• Archetipi letterari e leggende culturali – … il complesso di Edipo ? … un falso

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     di Gian Carlo Zanon

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    Nonostante il ‘68 e il femminismo,  il paradigma della cosiddetta ‘civiltà’ occidentale sembra essere ancora il patriarcato che ha le sue fondamenta nell’identificazione del figlio maschio con il padre. I nostri intellettuali non se ne sono accorti, ma questo millenario modello di società venne ricodificato e riproposto da Sigmund Freud nei primi anni del ‘900 con quella ‘cosa’  che la vulgata chiama ‘il complesso edipico’.

    Anche se ormai da trent’anni le cosiddette teorie freudiane, a causa di molte pubblicazioni critiche – tra cui Assalto alla verità. La rinuncia di Freud alla teoria della seduzione di Jeffrey MassonIl libro nero della psicanalisi scritto da quaranta autori internazionali  e curato da Catherine Meyer; Crépuscule d’une idole’ di Michel Onfray –  fanno acqua da tutte le parti, rimangono comunque nella nostra cultura molte scorie di credenza freudiana che ha sempre legittimato uno status quo fondato su questa pseudo idea dell’identificazione del figlio con il padre.

    Nonostante la frana del freudismo che ha sgomberato la cultura dall’oscena leggenda di Freud “scopritore dell’inconscio”, i suoi epigoni continuano imperterriti ad adorarlo come fosse un totem riproponendo il “complesso di Edipo”. L’onestà intellettuale non ha mai trovato terreno fertile tra i cultori della psicanalisi. Vedi sulle pagine di Segnalazioni, (http://segnalazioni.blogspot.it/ del 12 ottobre) le ultime gesta di Stefano Carta membro dell’Associazione Internazionale di Psicologia Analitica (IAAP) e di quella italiana (AIPA), che fanno capo al ‘pensiero’ di C.G. Jung.

    Digressione:

    Jung, che non ha mai nascosto la sua ammirazione per il nazismo, negli anni trenta scrisse questa frase mai smentita: «L’inconscio ariano dispone di un potenziale più elevato di quello ebraico, il che costituisce al tempo stesso il vantaggio e lo svantaggio di una giovane età che non si è ancora completamente staccata dall’elemento barbarico». Nel 1930 Jung fu nominato presidente onorario della Associazione tedesca di psicoterapia. Con l’avvento del nazismo, nel 1934  questa Associazione, cui in precedenza aderivano parecchi psicoterapeuti ebrei, fu sciolta e ne fu creata dai nazisti un’altra, con Jung presidente. Fu redattore capo della rivista Zentralblatt fur Psychotherapie, un periodico di matrice nazista internazionale con il professor Göring, cugino di Hermann Göring e delfino di Adolf Hitler.

    Come dicevo, nonostante lo svelamento della verità su questi pensieri criminali che sono a fondamento della psicanalisi freudiana e junghiana, gli adepti continuano con i loro deliri di onnipotenza a disturbare la ricerca sulla realtà umana.

     

    Però per essere più precisi e per approfondire la ricerca riportiamo quanto disse la psichiatra Francesca Padrevecchi in una intervista rilasciatami due anni fa:

    «Intanto va subito precisato che “ad onor del vero”,  più che riferirsi ad Onfray bisogna tenere a mente che dagli anni ‘60 una critica serrata al pensiero freudiano è stata condotta in Italia dal prof. Massimo Fagioli che, nel noto libro Istinto di morte e conoscenza e negli altri suoi numerosi scritti, oltre a smascherare le bugie sulla realtà umana che si leggevano nei libri di Freud, e su cui si basa la cultura occidentale, ha proposto un pensiero nuovo sulla realtà dell’uomo.

    Secondo una certa parte della cultura che si è appoggiata alle idee di Freud, è necessario appunto un codice comportamentale, per frenare la violenza che sarebbe insita in ognuno di noi. Per cui, secondo questa cultura, in assenza di un codice etico e morale, saremmo tutti potenziali assassini.

