• L’enigma dell’Altro III parte – Misoxenia

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    di Gian Carlo Zanon

    Misoxenia

    «Razzismo significa attribuire senza alcun fondamento caratteristiche ereditarie di personalità o comportamento a individui con un particolare aspetto fisico.
    Chiamiamo razzista chi crede che l’attribuzione di caratteristiche di inferiorità o superiorità a individui con un determinato aspetto somatico abbia una sua spiegazione biologica»

    Da “Chi siamo” 1995 Luigi Cavalli Sforza

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    Ieri sera mi sono tornate alla mente le parole di un uomo che parlava con un accento francese, credo fosse del Ghana. Lo incontrai, ormai è passato molto tempo, in una riunione del Centro Antirazzista di Monteverde di Roma. Nel suo italiano incerto, e un po’, a ragione, rabbioso, cercò di far capire a noi italiani, tutti presi dal sacro fuoco dell’antirazzismo, un concetto che fino ad allora non avevo ben capito. Neppure dopo l’ho capito in modo profondo. L’ho capito avec le temps, quando le sue parole si sono mischiate con l’immagine che ho conservato di lui e che è diventata memoria inconscia. Ricordo, più o meno, disse: «che c’entra un’associazione antirazzista se non è espressione di coloro che in prima persona ne sono le vittime?».

    Ora che la memoria dipana le sensazioni di quel giorno mi chiedo cos’è “il razzismo”… che sarebbe meglio chiamare misoxenia, cioè odio per lo straniero e non paura come invece dice la parola che di solito viene utilizzata per definire  l’avversione per un altro da sé. Altro da sé che viene giudicato da un punto di vista etnocentrico. Misoxenia, una parola che non esiste nel vocabolario italiano che ha altri fonemi per definire di questo fenomeno … parole/rumori che non sono in grado di afferrare il senso profondo del problema, anzi tendono a mitigarlo. Né la parola “razzismo” né tantomeno “xenofobia” possiedono il dono semantico capace di schiudere le porte segrete che nascondono l’orrore di questa vicenda millenaria.

    Il “razzismo” è un’ideologia nata da quando ci fu il passaggio dal nomadismo alla stanzialità. Parliamo di almeno cinque- seimila anni. Gli esseri umani nati migliaia di anni fa, riuniti in piccoli tribù, costruirono dei confini manufatti e stabilirono che il modello di essere umano perfetto era quello che viveva entro quei confini: maschio, adulto, avente un linguaggio articolato condiviso dai membri maschili della tribù. Gli altri esseri umani che non possedevano queste caratteristiche non erano considerati esseri umani al 100% e quindi essendo sub-umani, potevano essere trattati alla stessa stregua degli animali. Donne e bambini della stessa tribù potevano essere venduti, barattati come fossero delle bestie. Anche i ‘barbari’ che venivano catturati subivano la stessa sorte divenendo schiavi. «Non desiderare la moglie d’altri, alla pari dello schiavo d’altri, della schiava d’altri, del bue e dell’asino d’altri.» (AT Esodo, 20, 17) Donna, schiavo, bue e asino erano considerati allo stesso modo. L’altro comandamento “Non avrai altro dio” tracciò definivamente il solco che separa chi aderiva il patto con Yahweh e chi no. Da allora la pulsione di annullamento si vestì con gli abiti dell’etnocentrismo religioso e divenne legittimazione teologica e quindi politica.
    E questo non finì alle soglie del novecento dopo la guerra di Secessione americana, né dopo le nuove leggi russe del 1861 quando lo Zar abolì la servitù della gleba.

    Leggiamo da un articolo dello psichiatra Gianfranco De Simone apparso su Left del 9 giugno: «Nel nazismo la politica e l’economia erano subordinati ad una concezione dell’uomo, autentico per razza e destino, che assume il suo essere proprio dal ritenersi diverso dagli altri umani, e vede la possibilità di accedere alla propria storia solo con l’azione di annientamento di altri umani pensati come subumani, portatori nella loro radice di un peccato radicale e originario, di una bestialità nichilista , l’”animale umano” di Himmler. Quando il nazismo andò al potere fu salutato dal filosofo (Heidegger N.d.R.) come un “manifestarsi dell’essere”».

    Queste ideologie sono tuttora fortemente presenti e continueranno ad esserlo finché appartenenti al genere umano crederanno religiosamente che esistono cittadini di serie A e cittadini di serie B, C, D, ecc..

