• Il primo uomo, ovvero l’incapacità di immaginazione di Tattersall

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    di Gian Carlo Zanon

    Vagamente ricordo il contesto in cui sentii parlare della prima volta del romanzo Fiori per Algernon di Daniel Keyes. Presumibilmente fu ascoltando alla radio un radiodramma in cui scorrevano parole che raccontavano le vicende di Charlie Gordon, un uomo con gravi problemi cognitivi il quale, attraverso un’operazione al cervello, riesce a diventare più che “normale” acquisendo capacità cognitive e inte

    -llettuali superiori alla media che poi però nel tempo scemeranno riportando Charlie allo stato precedente. Ricordo che quel radiodramma mi turbò moltissimo. Oggi non saprei dire perché ma quel turbamento adolescenziale dovuto all’ascolto del radiodramma mi è rimasto talmente impresso… talmente impresso che proprio i questi giorni ho comprato il romanzo e lo sto iniziando a leggere.

    Contemporaneamente ho letto il piccolo grande saggio L’immaginazione di Tattersall di Luigi Scialanca in cui l’autore esplora le ricerche fatte dal paleoantropologo Ian Tassertall alla ricerca dell’anello di congiunzione tra un prima e un dopo ciò che egli chiama  “capacità simbolica” che distinguerebbe la specie umana da tutti gli altri esseri viventi: «A Ian Tassertall (…) va riconosciuto un merito: è stato il “primo” – anche se qualche decennio dopo Massimo Fagioli – a parlare dell’essere umano come un caso unico tra i viventi» scrive Scialanca in apertura.

    Da qui inizia la sua descrizione della ricerca dell’paleoantropologo che tra alti e bassi, a mio giudizio, non ha portato a nulla di sostanziale: «Queste persone avevano un mondo interiore come il nostro? Come poteva sentirsi il primo Homo sapiens in grado di pensare  o parlare, senza un quadro di riferimento di alcun tipo?  La mente letteralmente vacilla di fronte a simili domande». Ciò è quanto scriveva Tassertall nel 2014 e da ciò si evince che per fare una ricerca del genere, come disse Massimo Fagioli, «ci vuole indubbiamente coraggio». Sì ci vuole indubbiamente coraggio per inoltrarsi nella ricerca della nascita della psiche umana, e quindi è necessario possedere una realtà umana che non vacilli di fronte a ciò che è “ancora ignoto”.

    Un dato è certo: leggendo Tassertall – forse a causa di alcuni concetti criptici come “potenzialità quiescente”, capacità simbolica, ecc, e anche, come avverte  Scialanca, forse a causa di una possibile cattiva traduzione – ci si rende conto della sua incapacità di immaginare la nascita del pensiero umano e il suo altalenare tra un modo di pensare al limite del pensiero religioso e proposizioni astratte nonostante, come si intuisce dalle domande a lui poste dagli studenti nella lectio magistralis tenuta a Roma nel 2012,  i tempi fossero maturi per capire come nasce il pensiero umano e legare la Teoria della nascita di Massimo Fagioli alla sua ricerca sul passaggio definivo tra pensiero animale e pensiero umano che avviene per la “capacità di immaginare” dovuta alla dinamica della fisiologica nascita quando la “fantasia di sparizione” prende il sopravvento sulla realtà oggettiva soggettivizzandola.

    Dall’istante della nascita in poi tra l’essere umano e l’oggetto percepito ci sarà una “dialettica inconscia”; una dialettica tra la realtà interna dell’essere umano e la realtà esterna: «L’immaginazione – scrive Luigi Scialanca – non è una “capacità” ma … una incapacità di essere in rapporto con la realtà “esterna ed interna) senza modificarla irrazionalmente ed affettivamente».

    Come dicevo sopra ho iniziato a leggere il romanzo di Daniel Keyes e proprio nelle prima pagine il protagonista viene sottoposto al famoso test di Rorschach: il protagonista vede solo delle macchie d’inchiostro e non sa immaginare alcuna realtà giungendo ad irridere lo psicologo che lo spinge a immaginare: «seguitava a voltare tutte le schede io seguitavo a dirgli che qualcuno aveva rovesciato  l’inchiostro nero e rosso su tutte».

    Nel test seguente gli vengono mostrate delle foto in cui erano visibili alcuni individui e gli viene chiesto di immaginare storie su quelle le persone. Lui domanda all’esaminatore: “come posso inventare storie su persone che non conosco?”.

    Purtroppo sappiamo che molte “persone ragionevoli” risponderebbero in questo modo… perché hanno perduto quella capacità di immaginare che ci rende completamente umani.

    Questi sono solo alcuni nessi e  pensieri scaturiti dal saggio di Luigi Scialanca che stimola la ricerca sull’anello che lega, dal punto di vista antropologico, l’umano dal non umano, ma anche, dal punto di vista psichico, l’umano dal non completamente umano per una carenza più o meno grave di immaginazione.  

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    27 novembre 2022

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