ancora una volta il suo genio riuscì a trasformare un handicap in un atout supplementare, tessendo una sottile rete di corrispondenze con l’opera di Vermeer.

    Non aveva modelli? C’erano quelli di Vermeer. In altri termini, i personaggi delle tele di Vermeer sarebbero riapparsi in un contesto religioso. Così il discepolo Cleofa, nell’Emmaus, riproponeva il volto concettoso dell’Astronomo e del Cristo di Marta e Maria. Anche la posizione della mano e dell’avambraccio di Cleofa ricordava l’Astronomo di Vermeer.

    La faccia di Cristo fu dovuta al caso.

    Più tardi Van Meegeren avrebbe raccontato questo aneddoto:

     

    «Una sera sentii bussare alla porta della mia villa. Ero solo e andai ad aprire. Mi trovai improvvisamente faccia a faccia con uno sconosciuto che aveva gli occhi del Cristo. Dopo un primo attimo di sorpresa, interrogai il visitatore: era un ferroviere italiano che dopo aver lavorato qualche mese in Francia se ne tornava al suo paese. Lungo il viaggio di ritorno, viveva di elemosine. Gli chiesi di posare per me.

    Accettò e durante il soggiorno in villa diede prova di una stupefacente fierezza. Chiedeva solo pane di segale, aglio e vino. Quando si rese conto che la sua immagine avrebbe rappresentato Cristo, divenne pallido e si fece il segno della croce»

     

    L’intervento di quel modello inatteso, sembrò distrarre Van Meegeren dai suoi propositi; infatti, nel rappresentare il volto di Cristo, si concesse qualche divagazione personale: le palpebre molto larghe e abbassate del personaggio derivavano direttamente dalle tele di Van Meegeren stesso e non da quelle di Vermeer. Il visitatore impressionò profondamente Van Meegeren, ateo dichiarato, quando gli rivolse una strana richiesta.

     

    «Profondamente turbato, il mendicante, nel sonno, arrivò a gridare che non era degno di rappresentare Cristo, e mi scongiurò di pregare per lui perché temeva la collera dell’Onnipotente.»

     

    Ed ecco la sorprendente preghiera che Van Meegeren assicurò di aver rivolto al Cielo:

     

    «Dio, se esistete, non condannate, vi prego, quest’uomo perché ha partecipato alla mia opera: mi assumo io l’intera responsabilità. Dio, se esistete, non giudicate male la libertà che mi sono concessa scegliendo un tema biblico. Non l’ho fatto per offendervi e la scelta è una mera coincidenza».

     

    Cristo a Emmaus – Van Meeegeren

     

    Un’opera davvero miracolosa

     

    E ancora: V. Meer, V. Meegeren. È evidente che l’affinità di Han Van Meegeren con Johannes Vermeer di Delft collima anche nell’insieme delle lettere che compongono i loro nomi. Questa coincidenza obiettiva rappresentò un grande aiuto per il falsario, nel momento della firma dell’opera, altra operazione delicata.  Il pittore esitò: doveva firmare l’opera con il nome di Vermeer o no? La sola firma non costituiva una prova di autenticità, mentre una firma mal fatta era già indizio di falso. E bisogna tener presente che si poteva agire legalmente contro lui solo in caso di firma contraffatta. Van Meegeren fece la sua scelta: firmò col nome di Vermeer. Il suo Emmaus era troppo importante perché corresse il rischio di una difficoltosa autenticazione per mancanza della firma del maestro.

     

    E poi, le firme di Vermeer non erano facili da imitare. Ancora una volta il falsario dovette ricorrere a tutto il suo virtuosismo. Una volta appoggiato il pennello per tracciare la sigla, non poteva staccarlo più, né tornare indietro: doveva completarla con un tratto unico. Van Meegeren scelse uno dei monogrammi più frequentemente usati da Vermeer: La maiuscola sotto l’asse della M, e la V fusa nella gamba centrale della M. Il risultato era molto convincente. Ora la teli poteva subire il suo ultimo ‘invecchiamento’.

     

    Le dimensioni dell’Emmaus erano sensibilmente superiori a quelle dei precedenti quattro ,falsi e Van Meegeren fu costretto ad acquistare un forno più grande più perfezionato. A forno spento, sistemò la tela su di un supporto che la teneva sollevata di cinquanta centimetri dalla base del forno. Il rovescio del quadro era rivolto verso il basso. Poi chiuse ermeticamente il forno e regolò il termo stato a 105 gradi centigradi. Cominciavano le due ore decisive: tre secoli di pittura concentrati in quattro anni di ricerche da alchimista e realizzati in sei mesi di lavoro creativo erano in ballo i quei centoventi minuti.

     

    Attesa, angoscia … e poi il successo totale. Nella luce di quella primavera 1931 Van Meegeren esaminò la più grande mistificazione pittorica di tutti i tempi: opera sua. I colori avevano resistito meravigliosamente. Il dipinto aveva una durezza  di tre secoli e una rete di spaccature perfette. Vernice, inchiostro di china-polvere, raschiatura-trementina, vernice finale ecco cosa restava da fare. Ma Van Meegeren sapeva per esperienza che la perfezione assoluta era sospetta, e cominciò deteriorare la tela.