    E non è un caso se parlo di religione: la religione è da almeno 3500 anni il principale veicolo per legittimare la misoxenia, l’odio per lo straniero. Tanti anni sono passati da quando l’idea, il concetto di un popolo eletto e della predestinazione è entrato nelle menti del popolo di David e poi ha attraversato la storia da Aronne a San Agostino, da Calvino a Hitler, da Mussolini a Pio XII: «Oggi il Cardinale Segretario di Stato mi ha mandato a chiamare per dirmi che il Papa sperava che nessun soldato alleato di colore avrebbe fatto parte della piccola guarnigione che potrebbe essere stanziata a Roma dopo l’occupazione». Questo è un comunicato del rappresentante britannico presso la Santa Sede del 26 novembre 1944.

    Per il capo della cristianità i ‘negri’ non erano uguali ai bianchi come gli ebrei non erano esseri umani quanto i cristiani. Infatti quest’uomo assistette in silenzio alla deportazione di 1023 ebrei romani da parte dei nazifascisti e fu il promotore del Concordato tra Hitler e il Vaticano del 1933. Ma d’altronde il ghetto giudaico di Roma dove vivevano segregati gli ebrei fu aperto solo nel settembre 1870 dopo l’entrata delle truppe piemontesi e il camerata Ratzinger qualche tempo fa ha rispolverato, provocando l’ira degli ebrei italiani, la preghiera del venerdì santo:

    «Preghiamo anche per i perfidi Giudei, affinché il Signore e Dio nostro tolga il velo dai loro cuori in modo che essi riconoscano il Signore nostro Gesù Cristo.

    Onnipotente ed eterno Dio, che persino la perfidia giudaica non ti repella, esaudisci le nostre preghiere, che ti presentiamo per l’accecamento di quel popolo, affinché venga riconosciuta la luce della tua verità, che è Cristo, a costoro che vagano nelle loro tenebre.»

     

    Un bell’esempio di amore cristiano e cattolico… ma anche il loro cugini riformati non sono da meno visto che con la credenza delle predestinazione ha permesso che individui ‘unti dal signore’ sottomettessero i paria della terra. Vedi l’apartheid in Sudafrica.

    Scusate sono uscito dal seminato e ho lasciato il discorso dell’uomo del Ghana che rivendicava la propria identità di cittadino.

    Ieri sera sono andato subito a cercare una parola, , la quale esprime un  concetto di riappropriazione identitaria dei popoli africani. La ‘Negritudine’ fu un movimento culturale sorto a Parigi negli anni ‘30 sotto lo stimolo di un gruppo di intellettuali africani e antillani, come il martinicano Aimé Césaire, che usò per la prima volta il termine négritude nel 1933, e il senegalese Léopold Sédar Senghor.

    Aimé Césaire e Léopold Sédar Senghor

    Negritudine è stato soprattutto un movimento letterario, culturale e politico sviluppatosi intorno al 1935 nelle colonie francofone, che coinvolse molti altri scrittori africani e afroamericani. Gli esponenti di questo movimento si proponevano di affrancare gli esseri umani di origine africana dal complesso di inferiorità imposto dai colonizzatori attraverso l’orgogliosa rivendicazione delle qualità peculiari proprie dei neri: la loro “negritudine”. Questo movimento ha poi preso molte strade: dalle guerre di indipendenza come quella algerina, al gruppo rivoluzionario delle Pantere Nere nato in America neglianni ‘60.

    Olimpiadi di Città del Messico: alcuni esponenti delle Black Panthers salutano con il pugno chiuso

    Questo movimento culturale rivoluzionario ora è praticamente morto. Le motivazioni? Difficile stabilirle. Certamente sono molteplici ma una prevale: il movimento è stato corrotto da intellettuali europei, in primis il caro amico Sartre il quale, tra un proclama per difendere la pederastia e la violenza sessuale a minorenni subordinate psichicamente al grande pensatore, trovava il tempo anche per inserirsi violentemente nel movimento infettandolo con il pensiero occidentale.  Dopo questa intromissione culturale, che ha devastato dall’interno il movimento, lo stesso Césaire, che ha coniato il termine, se ne è progressivamente allontanato vedendo la négritude come un modello di uomo nero codificato  dalla riproposizione degli stereotipi creati dai bianchi.

    negritudine

    Il movimento della négritude è uno dei pochi “io sono” proclamato dalla cultura africana attraverso i propri teorici. Ma è stato distrutto da coloro che forse, e dico forse, avevano, a livello cosciente, tutte le buone intenzioni di dare una mano, ma non hanno capito che dovevano darla dall’esterno, quando questa mano veniva chiesta, e non una mano imposta come ad uno cieco che non sa attraversare la strada.

     29 settembre 2012

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