• Enciclopedia del Crimine – Bonny and Clyde – L’epilogo

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     a cura di Giovanni Dupin

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    Con questo lungo articolo di John Mèrionés Shawi che narra, tra mito e realtà, la storia della più famosa coppia di criminali che sia mai esistita,incontrato negli archivi di una inverosimile quanto reale “Enciclopedia del crimine”, con un notevole sforzo di trascrizione, da parte delle redazione, dei testi rosi dai tarli, I giorni e le notti, inizia la pubblicazione di articoli che trattano di criminalità.

     

    Questo non per oscure pulsioni inconsce, ma per scandagliare i pensieri che precedono il delitto. Porteremo su queste pagine serial killer famosi come Landru l’uccisore di molte donne e la Cianciulli che “saponificava” le sue vittime; parleremo anche della criminalità organizzata: come nasce e come si sviluppa; e poi dei famosi criminali sui quali si sono fatti decine di film come Jesse James o lo Jack lo squartatore.

     

    Il motivo? Per dimostrare se ce ne fosse bisogno, che il criminale è sempre un malato di mente anche se ha un comportamento sociale ineccepibile.

     

    Le sottolineature che troverete sono mie e stanno a significare un disaccordo con alcune forzature interpretative dell’autore. Invece i neretti per far notare i passaggi in cui si può intravedere come la malattia mentale si nasconde in piccoli e quasi invisibili tic rivelatori.

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    Bonnie Parker e Clyde Barrow

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     Bonnie Parker e Clyde Barrow

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    di John Mèrionés Shawi

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    Un rifugio sicuro

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    Alla fine di luglio, gli agenti speciali dell’FBI avevano la situazione in pugno. La cattura dei tre fuggiaschi sembrava questione di giorni. Ma all’inizio di ottobre, dopo almeno una dozzina d’imboscate fallite, la polizia dovette ammettere che bisognava ricominciare tutto da capo. la banda aveva riconquistato la libertà di movimenti che aveva un anno prima.

    Fu in quel periodo che Jones decise di tagliare la corda. Riuscì a eludere la sorveglianza dei suoi compagni-amanti-carnefici, e ritornò nel Texas, dove si nascose. Un mese dopo, a Houston, nel corso di una retata, venne preso dalla polizia. Una volta dentro, la prigione gli sembrò un’oasi di pace, un rifugio sicuro; e supplicò il tribunale di condannarlo all’ergastolo.

     

    Fu allora che scrisse un memoriale allucinante che evocava lo stato di schiavitù nel quale lo avevano costretto per dieci mesi. Ormai soli, Bonnie e Clyde ridussero il ritmo delle loro aggressioni.

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     Un giorno, di mattina presto

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    Gennaio 1934. Erano appena due anni che Clyde era uscito di prigione, un anno che Bonnie partecipava attivamente ai colpi, e sei mesi che Buck era morto. Dopo la defezione e l’arresto di Jones, la coppia cercò un altro partner. Per questa ragione ritornarono nel Texas, il solo Stato dove conoscessero l’ambiente dei giovani teppisti. Clyde vi incontrò una sua vecchia conoscenza, un detenuto appena rimesso in libertà dalla fattoria-penitenziario di Eastham, nel Texas. Un luogo di pena che Clyde non aveva dimenticato: proprio là si era tagliato due dita del piede per non essere più costretto a lavorare.

     

    Con il nuovo complice, Bonnie e Clyde prepararono un colpo che non doveva passare inosservato. Clyde sperava in questo modo che nessun giornalista avrebbe più osato tacciarlo di vigliaccheria. Un giorno, di mattina presto, quando il sole appena sorto non aveva ancora dissipato la foschia, i tre si insinuarono tra le canne che crescevano folte lungo la riva del torrente che delimitava i vari campi della fattoria-penitenziario del Texas. Sentirono le voci di alcuni detenuti che stavano avvicinandosi, scortati dalle guardie.

