• Memorie di un viaggio – El soroche

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    Adriano Meis

     

    “Ricordo Feuerbach, ed una frase  che mi è rimasta fissata nella mente:«Non è Dio che crea l’uomo, ma è l’uomo che crea Dio». Non riuscivo a comprendere perché avesse pensato quelle parole ma so, con certezza che poi, ho teorizzato la fantasia di sparizione alla nascita ed ho pensato che nel neonato, il mondo viene “creduto”  inesistente; l’essere umano fa il nulla intorno a sé, l’opposto assoluto del suo umano esistente e la sua identità è soltanto rapporto interumano che lo fa vivere, e sviluppa il pensiero. Il rapporto con la natura viene dopo, quando diventato autosufficiente, si separa dalla madre.”

    Massimo Fagioli (left n. 24 13 giugno 2008)

     

    Entro nel museo di vicino museo etnografico di Hollantaytambo. Questo sincretismo religioso degli andini mi intriga assai. Nella prima sala del museo trovo immagini fotografiche di sacrifici rituali eseguiti ancor oggi dagli stregoni locali: i famosi hechiceros. Nonostante un cattolicesimo apparentemente onnipresente i riti animistici sono pratica quotidiana. I contadini ‘rendono’ alla natura granaglie, animali da cortile, attrezzi da lavoro come falci o aratri. Il sacrificio è ‘riparativo’ spiegano le iscrizioni poste a lato delle foto. Serve a reintegrare alla natura ciò che contadini hanno ‘rubato’; gli andini di queste zone ritenevano e ritengono, che ogni volta che si prende qualcosa alla natura essa venga ‘offesa’. Naturalmente anche in questa religione, a cavallo tra animismo e politeismo, le divinità della terra e del cielo sono immaginate e rappresentate in forma antropomomorfa: Pachamama la Madre terra; Huari divinità dell’acqua e dell’aria; Punchao il sole, creatore della luce e generatore di vita.

    Gli andini, come i guerrieri achei, credono di placare l’ira degli dei generata dalla loro ybris, la tracotanza che li ha spinti a violentare Madre terra: Demetra  per i greci, Pachamama per gli andini.

     

    Il pensiero va all’anno scorso, quando all’interno delle yurta, le accoglienti tende degli altipiani mongoli, ho guardato Mao e Gengis Khan campeggiare alle pareti sbattute dal vento. Erano posti li come iconostasi ad evocare le radici antiche ed attuali della loro identità.

     

    Nelle cittadine andine sopra i cruscotti dei taxi, accanto all’alberello deodorante, dondolano  le immagine ieratiche e per la verità un po’ kitsch, di varie icone del redentore cristiano inchiodato alla croce. È questa la loro identità? Difficile comprendere come possano coesistere queste arcaiche religioni animistiche con il cristianesimo. Come assurdamente possano, nello stesso tempo, aderire al culto delle immagini dei santi martiri, fare sacrifici alle divinità telluriche ed innalzare statue colossali ai loro antichi condottieri, che lottarono contro la violenza dei Conquistadores e che ora si ergono fieri nelle piazze delle città a ricordare un passato eroico: Atahualpa, Tupac Amaru, Manco Inca.

     

     Difficile capire. Tornato all’albergo la trovo come rinata dal soroche che le aveva rovinato due giorni di vacanza. Le racconto quello che ho visto e pensato, e Lei: «La religione, soprattutto quella cristiana, non dà identità, la nega, la annichilisce. È sempre l’eroe e non il martire che da un’identità al popolo. »  Ma che ha mangiato? Un libro di antropologia?

    Lei ha continuato come un treno in corsa: «La risposta a queste domande può darla un dato che ricorre frequentemente: il paganesimo resiste alle istituzioni monoteistiche per molto più tempo lontano dei centri del potere centralizzato. Come ben saprai  –  chi io? –  il pagus è  il campo, il villaggio, cioè quella società di umani intrecciata con la natura con cui i contadini hanno un “patto ancestrale”, si potrebbe dire “fisico”, che consente loro di non rinunciare mai fino in fondo alla fusione tra mente e corpo. In questo milieu il dogma monoteista non può placare una fiorente fantasia che è la prima, arcaica, reazione all’imponderabile».

    «Che significa “reazione all’imponderabile”?»

     

    «Ma è semplice! Ne abbiamo già parlato: quando l’essere umano si trova di fronte a qualcosa di sconosciuto, reagisce culturalmente cercando di integrare il nuovo nel suo immaginario preesistente. Nella società animistica i fenomeni della natura sono generati da una molteplicità quasi infinita di divinità».

     

    Ho fatto finta di capire … la prossima volta parto con una cassiera … magari quella del bar qui sotto …

     

    Lei intanto era partita in quarta, sarà stato per gli infusi a base di foglie di coca

     

     

    «Una sia pur pervasiva e violenta religione ufficiale, imposta con la forza come fecero i cristiani, non riesce ad annichilire le credenze negli spiriti della natura; queste permangono sotterranee perché l’animismo è l’unico strumento mitico-conoscitivo attraverso il quale gli essere umani, che vivono in stretto contatto con il mondo naturale, possono relazionarsi ad esso. L’uomo arcaico che “diventa essere umano” a causa della comparsa, in mancanza di percezione, delle immagini nella mente, si adatta sempre meno alla realtà naturale e la trasforma immaginando qualcosa che non è natura in senso stretto».

     

    Poi è uscita «ti vedo stanco, beh vado a comprare qualcosa per la mia casetta, ho visto dei tappeti che sono un amore».

     

    Cari amici della redazione, appena la porta si è chiusa alle sue spalle, mi sono precipitato sullo zaino ed ho estratto come fosse una pozione magica il libro che mi ha regalato Salvo prima di partire: L’essenza della religione di  Feuerbach. Volevo la rivincita e a cena avrei tirato fuori tutta la mia sapienza. Ecco si avrei cominciato così «Ho pensato a quello che mi hai detto oggi. Hai ragione, molti studi sul fenomeno religioso affermano che “aggredendo” la natura, sempre temuta e quindi divinizzata, l’essere umano paga la sua ribellione offrendo agli dei parte del raccolto o della caccia.  –  Poi avrei citato  Feuerbach:  – “Per tacitare, quindi, la propria coscienza e l’oggetto che immagina di aver offeso, per mostrargli che l’ha derubato per necessità e non per tracotanza, egli diminuisce il suo godimento, restituisce all’oggetto qualcosa di ciò che gli apparteneva e che gli ha tolto(…) Il fondamento del sacrificio è il senso di dipendenza – la paura, il dubbio, l’incertezza del successo, del futuro , il rimorso per una colpa commessa” ».

     

    Avrei fatto un figurone ho pensato … avrei fatto un figurone se lei appena ho attaccato col pippone sulla religione non mi avesse detto «Ti preeeeego, mi sta tornando il cerchio alla testa, ‘sto cazzo di soroche mi sta rovinando la vacanza».

     

    A chi lo dici, son giorni che non si batte un chiodo … e fan culo anche a Feuerbach. Per fortuna che domani si parte per Machu Picchu, così almeno sublimiamo.

     

    2 agosto 2012

     

    Continua …

     

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