
di Gian Carlo Zanon
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Le notizie sulla realtà esterna ci giungono – dall’informazione mediatica di ogni tipo e attraverso altri strumenti, libri per esempio – “a macchia di leopardo”: leggiamo, ascoltiamo e vediamo notizie sull’ambiente, sulla crisi climatica, sull’economia, sulla politica, sulle guerre, sulla società, sulla cronaca, staccate tra loro. Basta guardare il telegiornale per rendersi conto quanto le notizie ci giungano frammentate e senza alcun nesso tra l’una e l’altra.
Eppure sappiamo che senza una visione olistica, cioè “intera”, in cui i vari frammenti di realtà si fondono, su amalgamano, si agglutinano, la singola comunicazione percepita non può essere interpretata correttamente proprio perché spoglia dei suoi corredi. Un esempio semplice: se non faccio il nesso tra una dichiarazione di Trump sulla negazione dei cambiamenti climatici dovuti all’impronta antropologica, i movimenti al ribasso o al rialzo del mercato borsistico, le reazioni dei politici degli altri stati, le notizie di cambiamenti climatici evidenti, la sua storia personale e politica, eccetera, non potrò essere in grado di dare un giudizio congruo né di reagire adeguatamente a quelle dichiarazioni.
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I dati provenienti dall’esterno, come un accadimento, una dichiarazione politica, un fatto di cronaca, per il nostro dispositivo cognitivo, non devono essere frammenti di realtà staccati uno dall’altro, ma devono far parte della complessità del reale. E questa complessità, che include la nostra soggettiva Weltanschauung, non è la semplice somma delle singole parti ma è, se si fanno continuamente i nessi tra una parte del tutto e l’altra, una concezione del reale che ruota intorno a noi complessa, variegata, sfaccettata. Una visione del mondo integra ci consentirà di non sbagliare, o di sbagliare il meno possibile il nostro giudizio, e quindi di reagire coerentemente.
In altre parole ci consentirà di avere un pensiero critico capace di interpretare la realtà e di avvicinarci alla verità contenuta in essa. Per far ciò è necessario mettere anche in campo la capacità di scorgere i sintomi delle distorsioni politiche, sociali, economiche, cercarne le cause e le somiglianze storiche. Ovviamente sto parlando di una capacità interpretativa della realtà globale da parte di individui intellettualmente onesti e non gravati da credenze religiose: inutile dire che l’alienazione religiosa, alias pulsione di annullamento inconscia, altera parzialmente o totalmente il rapporto dell’individuo con la realtà. (1)
In un intervista apparsa su Il Manifesto del 30 agosto 2025, alla giornalista che chiedeva a Eva Thumberg i motivi del suo impegno per la causa palestinese, la “pasionaria” svedese di FridaysForFuture, rispondeva: «Molti mi chiedono perché mi importi della causa palestinese se sono un’attivista per il clima. Io davvero non capisco come non si possa vedere il legame. Agiamo sempre in coerenza con gli stessi valori: giustizia, libertà, sostenibilità, benessere umano e planetario. È lo stesso sistema che provoca genocidi, che distrugge gli ecosistemi, la biosfera, l’atmosfera, destabilizzandola. (…) Per me è la stessa lotta. Non possiamo avere giustizia climatica senza una Palestina libera, perché non possiamo avere giustizia climatica senza giustizia sociale»
Dalla domanda della giornalista possiamo avvertire questa propensione generalizzata a scindere e frammentare il pensiero rendendolo incapace di fare nessi simultanei con quanto percepito.
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«C’è la guerra fatta con le pallottole sparando al Campus a Kabul, c’è quella preparata (come avviene nella fabbrica di bombe in Sardegna). Poi ci sono quelli che pagano il conto della guerra (che sono sempre i poveracci, sia noi con i nostri diritti negati e i soldi che non ci sono mai per il sociale e invece si trovano sempre per le armi, sia quelli al di là del mondo). E infine c’è la guerra che torna a chiedere il conto: abbiamo passato decenni a riempire zone del mondo di armi, violenza e insicurezza, ci abbiamo mandato gli eserciti, gli abbiamo portato via le risorse e la conseguenza la vediamo oggi sotto forma di un flusso inverso di persone che da quei Paesi scappano, migrano, si spostano e vengono qui. È un cerchio in cui siamo tutti collegati.»
