• Loretta Emiri: suor Terminator degli yanomami

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    Suora con pistola *

    Loretta Emiri **

    La primavera è entrata da pochi giorni. Nei prati e giardini sono esplosi i colori. Durante l’inverno, poche volte la scrittrice ha lasciato la tana. Ha lavorato sodo al romanzo che sta scrivendo. Qualunque sia la forma attraverso cui si esprime, quello che mette per iscritto è sempre il distillato di ciò che capta ascoltando profondamente sé stessa. Ora avverte il bisogno del cambiamento, che potrà darsi in coerenza con le sue più intime convinzioni per averle ascoltate e riascoltate senza distrarsi, per averle reinterpretate senza stravolgerle.

    Negli ultimi mesi, problemi di varia natura l’hanno afflitta. “Le disgrazie non vengono mai da sole”, dice il proverbio. In rapida successione le si sono rotti il computer, la stampante, la lavatrice, l’orologio, i coglioni. Essendo strumenti di lavoro, mi limiterò a raccontarvi cosa è accaduto con i primi due oggetti dell’elenco. Il computer è della marca più cara in circolazione; l’ha comprato per la fama di prodotto eccellente che si porta dietro, pensando che per un lungo periodo non le avrebbe dato noie. Come ha potuto rompersi a tre anni dall’acquisto? Quando l’ha recuperato, ha scoperto che molti file si erano persi e ha perso un tempo incredibile per imparare a gestire i programmi nelle versioni più recenti inserite al posto di quelle scomparse. Due tecnici hanno sentenziato che la riparazione della stampante sarebbe risultata più dispendiosa dell’acquisto di un’altra; solo che la nuova è andata fuori di testa a sei mesi dall’istallazione. Internata nel Centro di Assistenza per cinquantatré incredibili giorni, è tornata a casa più matta di prima. La seconda degenza è durata quaranta giorni, ma almeno stavolta il negoziante aveva messo a disposizione un’altra stampante, risultata però inservibile perché produceva segni talmente anemici da essere illeggibili. Appena rientrata, la stampante nuova ha avuto bisogno di una trasfusione di toner. Per non spendere una cifra di poco inferiore al prezzo d’acquisto dell’apparecchio stesso, e anche perché finora prodotti similari non le avevano dato problemi, la scrittrice ha comperato un toner compatibile costato la metà di quello originale. Il risultato è che macchie e striature incredibili imbrattano le stampe. Forse pensando di calmarla, il venditore le ha detto che ben più schifosi sarebbero i risultati se avesse acquistato una confezione preparata in Cina.

    Altre complicazioni che la scrittrice ha dovuto affrontare rimandano alla sfera burocratica. Tanto per fare un esempio, solo a distanza di nove incredibili mesi dalla richiesta, e solo dopo aver minacciato di ricorrere a vie legali, è riuscita a chiudere un conto corrente inattivo, con saldo irrisorio ma progressivamente eroso delle spese trimestrali di mantenimento. Durante quel periodo è stata alternativamente ignorata o presa in giro da bancari puzzoni ai quali non è riuscita a far capire che dietro ogni pratica possono celarsi preoccupazioni, sentimenti, disagi. IUC, IMU, TASI, TARI sono sigle coniate per rimbambire le menti. Un dottore commercialista, ripeto dottore commercialista, ha calcolato per lei la TASI e stampato il bollettino che avrebbe dovuto pagare. Insospettita dall’incredibile importo, prima di effettuare il versamento ha consultato un altro professionista, il quale le ha confermato quanto aveva intuito, e cioè che la somma dovuta era di ventuno euro e non duecentodieci.

