• United colors and dead made in Bangladesh: a un anno dal crollo del Rana Plaza a Dacca

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    dacca

     

    24 aprile 2014 – Un anno fa alla periferia di Dhaka, in Bangladesh, crollava il Rana Plaza, un edificio in cui avevano sede diverse fabbriche tessili. Sotto le macerie morirono circa 1.140 lavoratori e furono oltre 2.000 i feriti. Abbiamo incontrato i superstiti e le famiglie delle vittime e oggi condividiamo con voi le loro storie http://www.actionaid.it/2014/04/rana-plaza-un-anno-dopo – Fotografie di Edoardo Agresti e Annalisa Natali Murri – ‪#‎Bangladesh‬ ‪#‎RanaPlaza‬ ‪#‎ildirittodicambiare‬ ‪#‎accountability‬

    Qui il video di presentazione di Presa Diretta

    Qui il servizio di Presa Diretta completo

    Di Salvo Carfì

    29 aprile 2013

     

    Bangladesh, strage di lavoratori tessili. Le foto che “accusano” Benetton

     

    Il 26 aprile a  Dacca (Bangladesh) crollava un palazzo di otto piani uccidendo circa  1500 persone.1100 sono ancora date per disperse ma ormai vi sono pochissime speranza di ritrovarle in vita.

     

    Uomini e donna lavoravano per trenta – quarta dollari al mese, in assenza delle più elementari condizioni di sicurezza e producevano capi per conto di multinazionali tra cui anche l’italiana Benetton di Treviso.

     

    Come abbiamo visto ed udito in alcuni servizi televisivi, gli operi, nonostante le evidenti crepe sui muri e gli scricchiolii che segnalavano l’implosione del Rana Plaza, un palazzo di otto piani alla periferia di Dacca, sono stati costretti dalla minaccia di licenziamento a tornare al lavoro .

     

     

    benetton i colori della morte

     

    Come potete vedere dalle foto, di cui non conosciamo la provenienza, ma che secondo giornali autorevoli sono state fotografate nel luogo della tragedia, il marchio Benetton spicca più di altri in quel luogo di morte.

     

    C’è una camicia di colore scuro, fotografata tra le macerie. L’etichetta verde brillante, è inconfondibilmente della “United Colors of Benetton”.

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    Bangladesh Building Collapse 

     

    Le molte fabbriche tessili che avevano sede nel palazzo, nelle quali i dipendenti lavoravano in assenza delle più elementari condizioni di sicurezza, producevano capi di abbigliamento per conto di multinazionali occidentali, tra cui, a quanto scrivono i media, Benetton.

     

    Da quanto scrivono i giornali la Benetton  avrebbe in un primo momento negato un suo coinvolgimento con  i proprietari dei locali venuti giù nel crollo. Lunedì, dopo la pubblicazione delle foto, su Twitter è arrivata la prima ammissione: “Il Gruppo Benetton intende chiarire che nessuna delle società coinvolte è fornitrice di Benetton Group o uno qualsiasi dei suoi marchi. Oltre a ciò, un ordine è stato completato e spedito da uno dei produttori coinvolti diverse settimane prima dell’incidente. Da allora, questo subappaltatore è stato rimosso dalla nostra lista dei fornitori“. Lascio a voi ogni commento io non ce la faccio.

     

    Le foto, scattate e pubblicate dall’Associated Press, che ritraggono una camicia di colore scuro griffata Benetton tra i calcinacci, accanto a quello che pare la commessa di un ordine, non vanno d’accordo con le affermazioni della Benetton.

     

    L’agenzia France Press ha reso noto di aver ricevuto dalla Federazione operai tessili del Bangladesh documenti contenenti un ordine da circa 30mila pezzi fatto nel settembre 2012 da Benetton alla New Wave Bottoms Ltd, una delle manifatture ingoiate dal crollo. La dicitura “Benetton” appariva anche sul sito internet dell’azienda, all’indirizzo www.newwavebd.com, ma immediatamente dopo il crollo la pagina è stata tolta dalla rete. La copia cache rimasta in rete recita. “Main buyers” (Clienti principali), “Camicie uomo-donna”, l’elenco degli acquirenti: tra questi, numero 16 della lista, figura “Benetton Asia Pacific Ltd, Honk Kong“.

    Vi sono altre tre aziende italiane: la Itd Srl, la Pellegrini Aec Srl e la De Blasio Spa, ma non è chiaro se al momento dell’incidente vi fossero ancora rapporti di lavoro in corso.

     

    La Pellegrini, specifica che le ultime commesse con l’azienda di Dacca risalivano al 2010. Quando ancora gli scricchiolii non si sentivano.

    Visto che oggi è il Primo Maggio, Festa del Lavoro, una riflessione è utile: nonostante la crisi tragica del lavoro in Italia i nostri industriali, che si sono arricchiti con il sangue e il sudore degli italiani, ora usano i sudore e il sangue di persone ancor più ricattabili. Io questo lo chiamo “infamia e asocialità”, loro “la logica del profitto”. E i nostri politici di sinistra come chiamano questa sconcezza civile globalizzata? Qual è quella logica per cui per arricchire pochi molti devono rinunciare alla propria dignità umana e a volte persino all’esistenza? È una legge divina? Forse si, visto che le religioni monoteiste e induiste si guardano bene dall’intervenire realmente ma anzi hanno un ruolo pastorale … tener fermo il gregge mentre viene tosato e munto mentre ripetono la litania “ le caste sono decise in alto, nel regno dei cieli e i dirigenti sono esseri semidivini predestinati al comando”.

     

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