• World kitchen : la cucina dei sensi e delle sensazioni (la cuina dels setits i sensacions)

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    Javier Usábal (chef català)

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    Una mia “amica di face book” italiana ieri, su un post in cui io mostravo la mia amanida del dia català y arros (insalata del giorno catalana con riso) con i  fiori commestibili dell’erba cipollina e dell’aneto – che oltre ad essere buonissimi sono anche molto belli da vedere impiattati – non ha trovato niente di meglio da dire che «Ma una bella pastasciutta come la faceva mia mamma non la fai mai?????». Che tesssssorrrrro!

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    Devo dire che un po’ mi sono adombrato, ma poi ho pensato che la mia “cara amica” – che dio l’abbia in gloria quanto prima – probabilmente è una di quelle persone a cui non piace dare ai suoi cinque sensi il piacere del nuovo, dell’inconsueto, del mai conosciuto prima. Evidentemente le novità la disgustano.

    Prendo lei ad esempio solo per rappresentare quella categoria di persone abituate a vivere sempre nello stesso luogo, o poco più in là, che come il protagonista del romanzo À la recherche du temps perdu, di Marcel Proust,  sono incatenati come un cane al proprio vomito… e a quelle orrende petites madeleines tutte sbrodolate di ricordi languorosi.   

    Questi individui per non venir perturbati preferiscono rimanere imprigionati nell’abitudine che ottunde la mente e quindi la possibilità del cambiamento intorpidendo persino i cinque sensi preposti alla conoscenza empirica della realtà. Figuriamoci poi quanto questi abitudinari possano inibire le sensazionali sensazioni avvertite dal “sesto senso”! Non ci posso neanche pensare!

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    L’abitudine è mortale e tutto ciò che invade muore … meglio: tutto ciò che non si trasforma cessa di esistere… ma siccome la materia non cessa di esistere ma si trasforma in continuazione, tutto coloro che non si trasformano cessano di essere. Divengono dei monoliti insensibili … ma forse sto esagerando. In fondo non faccio il filosofo, faccio il cuoco perché adoro cucinare e per natura inglobo le contaminazioni estetiche e sensitive di ciò che mi sfiora, di ciò che incontro, che trovo seguendo suoni,  odori, sapori,  visioni.

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    In questa utopica idea world kitchen, non c’è un senso che prevalga sull’altro. Nella mia isola mentale che mi sono creato, e che nutro con passione, il gusto non la fa da padrone assoluto perché anche l’occhio vuole la sua parte e all’udito lo scricchiolare delle crudité nella bocca piace moltissimo; le mie mani e labbra si incantano sfiorando e toccando cibi crudi e cotti … e il tatto è servito; dell’odorato, che è sia il giudice preliminare sia l’angelo annunciatore della festa del palato, è quasi inutile parlarne, noooo?  E poi c’è il sesto senso che avverte ciò che i suoi fratellastri non possono avvertire … intendo i movimenti invisibili che giungono attraverso i rapporti interumani. Per esempio il desiderio. Desiderio che per realizzarsi pienamente deve umilmente chiedere ai cinque sensi tutta la loro “simpatia” in senso strettamente etimologico: syn-pathos (“patire insieme” nel senso di “stare insieme con passione”). Che sarebbe mai la realizzazione del desiderio senza palato, odorato, tatto, vista, udito? Certo, oddio, si potrebbe abolire la vista in cambio di una buona dose di immaginazione ma…!

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    Ma sto divagando ancora … parlavano delle “brutte abitudini” che si perpetuano e intossicano l’esistenza. Anche la mia perché troppo spesso si reagisce alle novità culinarie riproponendo la pastasciutta condita esattamente come la faceva mammina cara. Io preferisco separarmi da queste identificazioni e cucinare cibi in cui fantasia e bontà, etica e salute, sapori nuovi e bellezza si abbracciano.

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    E poi che fai inviti una persona a cena e gli rifili  pastasciutta come la faceva mammina cara, e una bistecca al sangue come piaceva a papà tuo buon anima? Non si fa, bellezza non si fa! No si faaaaaa!!!

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    20 aprile 2017

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