• Identità della terra degli avi o identità umana? I miti religiosi dell’autoctonia creati per escludere dall’uguaglianza i “figli di un dio minore”

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    di Gian Carlo Zanon

    «La nascita umana è uguale per tutti. L’affermazione è esatta soltanto se si pensa e si vede che non è soltanto realtà biologica. Si forma, alla nascita, una realtà non materiale che gli animali non hanno. La sostanza celebrale umana, al giungere della luce sulla retina, fa una reazione che è fantasia di sparizione.» Massimo Fagioli – Left 15 agosto 2015


    Da tempo so che c’è chi usa il linguaggio per escludere e chi invece utilizza il linguaggio dell’inclusione. No, non temete, non parlerò del Salvini padano, né dei suoi accoliti del mitico “pratone dei Legnano” in cui si consumano i riti dei nerboruti leghisti convinti che bastino un paio di corna per reincarnarsi in un guerriero celtico. Provate a dir a uno di questi “pirloni” vestiti di verde che in quel luogo fu vinta la battaglia contro il Barbarossa nelle cui vene scorreva, senza alcun dubbio, molto più sangue celtico di quello dei comandanti della Lega Lombarda … vi guarderà con uno sguardo tra il pirlesco e lo stolido, ruminando silenziosamente un “ma mi u minga capì” , “Ma io non ho capito niente”.

    Non parlerò del Bossi 2.0 milanese per un senso di rispetto verso chi mi legge e perché anch’io con Vauro Senesi, penso che sia palesemente “fascista e razzista”. Lui è, insieme ad una gran moltitudine di votanti con le sue stesse caratteristiche definite da Vauro, quello che è ne più ne meno.

    Uno così non intacca lo zoccolo duro di quel milieu culturale di sinistra che ancora sa di sé. C’è invece chi è in grado di avvelare profondamente le fonti culturali del pensiero di sinistra imperniato sul concetto di uguaglianza. Lo si può fare surrettiziamente, come ha fatto Stefano Jesurum scrivendo ieri nel titolo di un suo articolo sul Corriere – Alterità è libertà, la lezione ebraica – che le differenze culturali «sono il sale prezioso che contrasta l’omologazione di Babele».

    Mi verrebbe da aderire con entusiasmo a questo assunto: chi oserebbe mai obiettare? È ovvio che le differenze culturali sono una ricchezza da difendere … lo dice anche Salvini. E nel nord i cartelli stradali che indicano le località sono spesso “bilungui”: Varese/ Vares ecc. ecc..

    Leggo l’articolo e immediatamente mi rendo conto che il contenuto del linguaggio di questo articolo, che recensisce un libro – Con lo sguardo alla luna – del rabbino  Roberto Della Rocca, non ha nessuna intenzione di parlare della ricchezza delle diverse culture su un piano di uguaglianza e rispetto. L’intenzionalità, non esibita, è quella di escludere dalla “vera cultura” i “figli di un dio minore”. Anzi si cerca di demolire le fondamenta dell’idea di uguaglianza tra esseri umani, assumendosi una priorità culturale donata dal dio monoteista “versione Della Rocca”: «Il Creatore – leggo in una citazione del libro presente nell’articolo di Jesurum- vuole dall’uomo la realizzazione della sua singolare irripetibilità, non l’adeguamento acquiescente a uno schema collettivo prestabilito». Un altro mistico che parla direttamente con il suo dio privato parto della sua mente bifronte.

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    Certo mi si potrebbe obiettare che essendo un rav ebreo è ovvio che Della Rocca si interessi della propria comunità religiosa e parli loro della «sua ricchezza propulsiva». Ma, dev’essere un difetto genetico, a me queste parole in salsa religiosa fanno venire l’orticaria, e mi portano alla mente la “ricchezza propulsiva” e “l’autenticità dell’essere” di heideggeriana memoria tradotta da Hitler in sopraffazione e genocidio di altre culture.

    Mi chiedevo perché nella comunità culturale israeliana non si prestasse attenzione alla questione sollevata dalla stampa mondiale sui Quaderni Neri di Martin Heidegger … questa assunzione della forma mentis heideggeriana da parte di un rav ebreo come Della Rocca potrebbe essere un sintomo preoccupante.

