• Hikmet e il sapore di un nuovo azzurro

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    nazim H

    Oggi abbiamo ricevuto un regalo e lo vogliamo condividere con i nostri lettori. Parlo dell’articolo di Roberta Bellantuono sulla poetica di Nazim Hikmet. Poetica che nasce dal suo rapporto con l’altro da sé, soprattutto al femminile. Un articolo emozionante che sembra scritto con la pelle. Lo pubblichiamo ringraziando Roberta per il suo dono.

     G.C.Z.

     Hikmet e il sapore di un nuovo azzurro

     

     di Roberta Bellantuono

     

    In ritardo, entro in libreria, vorrei chiedere, ma delle voci femminili mi attirano all’interno, dal basso. E’ così che, il 30 Aprile, scesa la scaletta della libreria De Luca a Chieti, ho incontrato un  gruppo di lettura, di nove donne (almeno per quella sera), sedute attorno a un tavolo carico di libri. Il dibattito è già acceso, troppo tardi per l’introduzione, sotto osservazione , ‘Il turco in Italia’ di Joyce Lussu, edito da ‘L’asino d’oro’, che nasconde, sotto un’essenza affabile, una molteplicità di spunti interpretativi circa l’esistenza e la poetica di Nazim Hikmet. Le signore sono ospitali: mi concedono un riepilogo veloce, mi aggiornano: è turco, poeta, ribelle, esule.

     

    Qualcuna aggiunge che era soprattutto un uomo che amava le donne, perché tre non erano bastate per colmare la sua sete d’amore. Con la prima moglie Piraye, Nazim condivide la prima parte della sua vita e un figlio, Mehmet, a cui scrive suggerimenti appassionati <[..] non vivere su questa terra/ come un inquilino/ oppure in villeggiatura/ nella natura/ vivi in questo mondo/ come se fosse la casa di tuo padre/ credi al grano al mare alla terra/ ma soprattutto all’uomo..>.

     

    A Munevver,  compagna degli anni duri della reclusione, dedica altri versi, scevri da erotismo o ossessione romantica <[…] che tu venga all’ospedale o in prigione/ nei tuoi occhi porti sempre il sole.// I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi / questa fine di maggio, dalle parti d’Antalya,/ sono così, le spighe, di primo mattino;// […] così sono d’autunno i castagneti di Bursa/ le foglie dopo la pioggia>.  L’amore, quindi, per Hikmet, come ci dice la Lussu, è <…il punto di un altissimo equilibrio raggiunto, non un terremoto che sconnette. E la donna è una donna, un essere umano completo, un amico e un compagno di lotta oltre che un’amante, non solo immagine, oggetto o stimolo>.

     

    Nazim Hikmet e Joyce Lussu Stoccolma 1958

    1956 – Joyce Lussu e Nazim Hikmet a Stoccolma

     

    Un discorso che presenta luci e ombre e su cui si apre un dibattito serrato, perché ingloba un concetto più ampio, che interessa la parola libertà, la stessa di cui Hikmet fu privato per 17 anni, costretto in prigione per i suoi ideali sociali e politici. Prendo in mano il libro, chiedo cosa ne pensano, mi introducono nel mondo della Lussu, una donna intelligente, una traduttrice sensibile, una coraggiosa attivista. In effetti, ‘Il turco in Italia’ racconta, in una prosa coinvolgente, di un grande poeta, che amava a tal punto la libertà da concederla a se stesso e agli altri, senza nessun pregiudizio. Ma come ha potuto Joyce Lussu tradurre Nazim Hikmet, poeta turco, senza conoscere il turco? Il segreto si cela in una sfera profonda dell’animo umano, fatta di stima, di rispetto e di un preciso impegno nei confronti della poesia e dell’artista.