    Qualche lettore starà chiedendosi cosa c’entrano queste rogne con il romanzo che sta leggendo. C’entrano nella misura in cui stia chiedendosi anche se una vita infarcita di materiali scadenti, di stronzate telematiche, di servizi mal prestati, di incompetenza dilagante, di tempo sprecato, di lungaggini  burocratiche, di furbizie impunite, di truffe legalizzate, possa ancora definirsi vita. Il mondo è una grande discarica; attività inutili ingoiano il tempo; chi detiene il potere economico si permette qualsiasi osceno spreco, e si gode la vita; chi ha preoccupazioni economiche può andare fuori di testa a ogni spesa imprevista.

    Avevano raccontato la storiella secondo cui la suora era stata assegnata alla missione per aiutare l’equipe nel disbrigo dei tanti impegni e attività; che però fosse una religiosa dava adito al sospetto che il vescovo volesse iniziare, senza più indugi, l’evangelizzazione degli yanomami. Nel provvedimento, Fiammetta colse l’evidenza che i gerarchi cattolici avevano iniziato le grandi manovre per estrometterla non appena la nuova arrivata fosse stata in grado di prendere il suo posto. Donna, sola, laica, essendo cioè la pedina più vulnerabile all’interno del gruppo di lavoro, Fiammetta era il capo espiatorio perfetto. Le attribuivano responsabilità e colpe, con ciò salvando la faccia a coloro che di responsabilità e colpe ne avevano quante lei, eventualmente; con omertà e bugie li protessero in modo che potessero tranquillamente portare avanti le loro esistenze ipocrite, le loro vite doppie, alle quali però avevano diritto essendo religiosi e maschi. Il lavoro più sporco fu quello iniziale, quando esercitarono pressioni psicologiche sulla mamma di Fiammetta, affinché rinunciasse a un già programmato viaggio in Amazzonia e convincesse sua figlia a rientrare in Italia.  La vecchietta quasi andò fuori di testa, non sapendo esattamente cosa stesse accadendo; ma non rinunciò al progetto di andare a verificarlo di persona. Trascorsero molti mesi prima che riuscisse a sbrigare le pratiche necessarie, e prima di trovare a chi accompagnarsi per affrontare l’impegnativo viaggio intercontinentale. Quando il visto trimestrale di soggiorno scadde, l’anziana signora lo rinnovò per restare un’altra decina di giorni in Amazzonia Dopo la partenza di sua mamma, Fiammetta riuscì a mantenersi tra gli yanomami per un anno ancora; fino al giorno in cui, senza preavviso, venne semplicemente sbattuta su un camion come fosse un casco di banane marce che, giunto in città, fu dato in  pasto ai porci.

     

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    L’arrivo della suorina tra gli yanomami ebbe risvolti esilaranti: afro-discendente, di alta  statura, con carnagione molto scura, con peluria ovunque disseminata, con mani e piedi tanto grandi da mettere paura, con vocione cavernoso, lasciò interdetti yanomami e bianchi convenuti per riceverla. Quando si ripresero dallo stupore denso di spavento, furono quei mattacchioni di yanomami a rompere il ghiaccio: tra risate e battute scoppiettanti, senza giri di parole, dissero di voler sapere se era munita di vagina o pene. Che vestisse da donna, che avesse un delicato nome floreale, che venisse definita suora, che la spacciassero per femmina, furono evidenze e argomentazioni che non convinsero nessuno. La notizia si sparse in un baleno: yanomami di tutta l’area, anche dai villaggi più lontani, raggiunsero la missione per esaminare la creatura ed emettere i propri, personali responsi. Curiosa quanto i suoi amici indigeni, Fiammetta iniziò a raccogliere informazioni. Seppe che aveva fatto parte di un istituto missionario femminile, fino a che le sue, diciamo stravaganze o intemperanze, avevano convinto la madre superiora ad allontanarla. Era stata recuperata dal vescovo, ambiguo quanto lei, che le aveva fatto rimettere nelle sue mani i voti di povertà, castità, obbedienza, con ciò autorizzandola a definirsi suora diocesana; prudentemente l’aveva esonerata dal convivere con altre religiose; poi, senza scrupoli né esitazioni, l’aveva spedita tra gli yanomami.