Così rispondeva Cecilia Strada intervistata da Giulio Cavalli su Left del 23 dicembre 2017.
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«Oggi sappiamo – scriveva Albert Camus su Combat il 26 novembre 1946 – che non ci sono più isole e che i confini sono effimeri. Sappiamo che in un mondo in accelerazione costante, nel quale si attraversa l’Atlantico in meno di un giorno, in cui Mosca parla con Washington in poche ore, siamo condannati alla solidarietà o, a seconda dei casi, alla complicità.»
Teniamo ben presente quel «cerchio in cui siamo tutti collegati», che riecheggia anche nella voce inascoltata di Camus, e immaginiamo ogni aspetto della realtà come un cerchio che gira attorno a tutti noi come fosse un hula hoop: l’operaio che produce armi in Sardegna perderà il suo posto di lavoro se un imprenditore senza scrupoli etici deciderà che è più semplice, crea meno problemi sindacali ed è più redditizio sfruttare un giovane extracomunitario che è scappato dalla Nigeria perché quell’operaio sardo per vivere ha prodotto quelle armi che sono servite a rendere invivibile il luogo da cui è fuggito il ragazzo nigeriano… siamo all’assurdo. Siamo all’interno dell’assurdo «cerchio in cui siamo tutti collegati».
Inoltre i pregiudizi culturali che parlano di una aggressività costituzionale al genere umano, costringono la mente in camere stagne che non comunicano tra loro impedendo di intuire il «cerchio in cui siamo tutti collegati» in quanto tutti appartenenti al genere umano. Ma questo aspetto umano lo approfondirò in un articolo a parte.
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La guerra ieri e oggi
«Non è un caso che l’età del trionfo del libero mercato, spinto all’estremo, l’età del neoliberismo, la guerra diventi la forma (disumana) attuale della convivenza umana» scrive Angelo D’Orsi nel suo saggio Catastrofe neoliberista- Il regime che ha devastato le nostre vite. (*)
Certamente la guerra, in ogni sua forma, da sempre, è parte del disegno imperiale dei “potenti”, che la utilizzano per massimizzare potere e denaro.
L’industria bellica incentiva un’economia militarizzata per aumentare la produzione di armamenti di ogni tipo. Economia militarizzata che, oltre a produrre morte e distruzione, distrugge l’ambiente il quale, è il caso di non dimenticarsene mai, consente agli esseri umani di sopravvivere: «(…) il capitalismo ha bisogno di nemici. È il capitalismo militare, la cui forza economica sta essenzialmente nell’industria militare e nella finanza, e i nemici sono indispensabili per alimentare quella industria e soddisfare gli interessi di gruppi sociali alle loro spalle. (…) è una specie di loop senza via d’uscita (…) si va alla ricerca di scenari geopolitici da cambiare stabilizzare o destabilizzare» (*) E intanto si discute animatamente e inutilmente «sulla bipartizione elementare buoni/cattivi, eroi/canaglie, Oriente/Occidente, in un pensiero rozzamente binario che oggi è tristemente in azione» (*) vedi ciò che accade in Ucraina e Palestina.
Le grandi imprese immobiliari aspettano che le guerre finiscano per ricostruire ciò che le armi hanno distrutto.