     

    Quando il gruppetto sbucò dalla nebbia, a qualche passo di distanza, Bonnie e Clyde lanciarono tre rivoltelle ai prigionieri e spararono parecchie raffiche di mitra. Una guardia, M. Crowson, si abbatté al suolo ferita mortalmente, le altre si buttarono a terra. Cinque detenuti corsero verso il torrente, guidati da Bonnie, mentre Clyde copriva le spalle ai fuggitivi, ferendo un’altra guardia. Due automobili li aspettavano a un centinaio di metri. Quattro detenuti salirono sulla prima. Raymond Hamilton prese posto sulla seconda, insieme con i Barrow (come ormai tutti chiamavano Bonnie e Clyde).

     

    Hamilton, sul quale pesava ancora una condanna a duecentosessantadue anni di reclusione, era stato avvertito dell’azione. Clyde gli aveva inviato numerose lettere in prigione, nelle quali gli annunciava chiaramente la sua intenzione di non lasciarlo marcire a lungo tra le quattro mura del carcere. I censori epistolari del carcere, abituati a leggere centinaia di lettere di quel genere, non se ne erano dati assolutamente pensiero. Ora, tutti i poliziotti dello Stato erano sul piede di guerra.

     

    Con Hamilton, i Barrow raccolsero un altro evaso, Henry Methvin, un provinciale timido, dalla faccia squadrata, i capelli biondi, lo sguardo slavato, quasi assente. La banda riprese le proprie attività con maggior intraprendenza. A differenza di prima, però, prendeva di mira soprattutto le banche. Per un mese e mezzo, il quartetto fece numerose scorribande in lungo e in largo negli stati del sud-ovest, e riuscì a schivare tutte le trappole e tutti i posti di blocco. Ben presto, si sparse la voce che dopo ogni loro impresa i Barrow si rifugiavano tra i monti Cookson, a est dell’Oklahoma. E lì l’’FBI decise di incastrarli con un’azione in grande stile.

     

    D’accordo con la polizia federale e con i distaccamenti locali dell’Oklahoma, l’FBI raccolse un migliaio di agenti tra i quali c’erano anche quattro compagnie della Guardia Nazionale dello Stato. Nella notte tra il 17 e il 18 febbraio 1934, sotto una pioggia fitta, le forze dell’ordine circondarono una vasta regione disabitata. All’alba, cominciò il rastrellamento, con l’ordine disparare a vista.

     

    Di gente ce n’era parecchia, su quelle montagne inospitali. I poliziotti catturarono diciannove pregiudicati, ma nessun bandito importante. Inoltre tutti i componenti della banda Barrow avevano tagliato la corda senza farsi notare. Per gli agenti dell’FBI, questo smacco sollevò nuovamente lo spinoso problema delle operazioni in grande stile, del ricorso a eserciti veri e propri, quando si trattava di catturare tre o quattro individui pericolosi.

    Frank Hamer

     

    C’era già una persona convinta che fosse più efficace l’azione isolata di un solo individuo: Frank Hamer, un ex capitano dei Texas Rangers. Un tipo strano, un gigante alto due metri che aveva presentato le dimissioni dalle forze dell’ordine perché una donna, Miriam A. Fergusson, era stata eletta governatore del Texas. Hamer si riguardò per l’ennesima volta tutta la documentazione che aveva raccolto da un anno a quella parte e che parlava delle imprese e della vita dei due banditi: ritagli di giornale, fotografie, annotazioni sul loro abbigliamento, sulle loro sigarette preferite, sui liquori che bevevano più volentieri ecc.

    Riprendendo la tecnica dei cacciatori solitari, Hamer decise di diventare l’ombra dei Barrow, di percorrere le loro stesse strade, di attraversare tutti gli Stati che loro attraversavano per poter approfittare del primo sbaglio che avessero commesso.

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    Il nemico pubblico n. 1

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    Alla fine del febbraio 1934, un paio di settimane dopo essere sfuggiti all’operazione dei monti Cookson, la banda Barrow rapinò la banca di una piccola città del Texas, poi raggiunse, senza compiere nemmeno una sosta, Terre Haute, nel sud-ovest dell’Indiana, vicino alla frontiera con l’Illinois. Qui, dopo una lite per la spartizione del bottino, Hamilton decise di lasciare Bonnie e Clyde.

