• Cuba … Yoani Sánchez me gusta … y para mi es suficiente

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    cuba libre

    124589di Nora Helmer


     –Ho deciso di scrivere questo articolo sul “caso Yoani Sánchez”. Sarà l’ultimo. Lo scrivo per chiudere, da parte mia, definitivamente la “question Sánchez”, che a quanto pare turba i sonni di un numero considerevole di persone che hanno fatto della lotta contro la giornalista cubana quasi una ragione di vita.Non sto parlando di Roberto Cursi né di Gordiano Lupi, né di Gianni Minà in particolare. Sto parlando di una macchina da guerra nata come dinamica pulsionale, in centinaia e migliaia di menti, all’apparire di questa immagine femminile che ha perturbato lo status quo istituzionale dell’Isola e l’immagine idilliaca che molte persone si erano fatte di Cuba. Immagine a cui non vogliono rinunciare, costi quel che costi. Sto parlando di una reazione simile alla creazione dal nulla di Gmork, il lupo feroce  de La Storia infinita di Michael Ende, che emerge  per annichilire una possibiltà di riscatto della fantasia.

     

    Ho deciso di iniziare con un articolo di Yoani Sánchez, per poi analizzarlo utilizzando alcuni articoli letti in questi giorni che parlano di Yoani Sánchez. Roberto Cursi e Gordiano Lupi mi scuseranno se userò i loro testi per cercare di far valere le mie ragioni.

     

    Vorrei però prima ringraziare di nuovo Roberto Cursi per l’enorme quantità di dati che ci ha fornito e da cui attingeremo a piene mani. Vorrei anche scusarmi con lui dicendogli che la dialettica da lui proposta (intendo la puntigliosa ricerca di dati che confermano o sconfermano una tesi) non mi si addice, non è il mio elemento, e quindi, come diceva Totò, “desisto”.

     

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     Un anno di riforma migratoria …  e cosa è cambiato?

     – yoanidi Yoani Sánchez

     Questa volta non è potuta entrare nel terminal per vederlo partire. Un cartello avverte che all’interno dell’Aeroporto José Martí possono accedere solo i viaggiatori, non i loro accompagnatori. Così lo ha dovuto salutare sulla porta. È il secondo figlio che se ne va a un anno dall’entrata in vigore della Riforma Migratoria. Per lei, come per tanti cubani, è stato un anno di separazioni.  

     

    Nei primi dieci mesi del 2013 ben 184.787 persone viaggiarono fuori dall’Isola. Molti di loro lo hanno fatto per prima volta. Anche se le dichiarazioni ufficiali cercano di negare che il paese fugge, più della metà dei viaggiatori alla fine di novembre non aveva fatto ritorno. Eppure i numeri parlano chiaramente. Basta che ognuno di noi si guardi attorno per quantificare le assenze.  

     

    Dal punto di vista personale e familiare ogni viaggio può mutare una vita. Sia scappando definitivamente dal paese dove non si vuole vivere, sia conoscendo quel che esiste da un’altra parte, sia incontrando di nuovo i parenti o semplicemente allontanandosi per un certo periodo di tempo dalla routine quotidiana. Mi domando se la somma di tutte queste metamorfosi individuali può servire a cambiare una nazione. La risposta – come tante cose in questo mondo – può essere un “si” ma anche un “no”.

     

    Nel caso di Cuba, le uscite sono in parte servite come valvola di sfogo alle inadeguatezze. Intanto la parte più ribelle della società ha fatto le valigie per uscire per lunghi o corti  periodi. Il governo ha approfittato di questo e anche dei benefici materiali dei viaggi: maggiori rimesse inviate, più articoli di consumo importati e più imposte aeroportuali riscosse. Questa è l’industria senza ciminiere della migrazione.

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    Per gli attivisti della società civile che organizzarono tour internazionali, l’opportunità fu straordinaria. Collocare le loro voci in scenari dove prima si ascoltavano unicamente ufficialità significò fare un gran passo avanti. Hanno potuto avvicinarsi alle tematiche che vengono dibattute nel mondo e questo li ha aiutati a focalizzare in modo nuovo la realtà, definire meglio la propria identità civica e inserirsi nelle tendenze che trascendono le frontiere nazionali. Il risultato non è magico né immediato, però è positivo.   