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    Motivata da una sensibilità comune, Joyce Lussu racconta la non sempre facile relazione con l’uomo e il poeta Hikmet, passibile, a volte, di equivoci: come quando, nel momento in cui, da brava traduttrice e ottima guida, lo accompagna a visitare Roma, fornendogli spiegazioni e precisazioni storiche di monumenti e vie e ottenendo in cambio la stizzita reazione di Hikmet, che le grida il suo disappunto per aver costretto la mente ad apprendere dai suoi occhi, per aver sporcato i ricordi chiudendoli al suo vero io, macchiando indelebilmente un’emozione originaria. O di come, dopo aver professato amore eterno per Munevver, amante e seconda moglie, Hikmet non abbia partecipato alla sua fuga, descritta con audacia e sincerità dalla Lussu, che, invece, organizzò un piano strategico, coinvolgendo un industriale, dei bambini e anche il marito, seppure non direttamente. Di questo episodio, sappiamo cosa l’autrice ha deciso di raccontare, perché viveva in lei una sottile delicatezza e una capacità di guardare oltre lo stato delle cose, per capire senza giudizio il poeta, ma soprattutto l’uomo, affamato di vita dopo lunghi anni di reclusione.

    nazim-hE i versi di quel periodo illustrano la concreta solitudine e l’isolamento a cui fu soggetto, la sensazione di essere stato oscurato dal mondo <Ti svegli./ Dove sei?/ A casa./ Non hai potuto ancora abituarti:/ al tuo risveglio/ trovarti a casa./ Chi c’è nel letto, accanto a te?/ Non è la solitudine, è tua moglie>. Solitudine come principio motore del fare poetico. Un nuovo modo di intendere la solitudine: mai perdere la speranza. – “Il più bello dei mari è quello che non navigammo”, così come viene suggerito anche dai versi della Dickinson  <Su questo mare meraviglioso/ navigando in silenzio/ Dove non urlano i marosi?/ Dove la tempesta è oltre?/ Laggiù ti conduco/ Terra/ Ohé!/ Eternità!/ A riva finalmente> e ancora un nuovo confronto, più azzardato, con un poeta, ben lontano dal Nostro, per sensibilità e scelte di vita,, Ezra Pound, < Avrei voluto che le onde fredde sulla mia mente fluttuassero/  e che il mondo inaridisse come una foglia morta,/ o vuota bacca di dente di leone, e fosse spazzato via,/ per poterti ritrovare,/ sola.>

     

    Iniziata la lettura, il gruppo si è immobilizzato in un silenzio sentito, carico di riflessione, toccate le corde dei sentimenti, a volte calde d’emozione. Qualcuno ci riporta alla realtà del luogo e della situazione, una giovane donna si vuole unire al gruppo, ha sentito i versi, le voci, vorrebbe partecipare. Viene invitata, si nega, – dalla prossima volta-, promette, ci sarà anche lei, è gratificante, spiegano tutte, poter parlare di poesia e di narrativa con chi ha il piacere di ascoltare.

     

    E ritorna riconvertito il tema dell’amore, non più inteso come extra o coniugale, bensì rivolto all’esistenza, alla vita, a quella vita per cui Hikmet aveva combattuto strenuamente e a cui aveva abbinato un profondo senso di giustizia, <[…] La vita non è uno scherzo,/ prendila sul serio/ ma sul serio a tal punto/ che a settant’anni, ad esempio,/ pianterai degli ulivi/ non perché restino ai tuoi figli,/ ma perché non crederai alla morte,/ pur temendola,/ e la vita peserà di più sulla bilancia>, parole di un uomo che, per dieci volte, è stato messo contro un muro  per essere fucilato, che, nonostante abbia sentito il suo cuore indurirsi per la paura e il terrore, aveva, ormai alla fine dei suoi giorni, solo parole d’ amore e di speranza per tutti e tutte noi, che ci congediamo, a tarda sera, con uno spirito diverso, <[…]  verrà il tramonto, mia rosa/ e al di là della notte/mi aspetterà/ spero/ il sapore di un nuovo azzurro>.

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