    Nel mese di marzo, Frank Hamer percorse in lungo e in largo nove Stati del Middle West. A Texarkana trovò qualche traccia dei gangster, ma non riuscì ad acciuffarli.

    Qualche giorno dopo, domenica di Pasqua, I’automobile dei Barrow era posteggiata in una strada deserta, vicino a Grapevine, nel Texas.  Methvin, seduto sul predellino, stava di guardia, mentre Clyde era occupato a fare alcune somme e Bonnie a scrivere.

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    E. B. Wheeler e H. D. Murphy, agenti della Stradale, scorsero l’auto. Insospettiti, scesero dalle moto e si avvicinarono.

    Quando gli agenti giunsero a due. Passi dalla macchina, Clyde aprì il fuoco, uccidendoli sul colpo. Il giorno dopo la polizia che conduceva l’inchiesta rilevò le impronte digitali di Clyde su una bottiglia di whisky abbandonata sul posto. L’opinione pub blica, incitata anche dalla stampa, reclama va a gran voce l’annientamento della banda. A Clyde fu attribuito il titolo di ‘nemico pubblico n. 1’ del Texas. Il governato re dello Stato offrì un premio di 500 dollari per la sua cattura, lo “State Highway Petrol” aggiunse altri 1000 dollari di taglia. Il 6 aprile 1934, a nemmeno un chilometro dalla città di Commerce, nell’Oklahoma, i Barrow si impantanarono con la macchina su una strada secondaria, denominata la Pista Perduta. La pioggia aveva fatto franare grossi mucchi di terra estratta dalle vicine miniere di piombo, così che la strada si era ricoperta di uno spesso strato di fango.

     

    Methvin cercò di fermare, facendo cenni con le braccia, la prima macchina di passaggio. Ma, nel rallentare, il guidatore scorse l’arsenale della banda posato alla rinfusa sul sedile posteriore; diede tutto gas e si recò difilato al posto di polizia della città.

    Immediatamente, il capo della polizia, Percy Boyd, e l’anziano agente Carl Campbell si diressero alla volta della pista perduta.

    I Barrow stavano sempre tentando di liberare la Ford. Una marcia indietro, eseguita accelerando troppo bruscamente, fece slittare l’auto fin dentro un fossato. I poliziotti si fecero avanti con prudenza, le pistole in pugno. Campbell scorse Clyde con una carabina a ripetizione in mano; immediatamente, aprì il fuoco. Bonnie rispose con una raffica di mitra: Boyd e Campbell caddero a terra, feriti.

     

    In quel momento, sopraggiunse un camion. Clyde puntò la carabina contro l’autista e gli ordinò di tirar fuori la Ford dal fossato. Poi i banditi fecero salire sull’auto il capo della polizia e si affrettarono a prendere il largo. Senza concedersi neppure una sosta, si recarono a Fort Scott, nell’Arkansas.

    Methvin acquistò alcune scatolette di cibo, e poi tutti insieme si nascosero in un bosco per passarvi la notte. Il giorno dopo, i giornali pubblicavano la notizia della morte di Carl Campbell. Clyde disse a Boyd che gli dispiaceva di aver ucciso un uomo di 63 anni; e quello stesso giorno lasciò libero l’ostaggio.

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    Clyde Barrow foto segnaletica

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     Il tradimento

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    Dopo essere stato liberato dalla banda, il capo della polizia di Commerce, Percy Boyd, aveva fatto una dettagliata relazione dell’avventura che aveva corso, agli agenti dell’FBI. Costoro si interessavano soprattutto al complice di Clyde e di Bonnie. L’agente speciale L. A. Kindell finì per scoprire l’identità di Methvin e fece su di lui qualche ricerca. Venne così a sapere che il padre del giovane, Ivan, riceveva frequenti visite del terzetto, nella Louisiana.

     

    Quando Kindell si presentò alla fattoria di Mèthvin, non trovò nessuno, il vecchio aveva fatto fagotto qualche giorno prima. L’agente dell’FBI perse un mese per ritrovarne le tracce.

    Agli inizi del maggio 1934, fece la conoscenza dello sceriffo di Arcadia, Henderson Jordan, e gli chiese aiuto. Per oltre due settimane, i due poliziotti ispezionarono in lungo e in largo la regione. Infine, scoprirono la fattoria isolata che Ivan Methvin aveva affittato da poco nei dintorni di Arcadia.