     

    Per tutto questo tempo, non è caso di dirlo, è stato proibito agli ex prigionieri della Primavera Nera di viaggiare fuori dal paese. Anche le cifre degli esiliati a cui viene impedito di entrare a Cuba hanno avuto una tendenza al rialzo. Purtroppo, dopo i grandi titoli che annunciavano il Decreto – Legge 302, questi drammi umani non hanno trovato eco sufficiente sulla stampa e neppure negli organismi internazionali.  

     

    Una buona parte della popolazione ancora non può permettersi un passaporto. Per tutti questi cubani, la Riforma Migratoria ha influenzato solo la vita di altri che hanno potuto essere osservati solo sugli schermi televisivi o nelle pagine dei giornali. Guarda caso questo  settore di popolazione coincide con chi non può ancora possedere un telefonino, con chi non è in grado di alloggiare in un hotel e con chi non può permettersi di affacciarsi sul mercato immobiliare e automobilistico. Sono i cubani senza pesos convertibili.  

     

    E così il 2013 è stato un miscuglio di valige, separazioni, ritorni, nomi cancellati dalle agende telefoniche, sospiri, lunghe file nelle periferie dei consolati, rincontri, annunci di case in vendita per pagare biglietti di aereo… Un anno per partire e un anno per rimanere.

     

     Traduzione Nora H. e G.C.Zanon

     

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    Bene, ora tutti voi avete letto il testo di Yoani Sánchez. Se volete potete rileggere l’originale in calce a questo articolo.

     

    Gordiano Lupi ha tradotto questo articolo e lo ha pubblicato sul sito La stampa-Blog. A me non piacciono le traduzioni che Lupi fa dei testi di Yoani Sánchez. Mi sembra di averlo già scritto. A qualcuno più qualificato di me piaceranno ma a me non piacciono. Non mi piacciono perché le trovo spoetizzanti. Ad esempio non capisco perché in questo articolo che abbiamo tradotto (in verità molto frettolosamente) egli traduce queste frasi « Para los activistas de la sociedad civil que realizaron giras internacionales, la oportunidad fue extraordinaria. Colocar sus voces en escenarios donde antes sólo se escuchaba al oficialismo»  in questo modo: «Per gli attivisti della società civile che hanno organizzato tour internazionali, si è trattato di un’opportunità straordinaria Sono riusciti a far sentire le loro voci su palcoscenici dove prima si ascoltavano soltanto esponenti della politica ufficiale». Ecco non vorrei fare la pignola, ma “escenarios” si può tradurre con “scenario” invece che con “palcoscenico”. “Realizaron” si traduce in prima istanza in “realizzarono” e non con “organizzato” Anche perché cambiare queste due parole muta radicalmente l’immagine che ci si fa degli “attivisti della società civile”. Un conto è realizzare una propria opportunità collocando la propria voce in scenari che permettono libertà di espressione e un conto è organizzare un tour per riuscire a salire su un palcoscenico sul quale far udire la propria voce. La differenza è notevole e, secondo me, è chiara l’intenzionalità, forse incosciente, di parlare di un eccesso di volontà (narcisistica?) di ribalta internazionale. E di fronte a personaggi famosi, la sindrome dello specchio in cui inconsapevomente vengono alienate proprie volontà inconsce, è sempre in agguato.

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     Ma questo è un piccolo dettaglio pignolesco (non per me naturalmente) che può essere smontato in men che non si dica. L’altro oggetto di cui vorrei parlare è un articolo di Lupi che ho trovato su AgoraVox: Cuba: un anno di riforma migratoria che inizia così: «Tradurre Yoani Sánchez non significa condividere ogni frase della nota blogger, né prendere per oro colato le sue asserzioni apodittiche». E fino a qui nulla da dire. Ma poi ci sono queste frasi di Lupi che mi lasciano perplessa: «L’ultimo post pubblicato su Generación Y, che trovate qui, vuol far credere che – a un anno dalla Riforma Migratoria – a Cuba niente sia cambiato. Non è vero. A Cuba è cambiato tutto (…) Lasciamo stare se in patria vengono perseguitate le Damas de Blanco e i dissidenti subiscono arresti per brevi periodi, ma chi è uscito ed è rientrato non ha subito rappresaglie (…)Yoani Sánchez afferma che sono ancora molti i cubani che non possono permettersi di viaggiare all’estero, perché non hanno soldi neppure per sbrigare la pratica e ottenere il passaporto. Ma questo accade da sempre in ogni luogo del mondo! ».