Esempio ne è il Piano Gaza Riviera, ovvero il progetto che circola alla Casa Bianca per la gestione della Striscia di Gaza dopo che le truppe di Israele avranno concluso la “soluzione finale” ovvero il genocidio e la deportazione in campi di concentramento dei palestinesi. Un progetto che prevede la colonizzazione dell’enclave palestinese, la sua gestione da parte degli Stati Uniti per 10 anni, la deportazione della popolazione gazawa e una ricostruzione degli edifici distrutti per farne un centro direzionale tecnologico e unpolo turistico affacciato sul Mediterraneo. La stolida determinazione del presidente americano per la ricostruzione civile di Gaza” fa pensare a quella “banalità del male” di cui parlava Hanna Arendt. Se fosse vissuto 80 anni fa Trump avrebbe definito il rastrellamento e la distruzione del ghetto di Varsavia “riqualificazione urbanistica di quartieri fatiscenti ad opera di una Germania modernizzatrice”.
La pianificazione finanziaria è stata curata da un team che in precedenza ha lavorato per la società di consulenza Boston Consulting Group. Il progetto Gaza Riviera include la deportazione degli oltre 2 milioni abitanti della Striscia. Nel piano si fa riferimento a “trasferimenti temporanei” e a “partenze volontarie” dirette verso altri Paesi del Medioriente o in zone delimitate durante i cantieri di costruzione del nuovo centro direzionale. Il piano prevede anche un risarcimento di 5mila dollari in contanti e sussidi per ogni palestinese che accetti di abbandonare la Striscia. Una miseria con la quale dovrebbe coprire quattro anni di affitto altrove prima della conclusione dei lavori… altrove, ma dove?
A rivelarlo è il Washington Post. Il quotidiano statunitense è entrato in possesso di una copia del progetto che sta circolando ai piani alti della Casa Bianca. Di fatto, un progetto che mette nero su bianco quello che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, aveva affidato a un video realizzato con l’intelligenza artificiale in cui si mostrava la Striscia di Gaza trasformata in un paradiso turistico.
Come ben sappiamo (2) queste ricostruzioni sono finanziate dalle banche mondiali, FMI, Banca Mondiale, Bank of America, China Construction Bank, eccetera che ovviamente non sono enti benefici ma come tutte le banche prestano denaro a strozzo. In questo modo il denaro prestato diverrà “debito pubblico” che servirà a tenere in pugno il popolo debitore.
Alle guerre per le conquiste e le riconquiste geopolitiche dei territori si sono aggiunti il land grabbing (accaparramento di terra e acqua), le guerre per l’accaparramento delle ricchezze del sottosuolo come i materiali rari: «(…) cobalto, litio, cadmio, manganese, zinco, diverranno più importanti di petrolio e gas.» (*) e le potenze economiche che se ne vogliono impossessare spingeranno popoli interi a dilaniarsi reciprocamente o a dilaniare i paesi terzi che tali materie possiedono. Questi conflitti oggi vanno per la maggiore perché gestiti direttamente dalle agenzie che si occupano di affari sporchi per conto delle corporation internazionali.
L’Atlante delle guerre di questi ultimi decenni ha dimostrato che il mandante primario è per la conquista delle risorse energetiche. E la guerra tra Russia e America, di cui si è fatto carico Zelensky, non è in atto per la difesa dell’“Occidente democratico” e per la sua cultura, ma è un conflitto tra due potentati neoliberisti in guerra per i territori e le loro risorse energetiche. Ricordiamo il discorso di Trump sulla restituzione dei miliardi dati dall’America all’Ucraina, in cui chiedeva lo sfruttamento dei territori in cui giacciono le “terre rare”.
Non dimentichiamo mai che le guerre a cui stiamo assistendo è il frutto di un liberismo estremo, feroce, senza regole che non siano quelle legittimate dai gestori del libero mercato. Parlo di una “democratura” ovvero una forma politica dittatoriale i cui cardini istituzionali, manovrati dal potere economico, sostengono una post-democrazia, ossia un sistema che appare democratico nelle forme esteriori, nelle sue ritualità, ma che è stato svuotato dei contenuti democratici e civili… e questo sistema vige in nome di ciò che chiamano sviluppo economico e progresso… ma «ciò che chiamiamo progresso è tempesta» (*)
E il sintomo di questa tempesta bellica, che già sta lambendo i nostri territori in termini politici, sociali e economici, ha una causa: il neoliberismo senza più freni.