    Essendo bugiarda, invidiosa, subdola, la suorina trasformò in incubo la vita di Fiammetta. Quando era di turno in cucina, in pentola finivano gli avanzi del giorno prima cui progressivamente si aggiungevano quelli della settimana fino a che, nel pentolone del sabato, affioravano reperti risalenti alla domenica anteriore; se pensate al clima equatoriale, voi stessi potete ancora sentirne l’odore.  Spalmava maionese in abbondanza su qualsiasi cosa mangiasse, da colazione a cena; a trent’anni di distanza, Fiammetta ancora vomita alla sola vista della salsa. Dal momento che il suo Dio l’ha tanto duramente castigata a livello fisico e intellettivo, bisognerebbe nutrire un po’ di pietà nei confronti della suorina, ma Fiammetta non è d’accordo; non per le ferite interiori che ha inferto a lei, ma per aver mutilato il corpo sociale yanomami.  Ha indebolito le difese naturali degli indios: li rimpinzava con dosi massicce di medicinali; faceva iniezioni con una facilità tale da far pensare che nel bucare gli altri sentisse piacere; raggiugeva l’orgasmo applicando flebo che lei stessa preparava mescolando pozioni da strega. Agli indios di passaggio faceva portar via compresse e flaconi, dei quali non potevano fare un uso corretto; che, anzi, trasformavano in oggetti di scambio, e quindi di potere. La costruzione fino allora utilizzata come scuola e centro sociale, in breve si trasformò in ospedale. Si sostituì alle anziane e non permise più che le yanomami sgravassero senza di lei, così che il parto cessò di essere l’evento naturale e gioioso che era stato fino a quel momento.  Ai bambini appena nati somministrava antibiotici, per fortificarli, diceva; i medici che ci leggono  diano, per favore, il loro parere su tale intervenzione. E non ascoltava nessuno, nessuno poteva dirle niente perché l’infermiera era lei, diceva.

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    Dopo che Fiammetta fu espulsa, la suorina restò ancora a lungo in foresta. Un giorno le due s’incontrarono in città: con soddisfazione la religiosa confidò alla laica che portava sempre con sé una pistola. Una pistola, avete capito bene. Una suora con pistola. Una suora con pistola tra gli yanomami. Venne il giorno in cui nemmeno il pallido, biodo, invertebrato missionario dagli squallidi occhi celesti, che con lei operava,  riuscì più a sopportarla. Provate a indovinare con chi cercò di sostituirla, con il consenso del vescovo naturalmente. Fiammetta gli disse che sarebbe tornata a volo tra gli yanomami per l’amore che nutriva nei loro confronti, ma una passione più grande glielo impediva. Era consapevole dell’importanza del ruolo che si era ricavata all’interno del movimento indigenista brasiliano, divenendo consulente di leader e maestri indigeni che esigevano un’educazione scolastica specifica, differenziata, riconosciuta e offerta dallo Stato, voltata all’affermazione delle identità etniche e alla difesa dei diritti comunitari. Fissando i suoi squallidi occhi celesti, Fiammetta disse al missionario che avrebbe portato avanti le rivendicazioni degli indios brasiliani, di cui anche gli yanomami avrebbero beneficiato.

    * Il brano “Suora con pistola” è uno dei capitoli dell’inedito Romanzo indigenista.

     

    ** Loretta Emiri è nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si è stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios Yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il Dicionário Yãnomamè-Português, il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver, la raccolta poetica Mulher entre três culturas, i volumi di racconti Amazzonia portatile e Amazzone in tempo reale (premio speciale della giuria per la Saggistica, del Premio Franz Kafka Italia 2013), il romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne. È anche autrice degli inediti A passo di tartaruga e Romanzo indigenista, mentre del libro Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più, anch’esso inedito, è la curatrice. Suoi testi appaiono in blogs e riviste on-line, tra cui Sagarana, La macchina sognante, Fili d’aquilone, El ghibli, I giorni e le notti.

     

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