    Dunque … a me non sembra che Yoani Sánchez abbia scritto che a Cuba con la riforma migratoria non sia cambiato niente. Lei scrive «il 2013 è stato un miscuglio di valige, separazioni, ritorni, nomi cancellati dalle agende telefoniche, sospiri, lunghe file nelle periferie dei consolati, rincontri, annunci di case in vendita per pagare biglietti di aereo…» Questo significa che a Cuba con la riforma migratoria nulla è cambiato? Non mi sembra.

    La frase che inizia «Lasciamo stare se in patria …» che di fatto invita ad annullare la tragedia delle persecuzioni delle Damas de Blanco e dei dissidenti, mi sembra quantomeno infelice.

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    Poi c’è questa frase che nonostante venga continuamente ripetuta in ogni situazione e in ogni contesto, mi lascia sempre esterrefatta: “ma questo accade in ogni luogo del mondo”. Di fronte alla denuncia di una dramma sociale c’è sempre qualcuno che salta su, e, con una frase tanto logora quanto assurda, ripete “si, ma questo succede  dappertutto”. A Cuba si violentano i ragazzini … si ma succede dappertutto! Ci sono persone talmente povere che non possono permettersi di uscire dalla propria isola per tutta la vita … si ma succede dappertutto! A Cuba non c’è libertà di opinione e di dissenso … si ma in Iran è ancora peggio! Le ragazze in giovane età si prostituiscono … si ma in Tailandia questo è addirittura normale! Ricordo anche la famosa frase che mi ha fatto sempre rabbrividire “i panni sporchi si lavano in famiglia” dio che orrore.

     

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    Insomma secondo questo assurdo modo di pensare che: nessuno si dovrebbe lamentare, si dovrebbe indignare, dovrebbe denunciare, dovrebbe svelare le brutture che vede intorno a sé … e perché? Perché c’è sempre qualcosa di peggio. Ma per favore, per favore.

     

    Io invito chi continua a usare questa “strategia di distrazione”, sempre che lo faccia in buona fede, a pensare ai motivi e alle intenzionalità anche non coscienti che lo spingono a comportarsi in questo modo.

     

    E con questo io chiudo questo dibattito che certamente mi ha arricchito di notizie e di nozioni interessanti, ma che ritengo concluso.  

     –

    APPROFONDIMENTI

    L’articolo di G.Lupi su AgoraVox

    http://www.agoravox.it/Cuba-un-anno-di-riforma-migratoria.html

     

    La traduzione di G.Lupi dell’articolo di Yoani Sánchez

     http://www.lastampa.it/2014/01/15/blogs/generacion-y/un-anno-di-riforma-migratoria-ma-qualcosa-cambiato-dOXZZZfl6NVrkF6ioW16EK/pagina.html

     

     

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     Un año de reforma migratoria y… ¿qué cambió?

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    di Yoani Sánchez

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    Esta vez no ha podido entrar a la terminal para verlo partir. Un letrero advierte que al interior del Aeropuerto José Martí sólo pueden acceder los viajeros, no sus acompañantes. Así que le ha dicho adiós en la puerta. Es el segundo hijo que se le marcha desde que hace un año se implementara la Reforma Migratoria. Para ella, como para tantos cubanos, ha sido un año de despedidas.

     

    En los primeros diez meses de 2013 unas 184,787 personas viajaron fuera de la Isla. Muchas de ellas lo hacían por primera vez. Aunque las declaraciones oficiales tratan de desmentir que el país huye, más de la mitad de los viajeros no habían retornado al concluir noviembre. Tampoco hacen falta los números. Basta con que cada uno de nosotros mire a su alrededor para cuantificar las ausencias.