    Se non ho capito male (potete leggere qui l’articolo per intero) Della Rocca e S. Jesurum, vogliono convincerci di «quanto la tradizione ebraica sia (…) un pensiero sempre attuale impegnato nella ricerca di risposte che pongano l’esistenza all’insegna dei valori più alti dell’umanità.» e che questi valori siano appannaggio del popolo eletto: «Abbiamo la Torah con la sua esegesi rabbinica a fondamento della definizione di noi stessi, – scrive il rav Della Rocca – impossibile accettare che le parole su cui la nostra identità si basa significhino qualcosa che non ci riguarda più. L’ebraismo è la storia di una realtà religiosa in cui la Torah, il popolo e la Terra formano un unicum inscindibile, e se nella definizione di dialogo tra culture differenti è implicita l’esigenza di entrare in rapporto con l’altro nella propria completa identità e di accettare, comprendere l’altro per come egli si autodefinisce, è chiaro che, se si fa esclusione di uno solo di questi tre elementi, usare il termine dialogo diventa assolutamente improprio e il superamento di antichi rifiuti cede il passo a nuovi modi di argomentare il rifiuto». Una realtà religiosa? Per me è un ossimoro.

    È pazzesco. Mi sembra di risentire quel comico che diceva “non siamo noi ad essere razzisti, siete voi che siete meridionali”.

    Lora hanno “la Torah” che li definisce dice il rav. La Torha , che li definisce in primo luogo individualmente in quanto il comando divino “Non avrai altro dio” è rivolto ad un singolo. Questo comandamento che non esclude l’esistenza di altre divinità, viene a quanto pare accettato passivamente anche da chi ha scritto questo articolo. Come scrive Jan Assmann nel suo libro Non avrai altro dio, il comando divino pone davanti al credente «categorie di inconciliabilità e di esclusione connesse al comandamento sopracitato» .

    C’è anche altro che mi inquieta in questo articolo: il richiamo alla Terra in quanto elemento imprescindibile di identità. E chi non ha la terra non ha identità umana? Ma questi sono trucchetti linguistici per legittimare l’avanzata dei coloni israeliani in Cisgiordania.
    «L’idea della comunità del suolo, della lingua, del sangue sta cercando di eliminare l’idea della nascita umana uguale per tutti, indipendentemente dal colore della pelle, indipendentemente dalla realtà anatomica della differenza dei genitali» ha scritto lo psichiatra dell’Analisi collettiva Massimo Fagioli su Left il 15 agosto scorso.

    E se è vero come scrive S. Jesurum che «non bisogna opporre il mito di un’uguaglianza astratta fra gli uomini», e spero si riferisca all’uniformità identitaria formale rappresentate dalle giacchette grigie di Mao et similia , il concetto di uguaglianza è e deve rimanere un cardine sociale fondamentale perché si fonda sull’identità umana che inizia alla nascita.

    Invece secondo questo articolo l’antidoto “all’oblio identitario” è la credenza religiosa della storia del popolo israeliano/ebreo, narrata nella bibbia, vale a dire la consapevolezza «che, dopo il tempo del ricordo, – da Mosè alla terra di Israele ecc. ecc. – c’è il compito di trasmettere, commentare e far rivivere queste testimonianze per non dimenticare chi si è e da dove si viene.» La favola di Mosè una testimonianza? Bah, francamente !!!!
    Un chiaro richiamo all’essenza religiosa che elimina l’identità umana primaria della nascita che rende ogni essere umano uguale all’altro da sé.

    Con buona pace del rav Della Torre, che parla della Torre di Babele a suo uso e consumo, penso che questo mito biblico sia lì a rappresentare la perdita del linguaggio comune della fisiognomica del viso e del movimento del corpo che impediva di mentire e dava la possibilità a chiunque di comunicare con l’altro da sé. Il mito biblico, che narra miticamente della disgregazione di una sola lingua in migliaia di idiomi incomprensibili, forse evoca un’Età dell’Oro perduta quando il linguaggio veniva usato per unire e non per alzare muri invalicabili.

    17 settembre 2015

     

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