    Come ricordavate, secondo Freud, nell’uomo con lo sviluppo avverrebbe la costituzione dell’Ideale dell’Io o Super-Io, cioè di quella istanza che corrisponderebbe alla “voce della coscienza”, alla censura morale. Tale istanza si formerebbe, come scrive ne “L’Io e l’Es” (1923): dalla “prima e più importante identificazione dell’individuo, quella col padre della propria personale preistoria”“mediante la costituzione di tale ideale, l’Io è riuscito a padroneggiare il complesso edipico”. Complesso edipico di cui parla ne  L’interpretazione dei sogni (1899) scrivendo: “(…) a noi tutti era dato in sorte di rivolgere il primo impulso sessuale alla madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza contro il padre (…). Il re Edipo, che ha ucciso suo padre Laio e sposato sua madre Giocasta, è soltanto l’appagamento di un desiderio della nostra infanzia”

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    Alla base di questo, che bonariamente potremmo definire “difetto di pensiero”, di Freud,  c’è la distorsione del mito di Edipo che viene raccontato e/o rappresentato, già da Sofocle, in modo parziale, alterandone in questo modo la verità più profonda. Persino il titolo con cui viene tradotta la tragedia sofoclea nasconde la verità: Edipo tiranno viene tradotto sempre (tranne che da Friedrich Hölderlin)  con Edipo Re.

    Il termine tiranno  non ebbe all’origine il significato che oggi gli diamo. La tirannide fu una forma particolare di governo ed indicava un nuovo tipo di potere che sfuggiva alle normali definizioni gerarchiche. Nella Grecia arcaica, il tiranno è un ‘rivoluzionario’ che mira ad una trasformazione della struttura di governo della polìs che aveva le sue basi sul potere dinastico di un génos, vale a dire di una famiglia, di una stirpe.

    Ma andiamo per ordine scoprendo il mito dei Lambacidi, la stirpe di Edipo, e le sue contiguità storiche dalle quali la narrazione trova nutrimento restituendole senso.

     Il mito completo

     

    Crisippo, secondo il mito tebano,  è il figlio illegittimo  di Pelope e della ninfa Astioche. Il ragazzo abitava nella reggia del padre quando venne invitato come ospite, esule da Tebe, Laio. Questi, non appena vide Crisippo, fu preso da una violenta ‘passione’; (‘passione’ che oggi potremmo chiamare compulsione pedofila) lo rapì e lo violentò. Per la vergogna, l’adolescente, si tolse la vita.

    La vendetta di Pelope fu terribile: egli maledisse Laio affinché non avesse figli o se  avesse generato un figlio questi lo avrebbe ucciso.

    Da quel momento il miasma,per l’orrendo crimine commesso, secondo la credenza arcaica,  avrebbe contaminato per sempre Laio e la sua stirpe.

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    La pitzia delfica

    Laio si recò all’oracolo di Delfi per chiedere aiuto, e la Pitzia gli raccomandò di non avere figli dalla sua consorte o il figlio l’avrebbe ucciso ed avrebbe giaciuto con la moglie: Giocasta. Da quel giorno Laio ebbe con la moglie solo rapporti “ contro natura” ma una notte, mentre Laio era in preda all’ebbrezza, i due concepirono un figlio. Quando il neonato venne alla luce Laio gli forò i piedi per fare in modo che non potesse tornare dall’Ade (il regno dell’invisibile) , a tormentarlo.

    Dopo aver ferito il neonato lo fece portare sul monte Citerone  per essere divorato dagli animali selvatici. Qui fu trovato da un pastore che gli diede il nome di Edipo (oidipous significa, infatti, piedi gonfi) che lo portò a Corinto dove fu adottato da Polibo e Peribea, sovrani della città, che lo crebbero come fosse loro figlio.

    Divenuto adolescente Edipo fu insultato da un compagno, “sei un figlio della fortuna”, che equivaleva a “sei un figlio illegittimo”. A quel punto il giovane volle conoscere la verità sulla sua origine. Fu così che anch’egli si rivolse alla Pitzia delfica la quale in modo sibillino gli disse di non tornare nella casa dov’era nato; se lo avesse fatto, tyke (il destino), lo avrebbe costretto ad uccidere il padre e a giacere con la madre. Credendo ancora che Polibo e Peribea fossero i suoi veri genitori, si diresse nella direzione opposta a Corinto. Ma, narra i mito, il fato al quale voleva sfuggire lo portò tragicamente ad un incrocio di tre strade dove incontrò Laio (il padre) diretto a Delfi per interrogare l’oracolo dopo aver avuto un presagio: il figlio stava tornando per ucciderlo.

    Con la solita tracotanza, che era la sua caratteristica principale, Laio,  non voleva lasciare il passo a quel viandante sconosciuto, fu così che, vigliaccamente, lo ferì al viso con uno staffile affilato. Edipo pieno di rabbia uccise lui e la sua scorta.