     

    Desde el punto de vista personal y familiar cada viaje puede transformar una vida. Ya sea escapando definitivamente del país donde no se quiere vivir, conociendo lo que existe al otro lado, reencontrando a parientes o simplemente alejándose un tiempo de la rutina cotidiana. La pregunta es si la suma de todas esas metamorfosis individuales sirve para cambiar una nación. La respuesta –como tantas cosas en este mundo- puede ser un “sí” y también un “no”.

     

    En el caso de Cuba, las salidas han actuado en parte como válvula de escape a la inconformidad. El sector más rebelde de la sociedad hizo las maletas para salir un breve o un largo tiempo. El gobierno se aprovechó de eso y además de los beneficios materiales de los viajes, que se concretaron en más remesas enviadas, más artículos de consumo importados y más impuestos aeroportuarios cobrados. La industria sin chimeneas de la migración.

     

    Para los activistas de la sociedad civil que realizaron giras internacionales, la oportunidad fue extraordinaria. Colocar sus voces en escenarios donde antes sólo se escuchaba al oficialismo, ya significó un buen paso adelante. Han podido acercarse a las temáticas que debate el mundo actual y eso les ha ayudado a modernizar enfoques, definir mejor su papel cívico e insertarse en tendencias que trascienden las fronteras nacionales. El resultado no es mágico ni inmediato, pero sí positivo.

     

    Durante todo este tiempo, sin embargo, se le negó a los ex prisioneros de la Primavera Negra viajar fuera del país. También las cifras de exiliados impedidos de entrar en Cuba se mantuvieron con una tendencia al alza. Lamentablemente después de los grandes titulares anunciando el Decreto-Ley 302, estos dramas no encontraron eco suficiente en la prensa ni en los organismos internacionales.

     

    Una buen parte de la población aún no puede costearse un pasaporte. Para todos esos cubanos, la Reforma Migratoria sólo transcurrió en la vida de otros, en las pantallas de la televisión o en las páginas de los periódicos. Coincidentemente es el mismo sector que aún no ha podido sacarse una línea de móvil, hospedarse en un hotel o asomarse siquiera al mercado de casas y autos. Son los cubanos sin pesos convertibles.

     

    Así que 2013 fue una mezcla de maletas, despedidas, retornos, nombres tachados de las agendas telefónicas, suspiros, largas filas a las afueras de los consulados, reencuentros, anuncios de casas en venta para pagar boletos de avión… Un año para partir y un año para quedarse.

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    • Ciao Nora,
      ho letto il tuo articolo.
      .
      Molte delle cose da te scritte le condivido totalmente; mentre su altre ho uno “sguardo” che mi porta a vedere quella realtà in maniera un po’ diversa.
      Ma che la nostra “interpretazione” su alcuni contenuti di questo confronto “scorra” su distinti “binari”, ormai tutti noi l’abbiamo capito perfettamente con le cose lasciate scritte su queste pagine.
      .
      E proprio per questo -concordo in pieno con la tua decisione- che continuare il confronto sul tema, non possa che creare il rischio di farci ripetere all’ infinito i propri punti di vista già esposti.
      .
      Speriamo almeno che le nostre differenti “visioni” ed “interpretazioni” siano riuscite ad arricchire i lettori di questo “Diario polifonico”.
      .
      Ciao.
      .
      Roberto

    • Mario P.

      Ho seguito con attenzione il dibattito su Yoani Sánchez e su Cuba. Ora su un blog chiamato Barrio de Cuba, dove tra l’altro ho trovato anche articoli presi dal vostro blog, ho incontrato un ampio dossier su di lui. BARRIO DE CUBA, tra altre decine di post pubblica questo affermando che lo ha scritto, credo nel 2011, Gordiano Lupi:

      «Un giornalista non dovrebbe mai parlare di casi personali perché rischia di perdere obiettività e di giudicare i fatti con poca serenità. Devo fare un’eccezione perché quello che sta accadendo a mia moglie è la prova della totale assenza di giustizia nel sistema politico cubano. Il teorema di una Cuba non democratica e soprattutto distante dalle regole più elementari di uno stato di diritto è di facile dimostrazione, ma in Italia esistono schiere di irriducibili castristi che non si arrendono di fronte all’evidenza. Come dice un mio amico cubano, i castristi vivono tutti all’estero e soprattutto non devono sopportare le angherie di un sistema politico aberrante.

