• Exit imago – “La pietra lunare” di Tommaso Landolfi

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    di Gian Carlo Zanon

    «Non mi piace la luna: essa mi fa soffrire. Ma lassù, verso la Rova, dove il sentiero si biforca, sai? e prosegue attraverso Vallentra, e attraverso la Limata Cupa, sai?… Lassù si scoprono groppe brulle di montagne rocce e pietre; spesso anche vi scoppiano fulmini silenziosi, ma io non ho paura dei fulmini. Lassù potremo andare, verrai lassù?»

    È Gurù, la protagonista del romanzo La pietra lunare di Tommaso Landolfi, che parla, chiedendo a Giovancarlo di seguire i suoi passi leggeri fuori dallo spazio della città. La ragazza, come una ninfa dei boschi, lo sospinge verso quei luoghi dove ancora si possono incontrare divinità silvane non pacificate dalla ragione: fauni, ninfe, ed esseri a metà strada tra lo stato ferino e quello umano. Gurù chiede al giovane di entrare con lei nel tempo della fantasia, nella zona inquieta dell’irrazionale. Sembra che Landolfi voglia raccontare una favola. Una favola che può essere compresa solo se si è mantenuto contatto con quel mondo onirico inconscio dove solo coloro che sanno vedere al di là delle apparenze possono accedere.

    Questo romanzo breve, scritto nel 1937 e pubblicato per la prima volta nel 1939, appartiene a quei rari libri che si rileggono volentieri perché, ogni volta il lettore scopre qualcosa che non aveva notato, ogni volta si emoziona per qualcosa che non aveva “sentito”.

    Difficile anche classificare questo lavoro come genere fantastico perché i personaggi entrano ed escono dall’irreale come si entra e si esce dal sonno; come quando si lascia da parte la ragione per entrare nei rapporti d’amore. Forse “realismo magico” è la categoria letteraria che più si avvicina a questa narrazione.

    L’autore racconta, con voce antica e sontuosa, di bruschi passaggi tra un mondo popolato da esseri fantastici ed un altro perfettamente normale. Landolfi non dice mai se questi strani esseri esistono veramente nella realtà e se invece sono sogni, incubi, visioni. Non ci dice se Gurù si trasforma nelle notti di luna piena in un essere ferino, mezza donna, e mezza capra o se invece viene percepita in modo delirante dal protagonista maschile o se, a volte, egli la trasforma con la fantasia del sogno.

    Nel romanzo viene descritto “ce que l’homme a cru voir” ciò che l’uomo ha creduto di vedere, e noi non sappiamo se ciò che Giovancarlo ha visto e vissuto è stato allucinazione o sogno. Possiamo tentare un’interpretazione leggendo le ultime dolorose parole della separazione tra la ragazza lunare e il giovane studente che deve tornare in città per studiare, per farsi un’identità.

    Le due parole sono exit imago. Possiamo tradurle in “immagine che sfugge, che si perde”. Possiamo tradurle così perché un dolore sordo ci coglie quando il giovane, in modo anaffettivo, dice a Gurù: «Gli esami… tu capirai… tornerò presto»;  e noi leggiamo delle lacrime della ragazza, e poi della corriera che si allontana dal paese , e del finestrino appannato che vela le ultime immagini di lei, e poi l’ultima luna che appare silenziosa e indifferente quasi ad impedire di accedere a quell’immagine femminile  che da senso alla vita di Giovancarlo;  poi quelle ultime tragiche parole: exit imago.

    Il romanzo è fatto di due realtà che scorrono parallele: la prima, dove la stupida ragione fa vivere gli esseri umani inutilmente incatenati alle abitudini di tutti i giorni; la seconda è quella della fantasia interna dove forse ci si può anche smarrire, ma senza la quale la vita degli esseri umani non è altro che un’inutile e vuota corsa verso la morte.

    Scritto in anni violenti e bui, parla del rapporto con il diverso da sé. Narra di come questa ragazza piena di vitalità venga percepita dal protagonista maschile. Giovancarlo per una breve estate riesce a tenere questo rapporto clandestino; solo per un breve momento egli accoglie in sé questa immagine straniera, irrazionale che sa dire cose che lasciano senza fiato: « Era tanto che…Attraverso la notte ti chiamavo». Ma, forse, ciò che affascina di questo romanzo è la capacità dell’autore di far rivivere il mito rappresentandolo nel rapporto tra due esseri umani così diversi tra loro che sembra quasi, e sottolineo quasi, che essi appartengano uno al regno animale e l’altro all’umano.

    Prima che il logos devastasse la fantasia e l’irrazionale, i miti raccontavano le metamorfosi, ovvero la trasformazione di dei e mortali, rappresentando un mondo dove tra natura animale e umana, se non addirittura tra natura vegetale e umana, vi era solo una piccola linea di confine facilmente valicabile. Quel superbo mondo, popolato da dei che rappresentavano l’essenza della realtà, con l’avvento del logos occidentale, scompare dalla cultura “alta” e ufficiale, dalla cultura dominante, ma rimane sotterraneo resistendo alla ragione e alle religioni monoteistiche che annullano affetti, passioni, vale a dire quel pensiero umano che “sente” e “sa” dell’invisibile. Ma l’irrazionale scorre come un fiume carsico alla ricerca di una fonte dove ripparire.

    E così riaffiora superba l’imago mitica, universale, della donna … straniera alla folla: «Ma tu non ci vai alla chiesa?». «Non so» rispose Gurù « mi pare che quello non sia il mio posto».

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    Scheda

    Titolo: La pietra lunare

    Autore:Tommaso Landolfi

    Editore: Adelfi,

    Pagg. 168, Euro 12,00

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