    Edipo a Giocasta:

    “Donna, voglio svelarti tutto. Io, semplice pedone, ero ormai al triangolo di strade, che sappiamo. Là mi venivano incontro l’attendente e, dritto sul carro a cavalli, quell’uomo. L’uomo delle tue parole. Quello alla guida e l’altro, il vecchio, proprio lui, volevano investirmi, farmi rotolare fuori dalla strada. Io mi tendo. Picchio sull’uomo delle redini: lui, mi vuole fuori strada. Anche il vecchio adocchia, mi spia che sfioro la fiancata e, dall’alto, mi grandina doppia scudisciata in piena faccia. Pagò caro quell’infamia, certo. Un attimo: gli piombò addosso la mia mazza. Fu questa mano, guarda. Lui si spezza. S’affloscia, scivola dal fianco del suo carro. Ammazzo tutti. Se un nodo, un qualunque nodo, esiste tra quel viaggiatore e Laio, chi è disperato più di Edipo?”

     

    Oedipus Tirannos : Sofocle

    Proseguendo il suo cammino Edipo giunge nei pressi di Tebe, la città dov’egli è nato, e qui incontra, la figura strana e terribile della Sfinge, un mostro con la testa di donna e il corpo di leone, che teneva sotto scacco la città con la pestilenza condizionata alla soluzione di un enigma: “Qual’è quell’animale che al mattino cammina su quattro zampe, a mezzogiorno su due e alla sera con tre?”. La sua soluzione avrebbe sciolto la città dalla morsa del male, ma chi non riusciva a risolverlo veniva divorato dal mostro e ai suoi piedi si ammassavano numerosi i cadaveri di quelli che avevano voluto provare.

    Edipo coraggiosamente rispose: “Quell’animale è l’uomo!”. La Sfinge, sconfitta, si dette la morte gettandosi da una rupe.

    Liberata Tebe dall’epidemia mortale, egli fu accolto con tutti gli onori ed in seguito, dato che il trono era vacante, divenne lo sposo della regina Giocasta, sua madre. Giocasta ebbe quattro figli da Edipo. Passati presumibilmente una decina d’anni (il tempo non è fondamentale nel mito) una nuova pestilenza si abbattè su Tebe. Creonte, il fratello di Giocasta, inviato a Delfi per interrogare la Pitzia sui motivi del male che aveva invaso la città, tornò con il responso: “la peste finirà quando il colpevole della morte di Laio verrà trovato e cacciato dalla città”.

    CREONTE : Caccia all’uomo. A riscatto di morte, morte. Sangue d’allora gela Tebe.

    EDIPO : Chi è, che uomo, di chi addita il caso?

    CREONTE :Noi avevamo, principe, Laio capo della terra a quell’epoca, prima del tuo pilotare Tebe.

    EDIPO : Lo sentii dire: in faccia non l’ho visto mai.

    CREONTE : Lui, lui è l’ucciso. Oggi l’ordine splende: farla scontare, coi colpi, ai datori di morte. Non

     importa chi.

    EDIPO : E in che punto sono? Dove si scoverà la pista del crimine d’allora? Aspro, decifrare.

    CREONTE : Qui, esclamava, in Tebe. Cosa braccata può diventare preda;

     Oedipus Tirannos : Sofocle

     

     

    Come tutti sanno, quando Edipo scoprirà di essere figlio di colui che ha assassinato, e quindi di essere parricida e incestuoso, si accecherà trafiggendosi entrambi gli occhi. La madre Giocasta si suiciderà impiccandosi.

    E questo è il mito.

    Da questo mito Sofocle attingerà per la sua famosa tragedia Οιδίπoυς τύραννoς , (Oidípus týrannos) che fu rappresentata tra il 430 e il 420 a. C..

    Come ho già accennato Sofocle, censurando quelle parti del mito che potevano non essere gradite alla morale patriarcale dell’Atene periclea, altera la verità su Edipo. E così non vi è il minimo accenno al motivo della maledizione che grava sulla dinastia dei Lambacidi causata dalla violenta pederastia di Laio; come non appare certamente il tema del matriarcato, per la verità solo accennato, anche nel mito. Nella polis ateniese non si poteva certo pensare che ci fu un tempo in cui le donne “anomalia della specie umana”  avessero governato.

    La morale catartica della tragedia sofoclea era basata soprattutto sulla colpa del parricida che doveva scontare anche la propria hýbris, cioè il smisurato orgoglio, che lo aveva spinto a tentare di sfuggire al proprio destino.

    Per SofocleEdipo è un uomo maledetto e deve espiare.  Anche se egli aveva fatto tutto il possibile per sfuggire alla profezia che lo voleva parricida e incestuoso, ciò non era servito a nulla. La tragedia presenta insomma un’etica basata non sull’intenzionalità cosciente di Edipo, ma sulla cecità del fato e sull’inesorabilità del castigo, che colpisce il lambacide a prescindere dal fatto che questi abbia o meno una vera responsabilità

    Anche se di fatto nessuna divinità interviene nella rappresentazione, Sofocle, senza rendersene conto, prepara la strada al deus ex machina euripideo o se vogliamo all’intervento di Apollo (di cui parleremo nel prossimo articolo) nell’Orestea di Eschilo.