      Veniamo ai fatti, la sola cosa che conta per un cronista.

      Ieri pomeriggio – 25 agosto 2006 – arriva una telefonata da Roma a turbare la tranquillità di un pomeriggio estivo. Risponde mia moglie. All’altro capo del filo c’è una voce femminile dal marcato accento caraibico. Si tratta di un’impiegata dell’ambasciata cubana, che prima si informa sulle sue generalità chiamandola compañera, cosa strana dalle nostre parti dove la parola compagno non viene usata neppure durante le Feste dell’Unità.

      “È arrivato un avviso urgente dall’Ufficio Emigrazione dell’Avana. Ti danno trenta giorni di tempo per presentarti nei nostri uffici dove avrai notizie precise sulla comunicazione e subito dopo dovrai andare a Cuba”.

      “Come mai?” chiede preoccupata mia moglie “Cosa è accaduto di grave?”

      “Ti hanno revocato il permesso di residenza all’estero”.

      “Dopo otto anni che vivo in Italia? Non comprendo…”

      “Per telefono non posso dirti di più. Devi presentarti in ambasciata”.

      “Sono incinta. Non posso affrontare un viaggio così lungo e non posso andare all’Avana in questa situazione. Se non potete dirmi niente per telefono me lo comunicherete per scritto” .

      “Posso solo dirti che dalla comunicazione risulta che sei attivamente politica contro il governo cubano. Se non ti presenti perdi automaticamente il permesso di residenza all’estero e passi nella categoria emigrante”.

      Per chi non è dentro alle stranezze di una dittatura che non concede nessun diritto ai suoi cittadini bisogna dire che essere qualificato come emigrante è la cosa peggiore che può accadere a un cubano che vive fuori dalla sua terra. L’emigrante viene considerato un gusano, come quelli che sono scappati a bordo di una zattera, un antisociale, un controrivoluzionario. Non ha più diritto di entrare a Cuba e se vuole farlo deve chiedere un permesso speciale all’ambasciata. Se il permesso viene concesso, può recarsi a Cuba per far visita ai familiari, ma non ha la certezza di tornare di nuovo all’estero. Va da sé che nessun emigrante entra a Cuba, perché corre il rischio di essere messo sotto torchio dalla polizia del regime e di finire nelle carceri di Fidel Castro.

      “Nel mio cuore mi sentivo già emigrante e avevo deciso di non tornare a Cuba. Mi spiace solo che questa situazione diventi una vostra imposizione. In ogni caso non mi presenterò. Fate quello che credete più opportuno. Per fortuna sono cittadina italiana”.

      Fine della comunicazione.»

      Se questo testo fosse realmente di Lupi mi chiederei se per caso ci sia un nesso tra le minacce ricevute dalla moglie di Lupi e il fatto che egli abbia mutato radicalmente opinione sul governo oligarchico di Cuba. Se fosse così sarebbe in parte comprensibile; anch’io sono sposato con una donna di Cuba e so quanto controllo la polizia dell’Isola esercita sulle persone che vivono all’estero. Per quanto mi riguarda cerco di divulgare la verità mantenendo l’anonimato. Vedo altre persone che invece cercano di mostrarsi compiacenti e mi chiedo se il loro zelo nella difesa della politica cubana non nasconda la volontà di accaparrarsi le simpatie dei castristi.

      Ciò che scrive Yoani Sánchez è tutto vero, ve lo posso confermare. Grazie per gli articoli.

      Mario P.

      • Ciao Mario P.
        Il mio commento arriva in ritardo perché solo oggi leggo il tuo.
        .
        Intervengo su un dubbio che avevi, per confermarti che la storia letta sul forum di “Barrio de Cuba” è stata più volte raccontata in prima persona, su vari siti web, dallo stesso Lupi.
        Qui si può leggere un articolo da lui stesso firmato, e scritto proprio il giorno dopo l’accaduto.

