• «In principio era il Verbo»: apologia della Casta politica

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    “La Casta” dei politici non sarebbe una realtà ma un’idea introiettata e poi pensata come reale

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    di Giulia De Baudi

     Gli appartenenti alla “Casta mediatica”, vale a dire coloro che palesemente o surrettiziamente prestano il loro servizio al sistema della caste privilegiate di cui anch’essi sono un importante tassello, stanno cercando di intorpidire la percezioni sugli accadimenti di questi giorni.

     

    È una modalità antica che ha le sue radici nel logos occidentale che da 1900 anni ripete il vecchio ritornello giovanneo: «In principio era il Verbo».

     

    Potrebbe sembrare assurdo, e lo è, ma di fatto persino la realtà percepita può essere mutata dal Verbo. In effetti, non è la percezione di un accadimento in sé che può essere tramutata, ma il senso, che può essere sostituito a piacere. Ad un popolo di credenti, convinti che l’ostia consacrata sia in realtà la “carne di Cristo”, è piuttosto facile far credere che una «interruzione volontaria di gravidanza  (si può compiere)  quando il bambino  (è) – già nato.» Pochi credenti, fedeli al dettato biblico sulla priorità del Verbo, si accorgeranno che questo modo di esporre un pensiero assomiglia molto ad una schizofasia: se un bambino è già nato come si può interrompere una gravidanza?

     

    La parola gravidanza indica un “carico che riempie”  (gravidae aristae = spighe piene). Se il bambino è già nato non c’è più gravidanza e quindi come si fa ad interrompere qualcosa che non è più? Lo si può uccidere, ma questo è infanticidio e non “interruzione volontaria di gravidanza” … a meno che non si creda che quel pezzo di pane sia Cristo, che “l’interruzione volontaria di gravidanza” sia omicidio, e che, come affermano due ricercatori italiani, Alberto Giubilini e Francesca Minerva che lavorano in Australia, si può abortire anche dopo che il bambino è nato. Basta cambiare il senso delle parole e l’infanticidio diviene “aborto post natale”.

     

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    Sto parlando di un articolo uscito ieri sull’Unità, firmato da Massimo Adinolfi, dal titolo Quell’idea di casta che abbiamo introiettato anche noi.  In questo articolo il giornalista cerca in qualche modo di correggere la percezione che il lettore si è fatta dei politici. Soprattutto di quelli appartenenti al gruppo dirigente del Pd. Secondo quanto scritto nell’articolo gli italiani hanno erroneamente trasfigurato l’oggetto definito “Casta”, dandogli un senso negativo.

    Dice Adinolfi, dopo aver mutato, a suo uso e consumo, la parola casta in accezione positiva: «se si vuole tenere in piedi un partito, lo si sappia, almeno: ci vogliono dirigenti, legislature in quantità, e pure le caste».

     

    Ora dato, la mia assoluta adesione bruniana al principio di realtà che vuol  si dica pane al pane e vino al vino, devo affermare che da qualsiasi lato la si guardi l’espressione verbale “casta” possiede un’accezione negativa. Casta proviene da casto, puro. Leggo dal dizionario Zingarelli:

     

    «CASTA: “ciascuno dei gruppi sociali, che rigidamente separati tra loro in base a leggi religiose e/o civili, inquadrano in un sistema fisso i vari strati della popolazione”. Estensivamente: “Gruppo di persone che, caratterizzate da elementi comuni, hanno o pretendono il godimento esclusivo di diritti o privilegi”»

     

    A me sembra che i nostri politici, compresi quelli del Pd, siano facilmente inquadrabili tra coloro che “pretendono il godimento esclusivo di diritti o privilegi”.

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    sadhu

     

    Posso aggiungere che le caste sono sempre state funzionali al sistema di potere e al sistema filosofico religioso che le legittima.  Che questo sistema religioso sia induista, che impone un sistema di caste chiuse, o calvinista che presuppone una predestinazione divina, o cattolico che già alla fine del primo millennio con Adalberone di Laon ordinava la società in tre caste definite e impermeabili una all’atra, la sostanza definita dalla parola casta non cambia. Sempre si sta parlando di caste dominanti che sfruttano dominati.

    Secondo la suddivisione voluta dal dio cristiano e trasmessa ad  Adalberone, vi sono: gli oratores, coloro che pregano, ossia gli uomini di chiesa, che gestiscono il rapporto della collettività sociale col sacro e la divinità; i bellatores, coloro che fanno la guerra e hanno il monopolio dell’uso della violenza, e difendono i deboli (e l’ordine sociale) dall’arbitrio e dall’ingiustizia; ed infine i laboratores, coloro che lavorano, la categoria più umile, che con la sua fatica sfama le altre due.

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    kumbh-mela

     

    È fin troppo facile tradurre la parola bellatores in casta dirigente di cui i politici fanno parte. Il problema è che è saltato il patto che diceva, “io ti sfamo e tu mi proteggi”. In sostanza la classe politica ha perduto il suo ruolo di difensore della casta più umile per il semplice motivo che non lo svolge. Il Pci e i sindacati fino agli anni settanta difendevano la classe operaia. Facevano una dialettica serrata con gli industriali … ma gli industriali si chiamavano Merloni, Olivetti, e non Marchionne; e i politici si chiamavano Enrico Berlinguer e non Renzi.

     

    È questo il problema. Il problema è che la classe politica è composta per la stragrande maggioranza, M5s inclusi, da individui che non vogliono la salvaguardia del bene comune equamente distribuito, ma da persone che tendono unicamente a massimizzare il proprio interesse personale, e per far questo venderebbero l’anima al diavolo anche se questi si presenta con lo stemma delle banche centrali. Venduta la propria realtà umana per un piatto di lenticchie, poi, naturalmente, essi non sono più i migliori, quelli che vogliono una società umanamente compatibile e sanno come costruirla, ma diventano “La casta” vale a dire un gruppo di potere politico religiosamente prono ai comandi dei nuovi imperatori  del capitale globalizzato.

    22 aprile 2013

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