    Nello stesso momento, seguendo l’inchiesta che stava svolgendo per conto suo, Frank Hamer giunse in città. I tre tutori dell’ordine si incontrarono e decisero di unire i loro sforzi.

    Una collaborazione di quel genere era eccezionale, poiché, di solito, i rapporti tra l’FBI e le autorità locali erano improntati a diffidenza, a gelosia, e qualche volta addirittura a ostilità.

     

    L’agente speciale Kindell, lo sceriffo Jordan, il Texas Ranger Hamer, benché investiti ciascuno di un potere diverso – federale, municipale e regionale – si ritrovarono a lavorare con uno spirito d’intesa e di mutuo rispetto. Il 15 maggio, si accorsero che il padre di Methvin aveva di nuovo fatto le valigie; la fattoria era deserta. Ma i poliziotti non dovettero impiegare molto tempo nelle ricerche: il giorno dopo, l’uomo si presentò spontaneamente a loro. Spiegò che Bonnie e Clyde lo avevano costretto a traslocare ancora una volta e che ora si era trasferito in una casa abbandonata, in fondo a una pineta. Era chiaro che il vecchio agricoltore aveva una paura folle dei due banditi e temeva per l’incolumità di suo figlio. I poliziotti lo convinsero senza fatica ad aiutarli.

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    Gli agenti che, presso Arcadia, posero fine alle gesta ed alla vita di Bonnie e Clyde.

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    L’unica condizione che il vecchio pose, fu che il figlio non venisse processato nello Stato del Texas, dove era ricercato per evasione e complicità in omicidio. I poliziotti accettarono.

    Il padre di Methvin fornì allora numerose precisazioni sulle abitudini della banda. Insieme con lo sceriffo preparò un piano d’azione sufficientemente adattabile perché lo si potesse modificare di fronte a qualsiasi circostanza imprevista, senza che per questo i banditi si allarmassero.

     

    Restò inteso che solo pochi poliziotti avrebbero partecipato all’azione e che nessuna mossa sarebbe stata fatta prima del segnale di Ivan Methvin. Il luogo dove era stata preparata la trappola non era niente di particolare: Henry Methvin aveva confidato al padre che Clyde aveva stabilito come luogo di ritrovo, in caso di dispersione della banda, la casa in pineta. Fu proprio Ivan Methvin a darsi da fare per provocare la dispersione della banda, suggerendo al figlio di scappare, cercando di non suscitare i sospetti dei due complici. Dopo di che, sarebbe stato sufficiente preparare un’imboscata nei pressi della casa in pineta per catturare Bonnie e Clyde. I preparativi erano stati accurati malgrado le apparenze di una sommaria organizzazione; il destino dei Barrow si compiva.

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     Duecentodiciassette pallottole

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    Cinque giorni dopo, la sera del 21 maggio, i Barrow scendevano davanti alla casa di Ivan Methvin da una Ford otto cilindri, immatricolata da poco e con la targa dell’Arkansas.

    Il vecchio li invitò a trascorrere la notte a casa sua, ma Clyde rifiutò.

     

    – Preferisco rimanermene in macchina.

     

    Può restare Henry, passeremo a riprenderlo domani mattina. Ivan Methvin trascorse una parte della notte a convincere il figlio. Henry ne aveva abbastanza di quella vita da incubo ma temeva la vendetta dei Barrow, nel caso l’imboscata avesse fatto fiasco. Infine cedette alle suppliche del padre e promise di tagliare la corda alla prima occasione.

    Il giorno dopo, il terzetto partì in direzione di Shreveport. Una volta in città, la coppia mandò Methvin ad acquistare un po’di provviste. Non vedendolo tornare indietro, Bonnie e Clyde pensarono che il loro complice avesse notato qualcosa di sospetto nei dintorni e che avesse cercato di mettersi al sicuro. Fecero altrettanto e tornarono alla casa in pineta. Poiché Henry non si fece vedere, Clyde chiese al padre di mettersi alla sua ricerca, alla vecchia fattoria e nei dintorni. Clyde diede all’uomo un appuntamento preciso per la mattina del giorno dopo, sulla strada tra Sailes e Gibsland, anche nel caso che le sue ricerche fossero risultate infruttuose.