        .
        Già da tempo lui scriveva cose molto critiche verso il Sistema di Castro; ma sembra che il fatto più “eretico” per le Autorità cubane sia stata la pubblicazione, nel 2006, del suo libro “Almeno il pane, Fidel” -che io non ho letto-
        .
        Quindi, le cause che portarono alla revoca del permesso all’estero per sua moglie, risalgono a molti anni fa.
        E non penso che Lupi abbia cambiato -solo in parte- la sua negativa descrizione della realtà cubana per “risolvere” questo problema familiare -almeno questa è la mia opinione-, perchè sembra che rivenga pubblicato, prossimamente, proprio il libro “Almeno il pane, Fidel”; concausa principale dell’assurda reazione che nel 2006 ebbero le Autorità dell’Isola.
        Non so nemmeno dirti se questa restrizione sia ancora in essere, visto le ultime riforme che permettono ai cubani di entrare ed uscire dal Paese -anche a chi è fortemente critico verso la politica di quel Governo-.
        .
        Mentre giravo sul web, per sapere qualcosa sul contenuto di quel libro, ho trovato questa recensione -scritta nel febbraio 2007- la quale mi ha “colpito” per le forti analogie con le cose da me scritte nei primi miei articoli “Cuba: lo sguardo straniero”, in particolar modo per il suo provare a contestualizzare la drammaticità di alcune realtà della società cubana; soprattutto quelle che cominciavano ad emergere negli anni del “Período Especial”.

        .

        P.S.
        Comunque io ho conosciuto moltissime coppie Italo-Cubane, e posso dire che ognuna di loro ha una propria visione di quella realtà, e a volte è capitato che nemmeno tra la stessa coppia c’era “sintonia” sull’interpretazione di quella complessa Società.
        .
        Quindi, dal mio punto di vista, essere sposato con una cubana/o non significa avere in mano la “verità”, e questo, senza alcun dubbio, vale anche per me -e ti “invidio” che tu l’abbia già trovata, perchè io, dopo tanti anni, ancora la sto cercando-.
        .
        Invece preferisco non entrare nel merito riguardo queste parole che hai lasciato scritte:
        “Vedo altre persone che invece cercano di mostrarsi compiacenti e mi chiedo se il loro zelo nella difesa della politica cubana non nasconda la volontà di accaparrarsi le simpatie dei castristi.”
        Non ne entro nel merito a prescindere verso quali persone/a queste parole avevi intenzione di rivolgere.
        .

        Roberto Cursi

    • Ringrazio Roberto Cursi per la sincerità e la generosità con cui ci ha trasmesso i suoi vissuti personali ed il suo rapporto diretto con la vita cubana. E lo ringrazio per l’impegno ed il tempo dedicati a documentare approfonditamente aspetti diversi di una realtà così complessa e lontana, non solo geograficamente ma soprattutto culturalmente.
      Ringrazio il “Diario Polifonico ” per aver accolto un dibattito così acceso ed appassionato che, nonostante il confronto a tratti duro, mi ha arricchito e stimolato.
      E poi mai dire mai…spero di ritrovarvi presto per ascoltare nuove storie di una terra e di un popolo ancora tutto da scoprire.
      Hasta la vista
      Emilio

      • Grazie Emilio
        per le parole lasciate scritte nel tuo commento.
        .
        Come tu hai detto, … mai dire mai.
        Ma le parole di Nora sono molto esplicite -per capirlo basta leggere solo il titolo dell’articolo- e quindi non ho potuto far altro che assecondarle.
        E poi, come ho già scritto, arrivati ad un certo punto le personali opinioni non si può continuare ad esporle all’infinito; a meno che, non ci si impegni con ricerche e documentazioni per approfondire i contenuti del “contendere”.
        .
        E penso che solo in questo modo, forse, le proprie interpretazioni “scorrendo” su due distinti “binari” potrebbero, reciprocamente, avere la possibilità di avvicinarsi.
        .

        Un saluto, … y hasta luego.
        Roberto

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