• I dieci tori di Picasso – fiaba semiseria

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     Il toro di Picasso

    raccontato a un bambino

    di Susanne Portmann

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    Un bel giorno di dicembre Picasso si alza, va in cucina e, dagli occhi, gli cade un toro dentro la tazzina del caffè.

     “Oh, perbacco, un toro!”, esclama Picasso. “Ecco cos’era che scalpitava tanto nel sogno che ho fatto stanotte! Un toro, forte come il mio caffè. Ma dov’è finito? Non lo vedo più! E allora oggi vado in campagna a disegnare un toro proprio come quello che nuotava nel mio caffè poc’anzi. Sarà meglio che mi metto subito al lavoro!”

    Prende pennarello, carta e capello e va a trovare l’amico Francesco che più di cento tori tiene al pascolo nella sua fattoria.

    Picasso si siede su un sasso e – uno, due, tre – prima che ricomincia a piovere, ecco fatto il ritratto! Arrotola il disegno, se lo mette sotto il braccio e a casa, con una puntina, lo fissa alla parete davanti al letto.

    “Così, domani mattina, invece di cascarmi nel caffè, mi trovo il toro davanti, non appena apro gli occhi!”

     

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    Il mattino dopo, Picasso si sveglia e guarda il suo disegno. “Mah!”, borbotta. “Il toro nel mio caffè non era mica così moscio. Questa sembra una mucca! Il mio toro era più pimpante. La testa ce l’aveva più grossa, la schiena più gobba e le corna ben più bianche.”

    Prende una gomma e il pennarello e – uno, due, tre:, aggiustato il disegno. “Ora sì che somiglia al mio toro”, dice contento il pittore.

     

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    Il mattino seguente Picasso si sveglia e l’occhio gli cade ancora sul disegno al muro. “Ma no!”, esclama. “Non ci siamo proprio! Questo toro sembra un mulo, la testa è troppo grossa, per poco non gli casca per terra!”

    Corre a prendere il pennarello e riaggiusta il tutto.

     

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    Ma l’indomani al risveglio s’infuria di nuovo: “Insomma questo toro non vuole proprio assomigliare a quello mio! Il mio toro non sbuffava stanco in un angoletto masticando erba.

     

    E – zac, zac, zac – con gomma e pennarello fa girare la testa all’animale. Ora guarda il pittore con due occhi ben aperti.

     

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    Lunedì mattina Picasso si sveglia, guarda il toro e scuote la testa: “Ma cos’è questa bestia? Questo non è un toro! E’ una montagna di ciccia con gli occhi di una capra!”

    Afferra il pennarello e traccia una bella linea diagonale che, dalla zampa posteriore arriva fin dietro le orecchie dell’animale. Poi alle corna fa prendere una bella piega e già che c’è, cancella una bella porzione di muso. Non contento, da un bel colpo di spugna anche alla schiena ed ecco il sedere del toro che si abbassa di mezzo metro. “Che fatica questo toro!”, esclama Picasso, guardando il suo lavoro. “Ora vado a comprare i regali di natale, preparo la valigia e mi faccio una vacanza.”

     

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    Detto fatto. Picasso parte, si fa tre belle settimane bianche e torna a casa solo quando non rimane più traccia neanche della befana.

    E così, martedì 13 gennaio, svegliandosi di nuovo nel suo letto, vede il disegno appeso al muro. E l’umore gli si guasta all’istante: “Ma cos’è questa cosa appesa alla parete? Sembra una gazzella che ha inghiottito una montagna! Se ricordo bene, volevo disegnare un toro. Qui bisogna ricominciare tutto da capo!”

     

    Prende lapis e gomma e si mette al lavoro: cancella la gobba e con un colpo secco fa sparire la testa, che poi, fa rispuntare più piccola e più insù sul collo. La coda invece ora fa capolinea in giù dal sedere. E per ultimo cancella anche un po’ di pancia: la bestia così dimagrisce assai, fortuna che si salva il pisello!

    “Oh!”, borbotta Picasso, uscendo dalla stanza. “Ora posso andare a bermi un buon caffè.”

     

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    L’indomani – è già mercoledì e piove dirotto – Picasso apre gli occhi e guarda il suo disegno. “Non c’è niente da fare!” si dispera, “questo disegno non mi vuole proprio riuscire! Un groviglio di gambe con un pisello enorme! Un toro non è mica fatto così!” Si alza, riprende il pennarello che ormai tiene sul comodino, si avvicina al disegno e aggiusta gambe e pisello nonché una chiappa e rimpolpa un poco anche la capoccia del toro.

     

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    “Questo toro ha perso occhi e muso, ha una coda enorme e un sedere che sembra un casco da motorino. Sarà meglio che ci rimetto mano”, brontola il pittore l’indomani. Acciuffa il pennarello e – zac! – traccia una linea giù dal sedere fino a terra e – zig, zac, zic, zic! – e fa rispuntare un orecchio, un occhio e un muso alla creatura. Poi scappa in cucina, dove il caffè borbotta dalla macchinetta.

     

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    Venerdì mattina Picasso salta giù dal letto, ripiglia gomma e pennarello e si piazza davanti al disegno: “Eh no, non ci siamo proprio! Ma dov’è il toro che ho sognato, dov’è il toro che ho visto da Francesco, dov’è il toro che nuotava nel mio caffè quella bella mattina? Sarà meglio che me lo invento di sana pianta questo mio toro, altrimenti non la finiamo più. Anzitutto: dove sta scritto che i tori debbano essere neri! Oggi ho proprio voglia di un toro bianco e a dire il vero, queste corna mi sembrano due riccioli ridicoli. Mi stanno proprio antipatici! Via tutto e ricominciamo da capo!”

    E così, quel venerdì, al toro spuntano un bel pelo bianco e due corna che sembrano una mezzaluna.

     

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    Sabato mattina, Picasso si sveglia tranquillo, guarda il disegno e sorride: “Oggi va meglio, siamo sulla strada giusta! Basterà poco per fare sì che questa bestia finalmente diventi il toro come dico io!”

    Scende dal letto e – zac, zac, zac, zuff – con cinque colpi di gomma e pochi gesti di pennarello traccia il suo disegno:

    Una linea curva all’indietro lenta come il tramonto, ecco fatta la schiena.

    Un colpo ingiù, ecco la coda.

    Un tratto in giù, fatta una bella zampa posteriore.

    Un piccolo sego curvo in su che fa un angolo dolce e poi dritto e di nuovo giù: finita la gamba di dietro e la pancia.

    Manca una zampa! Facile: segno dal basso verso su, fin dove incontra la linea della schiena. Qui un tondo minuscolo poggiato sopra, in testa una bella mezza curva sbilanciata: le corna!

    Ah, manca il pisellino: tondino e trattino, ecco fatto!

     

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     “Questo è il mio toro!”, esclama allora Picasso. “Non sarà il toro che ho sognato quella notte e non sarà neanche il toro dell’amico Francesco. Ma mi sembra proprio quello che un mese fa sguazzava nella mia tazzina e che era bianco come lo zucchero, prima che si tuffasse nel caffè.”

     

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    © Susanne Portmann 2006 – Riproduzione riservata

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