• Credenti e non credenti: dove porta il dialogo Scalfari-Bergoglio (terza parte)

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    Pubblicato da AgoraVox il 24 settembre 2013

     

    di Fabio Della Pergola

     

    Qui la prima parte dove si raccontava degli amorosi sensi fra l’illuministica antropologia di Eugenio Scalfari e la condiscendenza (un po’ melensa) del Papa nuovo, con gli interventi suadenti del priore di Bose e l’acume dialettico del teologo Vito Mancuso, tutti in forbita tenzone a ricercar quale può essere oggi, se mai esistesse ancora, “la differenza fra credenti e non credenti”.

     

    Qui invece la seconda parte dove si parlava del deficit di intelligenza che affligge il cristianesimo fin dalle sue origini e dell’ipotesi che il misticismo cristiano – spinto verso l’oriente buddista e induista – possa risolvere la sostanziale riduzione del cristianesimo ad un insieme di credenze buone solo per chi abbia rinunciato a pensare.

     

    Terzo scenario: il cristianesimo è giunto alla fine. Ma anche all’inizio.

     

    “La porta d’ingresso – ci racconta Roberto Esposito nella sua recensione a “Oltre il cristianesimo“, l’ultima fatica di Marco Vannini, il maggior studioso italiano di mistica – è costituita dall’opera del grande mistico medioevale Meister Eckhart, situato all’origine di una tradizione che comprende non soltanto autori di ispirazione spirituale (…) ma anche filosofi irreligiosi e perfino atei come Spinoza, Schopenhauer e Nietzsche. Cosa è che li collega, pur nella assoluta distanza?

     

    Qual è il punto di raccordo, e certo di tensione, tra mistica e ateismo nel comune contrasto con il lessico teologico-politico del pensiero cristiano? La figura decisiva di questo problematico nesso, intorno alla quale ruota l’intera ricerca di Vannini, è rappresentata dal distacco.

     

    “Solo distaccandosi da se stesso – continua Esposito – l’uomo può aprire lo spazio vuoto entro il quale accogliere Dio, fino a fare tutt’uno con lui (…) Solo nella sua assenza Dio può mostrarsi senza indossare la maschera dell’idolo. E solo così il fondo dell’anima può identificarsi con il fondo di Dio. È il punto estremo in cui l’assoluta trascendenza viene a coincidere con l’assoluta immanenza…”.

     

    Distacco che va inteso come “svuotamento dell’anima da tutti i contenuti che derivano dall’io, cioè dall’attività della creatura, che in modo del tutto illusorio può produrre alcunché di simile al divino, dal momento che è un puro nulla, al confronto del tutto di Dio”.

     

    Ma Vannini – nella sua introduzione a La religione della ragione – chiarisce un punto molto importante della sua riflessione: “Questo libro nasce dall’idea che il cristianesimo sia per un certo verso alla fine, ma per un altro al suo inizio. Sia alla fine in quanto religione tradizionale (…) ma all’inizio in quanto religione vera perché vera filosofia”.

     

    MeisterEckhart

    Perché, scrive, “mistico non è affatto il misterico, misterioso, esoterico – in ultima analisi mistificatorio – bensì il razionale puro, il logico pienamente dispiegato, ben oltre la povertà del ragionare condizionato da un fine – ovvero da un legame, da una passione. Questo spiega perché il mistico appartenga in proprio alla sfera religiosa, ove per essa si intenda il muoversi verso l’Assoluto, distaccandosi quindi da ogni finito e, insieme, a quella della filosofia, ove per essa si intenda la medesima cosa, secondo il senso classico della parola”.

     

    Non sono sicuro che abbiano sposato il razionalismo puro, perdendo ogni passione, quei mistici – da Meister Eckhart a Margherita Porete, da Etty Hillesum a Simone Weil – le cui biografie strazianti lasciano senza parole per l’eroico rigore, la determinazione, l’inflessibile onestà senza compromessi, per un senso etico – così profondamente travolgente – quasi inimmaginabile che tanto spesso li ha portati a rischiare e non poche volte a perdere la vita (e anche l’unico mistico islamico ritenuto tale da Vannini – il maestro sufi Ibn Mansūr al Hallaj – fece una morte a dir poco atroce).

