• La cultura dominante è l’alibi del femminicidio

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    di JeannePucelli

     

    19 giugno 2012 – Anche oggi una donna è stata ammazzata crudelmente. Il cadavere è stato trovato dentro uno scatolone sulla via Pasciana tra Spello e Foligno. Si chiamava Olga Dunina, aveva 62 anni ed era sposata con un italiano resosi per il momento irreperibile.

     

    Non do altri ragguagli sull’accaduto perché ciò che mi preme è cercare di interpretare questi continui crimini contro le donne dal punto di vista culturale. Pochi osservatori mediatici, e pochissimi psichiatri, hanno indagato a fondo gli “alibi” culturali concessi agli assassini e a coloro che brutalizzano le donne.

     

    donna indiana Da sempre la donna, per la cultura patriarcale – in totale fusione ideologica con le religioni monoteiste – è stata considerata “un’anomalia della specie” (Aristotele) e come tale molto più simile ad un animale che a un essere umano di cui l’uomo è il modello: «La donna è un errore della natura, (…) con la sua eccessiva secrezione di liquidi e la sua bassa temperatura essa è fisicamente e spiritualmente inferiore, […] è una specie di uomo mutilato, fallito e mal riuscito, (…) la piena realizzazione della specie umana è costituita solo dall’uomo.»

    Queste illuminanti frasi di Tommaso d’Aquino svelano tutta la misoginia, cioè tutto l’odio per il genere femminile, della filosofia occidentale. Freud la pensava  esattamente come Tommaso: per lui la donna era un uomo castrato. D’altronde dalle lettere che scriveva al  Wilhelm Fliess si capisce benissimo che al cosiddetto scopritore dell’inconscio le donne non interessavano molto: «… posso confessarle che non ho mai sentito la misteriosa attrazione da uomo a uomo così vivamente come nel suo caso» scriveva nel maggio 1931 Freud  a Fliess dopo aver suggellato il suo trasporto amoroso con uno «stupendo dono».

     

    E, guarda caso, è proprio da Freud, che in qualche modo viene la legittimazione culturale all’omicidio dell’essere amato: «L’onnipotenza dell’amore forse non si rivela mai con tanta forza come in queste sue aberrazioni». Per Freud, e per i suoi epigoni che continuano a diffonderne il verbo, è il troppo amore che spinge all’aberrazione. Conseguentemente solo con l’omicidio dell’essere amato l’amore si rivela con la sua massima forza. Questo perché per Freud amore e morte,  Liebe und Tod, non possono essere disgiunti in quanto – come ha scritto su La Repubblica, il 14 agosto 2004, Umberto Galimberti in un articolo dal titolo Quelle pulsioni distruttive che sono dentro di noi – «fanno parte di quello sfondo pre-umano da cui un giorno ci siamo emancipati». Vale a dire che per la nostra cultura dominante, di cui Galimberti è un prode alfiere, ognuno di noi ha ancora nel suo interno un residuo filogenetico di animalità (pre-umano) che si paleserebbe nel momento in cui l’essere umano ama perdutamente l’altro da sé.

     

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    In questo “dotto” articolo Umberto Galimberti, appoggiandosi su assunti tanto egemoni quanto fasulli,  ci informa che l’essere umano «non si lascia neppure sfiorare dall’ idea che forse il perverso non è altro che l’ eccesso di ciò che noi siamo – Inoltre, continua il filosofo nel suo articolo apocalittico   Questa mancanza di consapevolezza è quella che fa ritenere noi «civili» e gli altri «selvaggi», noi «ragionevoli» e gli altri «violenti», ma la civiltà sa quanta barbarie al suo interno deve contenere, così come la ragione sa quanta violenza ogni giorno deve comprimere. Se si evita questa consapevolezza questa non può che esplodere devastandoci, perché abbiamo evitato alla nostra coscienza di aprirsi a ciò che più profondamente la disgusta, e soprattutto le abbiamo impedito di riconoscere che ciò che più profondamente la disgusta è dentro di noi …»

     

    Galimberti, seguendo passivamente il sentiero tracciato dal pensiero occidentale che ha con la fusione tra ragione e religione – come ricordato dal papa emerito – creato il dogma della realtà umana originariamente perversa giunto fino a noi attraverso Freud e Heidegger, ripropone queste idee millenarie funzionali al potere del genere maschile su quello femminile.

     

    Quando noi sentiamo dire “L’ha uccisa perché la amava troppo”  sentiamo l’eco millenario di milioni di uomini che, legittimati da una cultura misogina che ha fatto della donna la fonte di tutti i mali, hanno creduto di poter possedere una donna come fosse il proprio animale da soma che alla prima ribellione va riportato alla ragione a suon di legnate oppure, se non vuole seguire i dettami della ragione e della religione, va uccisa. Un uomo che vede la propria compagna, pur nella sua ovvia diversità di genere, un eguale a sé, non potrebbe mai ucciderla.

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    Solo un malato di mente, perché malato e non perché, come scrive Galimberti, non ha la consapevolezza di aver  dentro di sé uno “sfondo pre-umano”, può lucidamente picchiare, violentare, ammazzare una donna che non corrisponde, o non corrisponde più, al modello che lui, aderendo ad un dogma culturale millenario, ha fantasticato.

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