     

    Dopo che Bonnie e Clyde furono partiti Methvin telefonò allo sceriffo Jordan. Costui fece intervenire immediatamente Frank Hamer. Cercò anche di mettersi in contatto con Kindell, ma l’FBI aveva incaricato il suo agente speciale di un’altra missione, e Jordan non riuscì a trovarlo.

    Con altri quattro agenti, lo sceriffo e Hamer percorsero parecchie volte, quella notte, la strada tra Sailes e Gibsland. Alla fine si misero d’accordo sul luogo dove sarebbe avvenuta l’imboscata: un piccolo bosco fiancheggiato da una collina che permetteva di sorvegliare una lunga striscia di strada.

     

    Verso le tre del mattino (23 maggio), i sei poliziotti si nascosero dietro qualche grosso tronco. Erano armati di un browning, di tre fucili da caccia a ripetizione e di due carabine. Ben presto, l’attesa divenne esasperante; gli uomini tremavano per il freddo e per l’ansia. Parecchie auto transitarono sulla strada, ma nessuna di esse era una Ford otto cilindri. Infine, Jordan scorse il camioncino del vecchio Methvin che si avvicinava ad andatura lenta.

     

    Lo sceriffo gli fece cenno di fermarsi; poi lo invitò a togliere una ruota e armeggiare con il crick, come se avesse forato.

    L’attesa continuò snervante e lunghissima: le auto cominciarono a transitare sempre più numerose, e questo poteva rivelarsi pericoloso. Hamer cominciava a pensare che, per una ragione o per l’altra, Clyde avesse avuto sentore di una trappola. I sei agenti diventavano sempre più nervosi. Il sole era alto nel cielo e riscaldava l’aria.

     

    Poco dopo le nove, una Ford grigio topo sbucò a gran velocità dalla sommità di un pendio. Clyde portava un paio d’occhiali da sole e guidava senza le scarpe; al suo fianco, Bonnie aveva in testa un cappello rosso e bianco e portava vestito e scarpe rosse. I due scorsero il camioncino di Ivan Methvin posteggiato a fianco della strada. Clyde rallentò con un leggero senso d’inquietudine, poiché l’appuntamento era stato fissato più oltre.

     

    Ivan Methvin fece loro segno e mostrò la gomma che aveva appena tolto. Clyde fermò l’auto, ma lasciò il motore acceso. La Ford dei banditi era ferma tra il camioncino e i sei poliziotti nascosti. Clyde domandò al vecchio se era riuscito a trovare il figlio. Impaurito, Methvin rispose negativamente.

     

    – C’è calma, in giro? – domandò ancora

     

    Clyde attendendo, impaziente, conferma alla domanda.

     

    Sì – rispose Ivan, sempre -più impaurito.

     

    Si sentì in lontananza il rombo di un motore; un camion si stava avvicinando in direzione del gruppetto. Nel momento in cui incrociò la Ford, l’automezzo fece da schermo ai poliziotti, per qualche secondo.

     

    Lo sceriffo Jordan non volle correre il rischio di vedere Clyde filarsela proprio in quell’istante preciso, e allora gridò:

     

    – Mani in alto, Clyde! È finita!

     

    Immediatamente, Clyde saltò in macchina e diede tutto gas. Nel contempo, cercò d’afferrare un fucile a canna mozze mentre Bonnie impugnava una pistola. Il vecchio Methvin si gettò a terra e si mise al riparo sotto il camioncino. I sei poliziotti aprirono il fuoco contemporaneamente.

     

    La carrozzeria della Ford rintronò sotto la grandine di pallottole che la perforavano, i finestrini andarono in frantumi. La vettura avanzò ancora un poco, poi uscì di strada e finì la corsa sul bordo di un fossato. Una ruota girava a vuoto.

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    La macchina di Bonnie e Clyde crivellata di colpi

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    Jordan, Hamer e i quattro agenti traversarono la carreggiata scaricando, come pazzi, le armi contro la macchina. Poi, con i fucili puntati, si avvicinarono lentamente.