     

    Un quadro talmente ‘antico’ doveva necessariamente presentare qualche alterazione, e quindi qualche restauro. Nel 1937 non potevano esserci dei Vermeer nuovi.

    Con una spatola, il falsario cominciò grattare la pittura in certi punti, e spinse la coscienza professionale fino a lacerare leggermente la tela, esattamente al termine dell’anulare mezzo alzato del Cristo. Poi cominciò a restaurare i danni, preoccupandosi che le riparazioni fossero relativamente grossolane.

    Il capolavoro poteva finalmente essere fissato al telaio originale. Van Meegert completò gli ultimi dettagli. Terminava così la fase segreta dell’operazione. Ora trattava di affrontare il mondo esterno.

     

     Gentiluomo – Vermeer

     

    L’inizio della macchinazione: l’esca

     

    Come piazzare il Cristo a Emmaus?Van Meegeren aveva già analizzato e smontato i meccanismi che regolavano il mercato della pittura. Conosceva perfettamente la psicologia delle persone che intendeva imbrogliare. Decise di agire da solo come aveva fatto fino a quel momento.

    Si sarebbe avvalso di intermediari inconsapevoli, ma non di complici.

     

    Il primo passo era quello di ottenere il certificato di autenticazione, firmato da un’autorità in materia. E la scelta non poteva non cadere su Bredius. Era stato lui a scoprire il Cristo in casa di Marta Maria, il solo quadro a soggetto religioso attribuito a Vermeer. In quel campo era Bredius il giudice supremo. E, da anni, Bredius era il mito che Van Meegeren voleva distruggere, il rappresentante per eccellenza di quegli esperti onnipotenti che bisognava annientare una volta per tutte. Rivolgersi direttamente a Bredius erafuori questione.

    Bisognava trovare un intermediario tanto autorevole da essere preso in considerazione da Bredius.

    Van Meegeren, in Olanda, aveva conosciuto un consulente legale, membro del parlamento, che godeva della massima stima per la sua integrità: il dottor G. A. Boon. Un uomo appassionato d’arte: sotto ogni punto di vista era l’uomo di paglia ideale. Van Meegeren, con l’Emmaus debitamente impagliato e riposto in una cassa, lasciò Roquebrune diretto a Parigi. Qui prese contatto con Boon, e gli raccontò due avvenimenti.

     

    La signora Mavroeke – che un suo intimo amico diceva essere la sua amante – era una delle tre discendenti di una vecchia famiglia olandese. Da più di vent’anni risiedeva in Italia, dove aveva trasferito la collezione di quadri del castello atavico di Westland. Quella collezione, tramandata di generazione in generazione, comprendeva centosessantadue tele: Holbein, Greco, Rembrandt, Hals. La Mavroeke desiderava lasciare Como e l’Italia fascista e aveva chiesto aiuto e consiglio a Van Meegeren: desiderava vendere di nascosto in Francia qualcuno dei suoi quadri e il governo fascista proibiva l’esportazione di opere d’arte. Van Meegeren aveva provveduto a portar via clandestinamente la prima tela, in cui credeva di aver riconosciuto un autentico Vermeer, Il dottor Boon avrebbe acconsentito a facilitare l’introduzione in Olanda di un’opera maggiore del Maestro di Delft?

     

    Naturalmente questa storia, che sfruttava abilmente la situazione politica del momento, era una montatura del falsario. A parte l’aspetto romanzesco, la storia non presentava lacune, e se si riconosceva l’autenticità del quadro, la sua provenienza non avrebbe consigliato più ampie investigazioni.

    Il dottor Boon, impressionato favorevolmente dal quadro, capì che poteva compiere un atto di patriottismo, oltre a realizzare un’operazione finanziaria non trascurabile, in qualità di intermediario. Accettò di prendere contatto con Bredius, e ammise la necessità di non fare il nome di Van Meegeren, e quindi di fornire all’esperto un’altra versione sulla scoperta del capolavoro. Ecco la versione che Boon avrebbe fornito a uso e consumo di Bredius.

    Boon era consulente legale di una signora che aveva ereditato dal padre, un uomo d’affari francese che risiedeva nel mezzogiorno. La moglie di quest’ultimo, morta anche lei, di origine olandese, aveva portato in dote una magnifica collezione di quadri. L’ereditiera era in difficoltà finanziarie e voleva vendere (restando nell’anonimato – per non essere accusata di dilapidare a suo esclusivo profitto il patrimonio di famiglia) qualcuna di quelle tele.

    Boon si era recato nel suo castello, per esaminare la collezione. In un primo Momento era rimasto deluso; ma una fortuita combinazione gli aveva consentito di scovare il Cristo a Emrnaus, relegato in un guardaroba. Il quadro non piaceva al defunto, e. nessuno, da oltre quarant’anni, lo aveva visto esposto. Boon, credendo di conoscere la firma, e soprattutto colpito dalla bellezza dell’opera, aveva deciso di consultare lo specialista di Vermeer: Bredius.

     

    Continua …

    Leggi qui tutta la storia del caso dei falsi Vermeer 

    Tratto da Enciclopedia del crimine ©Fratelli Fabbri Editori, 1974

     

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