• Cronaca di un suicidio, narrazione di un suicidio – pensieri a margine della lettera di Michele Grafico Suicida

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    1 Pioggia

    È grigio oggi. Guardo fuori dalla finestra e vedo alberi e siepi e case che si infrangono su un cielo grigio, immemore del blu.

    B. questa mattina presto mi ha scritto in chat:

    B. «ho letto la lettera di Michele… il ragazzo del nordest che si è suicidato… una bella lettera».

    Io «Vado a leggere» e poi «Letta … sentimentalmente condivisibile… e anche vera dal punto di vista sociologico … ma … c’è un punto che svela un vulnus che non bisogna accettare… la rinuncia al rapporto interumano con il diverso/uguale da sé. Cercherò di scrivere qualcosa …»

    B. «i rapporti sono importanti ma qui viene a meno totalmente la realizzazione di sé»

    Io «Si, è un discorso complesso. Sotto c’è la perdita della vitalità causata da rapporti deludenti che può essere reintegrata solo attraverso rapporti non deludenti.»

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    Poi dopo il caffè, seduto accanto al grigio del cielo cerco di capire meglio le motivazioni di una morte annunciata in quella lettera che ormai è stata letta da migliaia di persone. (leggila qui) Accendo la radio e ascolto, a “Tutta la città ne parla”, le narrazioni che parlano di quella lettera di cui mi parlava B.. Anche in questa trasmissione, retorica e buon senso si accavallano. C’è anche chi chiude ogni ricerca sulla realtà umana parlando di “lettera meravigliosa che merita rispetto”. E i più non sanno parlare d’altro che della crisi economica del nord est, facendola apparire come unica causa del suicidio.

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    Mi dico che non hanno letto la lettera, che non ne hanno capito il senso. Mi dico anche che sono il solito “so tutto io, capisco tutto io” ma … ma sono caparbio per natura: “sei tutto di un pezzo” mi diceva il direttore accusandomi, affettuosamente, di essere nemico dei compromessi. Anche di quelli minimi. Quelli che ti permettono di vivacchiare senza dare troppo nell’occhio. In realtà io i compromessi, per sopravvivere,  li ho sempre fatti. Ma rimanevano nella casella mentale “compromessi”. I compromessi non li ho mai incasellati nelle mie categorie di verità, di realtà e di “normalità”. Così, senza quasi rendermene conto, ho sempre difeso la mia realtà umana dalle pericolose identificazioni che avrebbero gravato sulla mia identità. Perché cedere ai compromessi, senza riconoscerli come tali, significa sempre identificarsi con chi vorrebbe importeli. È l’arte della dissimulazione, senza la quale si soccombe…

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    Continuo a cercare e leggo di Michele Grafico Suicida: a quanto pare questo sarà il nome con il quale verrà ricordato. «Michele aveva 30 anni, era un grafico e viveva a Udine.» Nome “Michele”, secondo nome “Grafico”, cognome “Suicida”.  Non scrivono “faceva il grafico”, ma “era un grafico”. Così scrivono tra le righe i giornali. E in parte forse hanno ragione perché anch’egli, tra le righe si definisce così:  «Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili». Un sano rapporto con la realtà gli avrebbe indicato di cercare anche altro.

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    Troppo caustico? Può darsi. Ma questa mio modo di interpretare la realtà è una esigenza a cui non posso rinunciare.  La realtà non posso che filtrarla attraverso la mia esperienza di vita, i miei vissuti affettivi, la mia sensibilità. In poche parole attraverso la mia realtà umana per quella che è, per quello che vale. È l’unico modo che ho per reagire onestamente a una tragedia umana come questa che non finisce con la morte di “Michele Grafico Suicida” ma entra nel sociale come … mi duole dirlo, come una ferita aperta che può infettare i più vulnerabili, togliendo loro vitalità e fornendo loro l’alibi della rassegnazione. Essere consolatori equivale a propagare un’infezione pericolosissima e “le voci di dentro” mi chiedono di dire no alla rassegnazione e alla disperazione che porta ai suicidi fisici e/o psichici.

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    Nella lettera di “Michele Grafico Suicida”, c’è molta rabbia. Lo hanno notato in molti. Leggendo tra le righe si evince che lui era arrabbiato persino con chi lo aveva messo al mondo senza chiedergli il permesso «sono stufo di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata» e con chi non soddisfava le sue aspettative. Ma la frase che più mi sgomenta, e allo stesso tempo mi fa comprendere meglio la natura del malessere profondissimo – a cui non so dare un nome scientifico –  è questa: «(sono) stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me)».

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    Mi fermo un attimo a pensare. Mi dico “lo ha scritto in un momento di sconforto”. Poi mi dico “però lo ha scritto” e  “le voci di dentro” mi ingiungono di non mitigare quella frase che, secondo me, indica la causa primaria di quel gesto definitivo.

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    Essere disperati in primo luogo significa aver perso la speranza e con lei la certezza dell’esistenza nel mondo di un essere umano uguale e diverso “l’altro genere” con cui poter realizzare, contemporaneamente, la propria  realtà umana.

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    Leggo la lettera di Michele Grafico Suicida, e vedo un uomo che confonde, mettendole una accanto una all’altra, l’esigenza della realizzazione umana  all’altro da sé e la soddisfazione dei bisogni.

      –«Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.»

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    È grigio oggi. Guardo fuori dalla finestra e vedo alberi e siepi e case che si infrangono su un cielo grigio, immemore del blu… e penso: non è vero ciò che ha scritto “Michele Grafico Suicida”: «Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca.» perché la sensibilità, intesa come “sentire” l’altro da sé, da quasi cinquant’anni è “oggetto di ricerca” ed è il cardine della Teoria della nascita dello psichiatra Massimo Fagioli. Bastava cercare meglio …

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    G.C.Z. – 8 febbraio 2017

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    • Ho letto anche io questa lettera e condivido molto quello che dici. Inizialmente mi era sembrata molto giustificata per come è la nostra realtà in questo paese con politici inetti e inumani. Mi sono inizialmente sentito in colpa forse per i privilegi vissuti per cui in analoghe situazioni che anche io ho subito ho avuto aiuti esterni, ma me li sono andati a cercare. Oggi i giovani non hanno , almeno sembra, spesso nessuna possibilità, ma molti poi trovano elementi esterni ed interni su cui fare affidamento, anche se poco, ma sempre per non andare “oltre”. La mia sensazione era che avevo “sentito”, nella lettura veloce, dei punti di fastidio leggermente nauseanti. Una rabbia un po’ troppo estrema e quella frase che citi, che veramente poi tu chiarisci. Tutti noi siamo stati soli e disperati, ma poi il cercare per uscirne fuori, almeno a me ha portato a situazioni affettive concrete, che ci sono sempre, ha portato alla ricerca di un confronto e alla scoperta di qualcuno che poteva e sapeva darmi delle risposte. Tutto questo come dici tu, è vero, C’è e bisogna cercarlo, dovesse portarti via tutta la vita, ma cercarlo è doveroso. Grazie per aver chiarito quello che sentivo. Hai sempre una chiarezza che stimo molto.

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