Per quanto riguarda i conflitti senza limiti etici, si scelgono eufemismi che mitigano i contenuti reali. Parole come guerra ibrida, operazione militare speciale, guerra preventiva, per procura, danno collaterale, esportazione della democrazia, bombe intelligenti, servono per dare un alibi all’orrore. Le inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein, sono state usate per “esportare la democrazia”, incarnata, secondo la propaganda, nel modello americano. Si sono inventati anche il termine “guerra umanitaria”, «che nasconde interessi inconfessabili, a carattere economico e geopolitico. (…) Nacque l’espressione “guerra umanitaria” cioè si applicò a quella guerra (del Kosovo), un aggettivo “umanitaria”, che si aggiunse quindi ad altri due “etica e altruistica”» (*)
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Questa è logica bellicistica a causa della quale in Italia verrà ulteriormente tagliato il welfare sociale. Il che significa che il denaro che dovrebbe essere utilizzato per i beni, i servizi e gli interventi volti a migliorare il benessere dei cittadini, andrà ad aziende private americane e italiche che producono armi per le guerre da loro stesse create e alimentate.
Si perché la guerra è un fatto essenzialmente privato e privatizzato: i famosi Marò, assurti al rango di eroi nazionali, erano a guardia a una nave privata quando spararono uccidendo due inermi pescatori indiani. (3)
Le guerre sono un affare privato gestito da oligarchi privati che utilizzano, grazie alla magnanimità dei governi, sia uomini obbligati a fare la guerra, sia mercenari come il Gruppo Wagner la compagnia militare privata russa fondata da Evgenji Prigožin, morto “accidentalmente” in un incidente aereo: «l’impiego di contractors agli ordini delle agenzie, fanno parte delle nuove modalità della guerra (e della stessa politica estera), all’insegna del privateering della privatizzazione della guerra, che si affacciano prepotentemente sulla scena internazionale. Le agenzie stanno sostituendo i comandi ufficiali delle pubbliche istituzioni, civili e militari.» (*)
Come già accennato i conflitti, creati in modalità silente dal colonialismo economico globale, creano fenomeni migratori. E ai migranti vengono addebitati tutti i mali del mondo in maniera funzionale alla propaganda insensata dei politici senza scrupoli, anche se servono per la manodopera schiavizzata dei nuovi latifondisti che ora portano i nomi delle grandi catene alimentari e dei mega supermercati. Anche questo è un pezzo di quel “cerchio a cui siamo tutti collegati”.
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(1)«Il fenomeno religioso è atemporale e universale in quanto si innesta, alla nascita, in una dinamica psichica che il filosofo tedesco Feuerbach definì alienazione religiosa. Dinamica che non si evidenzia solo nelle religioni propriamente dette ma in tutte quelle manifestazioni del pensiero – per esempio nelle ideologie dogmatiche – in cui il pensiero critico viene annullato per far posto alla credenza.» Gian Carlo Zanon, ALIENAZIONE RELIGIOSA – i buchi neri dell’Essere e il vortice del Nulla”. https://www.libreriauniversitaria.it/alienazione-religiosa-buchi-neri-essere/libro/9788897730712
(*) Angelo D’Orsi, Catastrofe neoliberista- Il regime che ha devastato le nostre vite.
(2)http://www.igiornielenotti.it/john-perkins-venezuela-sicari-e-sciacalli/ – https://www.agoravox.it/La-breve-storia-segreta-dell.html
(3) http://www.igiornielenotti.it/dettagli-gli-omicidi-di-valentine-jalstine-e-ajesh-binki/
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Questo è il secondo di una serie di articoli che intendo scrivere sullo stato delle cose della società mondiale – dal punto di vista sociale, economico e ambientale – in cui l’ideologia neoliberista è diventata egemonica. Gli altri capitoli seguiranno con una cadenza settimanale.
Leggi qui il primo capitolo http://www.igiornielenotti.it/cannibali-la-distopia-neoliberista-primo-capitolo/
3 settembre 2025