     

    Ma per lo studioso toscano il mondo apparentemente contrapposto di Religione e Ragione trova alla fine la sua composizione: è qui che religione e filosofia gettano la maschera ed ammettono finalmente di essere la stessa cosa.

     

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    E benché “la filosofia sia stata critica della religione, giacché, in quanto esercizio della libera ragione, che non ammette autorità superiore, la filosofia ebbe – si può dire – quasi come primo compito quello di combattere il mito e la superstizione” è però evidente – continua Vannini nel testo citato – che “la filosofia non era affatto atea o irreligiosa; anzi, al contrario combatteva contro le falsità mitologiche in nome di un concetto più puro ed elevato di Dio. Il vertice della filosofia greca, con Platone, è profondamente religioso“.

     

    Per gli uomini che vogliono conservare le passioni e i legami, che il loro corpo e la loro psiche – caratteristiche umane – impongono, ma senza uscire dall’ambito religioso, non resterebbero dunque che due strade, così simili fra loro da essere distinguibili quasi solo per motivi storici: ebraismo ed islam, là dove l’alterità di Dio lascia alla materia una sua esistenza reale, riconosciuta e non demonizzata.

    Ma, a parte la digressione su Corano e Torah, se riprendiamo la logica del discorso che abbiamo seguito fin qui, si apre davvero, alla visione esterefatta dell’osservatore, la magnifica sorte e progressiva (sic) dell’antico confine tra atei e credenti che si sgretola, ruotando di 90 gradi su se stesso come il rottame della Costa Concordia, mettendosi in verticale a dividere adesso i dogmatici incapaci di dialogo (religiosi ed atei) dai laici aperti al dialogo (atei e religiosi). Come suggerivano Vito Mancuso ed altri.

    Per affermare in realtà che i confini non hanno più alcuna ragion d’essere perché i dogmatici sono inutili vestigia di un passato conflittuale (sia laico che religioso) – “Il confronto fede ragione intorno alle “dimostrazioni” dell’esistenza di Dio, non riveste più alcun interesse” dice oggi Cacciari – e perché esiste in realtà un solo mondo, onnicomprensivo, onniscente e onnipotente che è quello dello Spirito puro. Dell’Assoluto che è lògos ma che è anche Dio; che è religione ma anche razionalità pura.

     

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    E mostrando così quanto era rimasto nascosto sotto la superficie – proprio come il rottame melmoso della nave disastrata, ora finalmente visibile – che già Agostino aveva scritto e che oggi Vannini rivendica come propria tesi: “La vera filosofia è la vera religione e la vera religione è la vera filosofia. E il cristianesimo è la vera filosofia e perciò il cristianesimo è la vera religione“.

    Insomma, il dialogo sollecitato da Scalfari l’illuminista a cui Bergoglio Papa ha voluto rispondere “all’invito che vi ho scorto di fare un tratto di strada insieme“, porta inesorabilmente oltre.

     

    Verso quella che sembra un’operazione culturale di portata storica, tendente non solo a cancellare ogni differenza tra pensiero laico e pensiero religioso, e con esso a cancellare il confine tra credenti e non credenti, ma anche a chiarire che il pensiero che noi credevamo “laico” – quello filosofico di origine greca o illuminista – in realtà non era laico per niente.

    Il problema quindi non è la tradizione cattolica – che fa il suo gioco – ma l’inconsistente cultura del laicismo illuminista – valido solo fin che si parla di affrontare la natura non umana – che non spiega affatto come dalla scalfariana “bestia” originale si formi poi la “mente riflessiva”, lasciando evidentemente il neonato in uno stato di sostanziale non-umanità.

     

    La conseguenza ovvia è che non contrasta affatto l’ideologia religiosa e, d’altra parte, apre la porta a proposte deliranti come quelle di estendere l’aborto anche ai neonati considerati “non-persone” alla stregua dei feti.

     

    Evidentemente ci vuole altro se non vogliamo finire tutti genuflessi davanti al mistico nulla.

    Continua …

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