    Clyde, con un filo di sangue all’angolo della bocca, aveva la testa reclinata all’indietro e appoggiata allo schienale del sedile.

    Sulle sue ginocchia era posato un fucile da caccia a canna mozza. Sul calcio erano incise sette tacche. Bonnie era piegata in avanti, con le mani e la testa fra le ginocchia; per terra, vicino al suo piede destro, stava una rivoltella con tre tacche sul calcio.

     

    I due erano fianco a fianco. Morti. I corpi non furono spostati. Un camion liberò la Ford e la rimorchiò fino ad Arcadia, con i due cadaveri nella stessa posizione in cui erano stati trovati. Il convoglio avanzò lentamente, attorniato da numerosi spettatori. Costoro poterono vedere lo straccio insanguinato e a brandelli in cui era stata ridotta la giacca di Clyde Barrow e le sigarette scarlatte di sangue che Bonnie Parker teneva ancora in mano.

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    Poterono contare 167 fori di proiettili sulla carrozzeria dell’auto, ma non poterono raccogliere le 50 pallottole che avevano crivellato i corpi dei due banditi.

    La Ford fu condotta fino a un drugstore, dove venne improvvisata una camera mortuaria. I corpi furono trasportati dentro e adagiati nudi sul banco di vendita. Si frugò nelle tasche dei vestiti. Clyde Barrow aveva 507 dollari, mentre Bonnie Parker aveva alcuni anelli con brillanti, un orologio di valore, e una croce d’oro. Venne anche perquisita l’automobile. Sotto i sedili anteriori c’erano quindici diverse targhe, undici pistole, una automatica, tre carabine browning a ripetizione, un fucile da caccia, una colt, cento caricatori da venti cartucce ciascuna e tremila cartucce di diversi calibri.

    Sul sedile posteriore c’era il necessaire di Bonnie, un sassofono e alcuni spartiti.

     

    Davanti al drugstore si era assiepata una folla enorme. Ma solo giornalisti, fotografi e autorità poterono entrare.

    La gente pigiata contro le vetrine, a un certo punto perse la pazienza. Tutti volevano vedere da vicino. Cominciò un lancio nutrito di pietre contro i vetri e un vero e proprio assalto verso l’interno. I poliziotti lasciarono fare. Ma quando, non accontentandosi dello spettacolo, la folla cominciò a saccheggiare il drugstore, il padrone si fece avanti, armato di una bomba a mano, e respinse gli assalitori.

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    Sopra il banco di vendita, i cadaveri imbrattati di sangue coagulato valorizzarono la foto di qualche personalità che sperava di comparire il giorno dopo sui giornali.

    Frank Hamer dichiarò:

    – Mi dispiace di aver ammazzalo la ragazza. Ma bisognava scegliere tra loro o noi.

     

    In effetti, mentre la morte di Clyde non produsse nella gente alcuna commozione, la tragica maschera di Bonnie provocò nell’opinione pubblica l’effetto contrario.

     

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    Separazione

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    I genitori si recarono a ritirare i corpi. A Dallas, dopo averli ricomposti, vennero esposti di nuovo. La folla sfilò a guardarli. Clyde e Bonnie vennero separati. Uno a est, l’altro a ovest. Fu la madre di Clyde che rifiutò i funerali e la sepoltura comuni.

    L’anno precedente aveva sottoscritto una assicurazione di mille dollari sulla vita del figlio. Per il momento, vegliava il cadavere.

    Emma Parker andò a inginocchiarsi davanti alla spoglia di colui che era stato il compagno della figlia. Dalla sua bocca non uscì nemmeno una parola.

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    Il cadavere di Bonnie Parker

    Il 26 maggio, sulla collina di West Dallas Clyde Barrow veniva sepolto, a 24 anni, nei pressi della casa dove aveva abitato nei primi anni di vita. Una folla immensa invase il cimitero. Alcuni cacciatori di souvenir rubarono le rose, i gladioli, le iscrizioni delle corone mortuarie. La madre di Clyde urlò tutto il tempo della cerimonia.

     

    FINE

     

     

     Le  foto sono di repertorio storico

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