    Molto pericolosamente per l’etica sociale, Sofocle sviluppa il tema del conflitto tra predestinazione e libertà, tra volontà divina e responsabilità individuale. E questo assunto metafisico sarà devastante per il pensiero filosofico a venire: un pensiero che legittima il non essere e che finirà fatalmente nelle braccia del monoteismo. In questo modo l’essere umano, che aliena la propria realtà umana in una divinità, perde la propria responsabilità individuale più profonda, quella che ci deve rendere responsabili anche dei nostri sogni.

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    Storia trasformata  in mito

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    Come sappiamo il mito attinge poeticamente dalla storia: vale a dire che la ricrea. Naturalmente la stessa sorte è toccata al mito di Edipo.

    Nei regni arcaici matriarcali, prima delle ultime invasioni doriche, il  farmacòs era  il viandante apolide che, se di gradimento della regina, si univa a lei, e per un anno regnava al suo fianco, apportando nuove conoscenze e quindi rivitalizzando la comunità anche dal punto di vista genetico: “La regina si sceglieva un amante per soddisfare il suo piacere. Gli uomini la temevano e le obbedivano; il focolare che ella alimentava in una grotta o in una capanna fu il loro primo centro sociale e la maternità il loro primo mistero.” Graves  – I Miti greci – Longanesi 1983.

    Al termine stabilito lo straniero veniva cacciato violentemente dalla comunità. – farmacòs significa anche “vittima sacrificale”  (vedi dizionario Greco-Italiano Rocci) -. Il termine greco ha infatti due accezioni, una negativa e una positiva:  farmacòs è colui che porta beneficio alle città-stato per le nuove conoscenze che può apportare e per la sua carica vitale,  ma è anche colui che dopo un anno, se si appropriasse del potere, perderebbe questa positività e quindi deve essere allontanato prima che possa divenire pericoloso per la comunità. La tragedia sofoclea che mette in scena il mito di Edipo, mostra al di sotto del primo piano di lettura, queste consuetudini arcaiche ormai scomparse da tempo in Grecia ma rimaste sempre nei canti degli aedi: Edipo giunge a Tebe da straniero, salva la città dalla Sfinge, quindi ‘guarisce’ la comunità dalla peste; poi, anziché andarsene dopo l’anno lunare, costringe la regina-madre (che dopo la morte di Laio aveva ripristinato il matriarcato) ad un ruolo subalterno e quindi si identifica con il padre ucciso trasformandosi in basileús (re) di una monarchia patriarcale. E ritorna la peste. Trasgredendo alle regole sociali matriarcali, Edipo,  diviene miasma, contaminazione, veleno mortale e viene cacciato dalla città. (J. J. Bachofen, Mutterrecht)

    Il suo scoprirsi figlio del defunto re Laio è la beffa finale: egli credeva di essere uno straniero divenuto farmacòs di Tebe, ma essendo, come suo padre, della stirpe dei Lambacidi egli non è Tirannos ma Basileus per discendenza dinastica.

    Ed è questa la colpa di Edipo: l’identificazione con un padre violento.

    Le omissioni di Freud sono le stesse di Sofocle ma il suo giudizio su Edipo è molto più fuorviante perché mostra un Edipo “colpevole di non essersi identificato con il padre”. Per questa sua ‘colpa’, secondo Freud, diviene parricida ed incestuoso. Non contento il pseudo scopritore dell’inconscio crea ex nihilo la figura di un Laio padre esemplare che ha avuto in sorte un “bambino polimorfo perverso” il quale, che cattivo, non ha voluto identificarsi con lui divenendo così “un Edipo”. Secondo il medico viennese, che si è reso responsabile di ignobili inganni, tenuti nascosti da ormai quasi cent’anni dai suoi epigoni, Edipo doveva identificarsi con il padre divenendo come lui un violento pederasta e un infanticida. Edipo doveva diventare Laio, perpetuando una cultura patriarcale che violenta i bambini uccidendoli psichicamente e annulla le donne … la cultura pedofila inaugurata da Platone e continuata da Sartre, da Foucault, da Pasolini …

    Tra gli intellettuali italiani solo Pavese aveva intuito il vero ‘destino’ di Edipo: egli doveva realizzare il ‘fato’ inscritto nella propria realtà umana: rimanere un povero viandante “scioglitore di enigmi”. C. PaveseDialoghi con Leucò.

    11 gennaio 2013

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